"Chiamami Maestro"

a Palazzo Comi in ricordo del Prof. Donato Valli

Sabato 2 Dicembre - Ore 17.30

Salone dell'Accademia Salentina - Palazzo Comi di Lucugnano

 

La Biblioteca Comi di Lucugnano, in collaborazione con la LUPSSU (Libera Università Popolare del Sud Salento Unito) e il Comitato Pro-Palazzo Comi "Casa della Cultura", organizza un pomeriggio di incontro e riflessione in ricordo dell'indimenticato Prof. Donato Valli.

Appuntamento Sabato 2 Dicembre p.v. presso il Salone dell'Accademia Salentina a Casa Comi per la condivisione di letture e testimonianze in ricordo dell'impegno del Prof. Donato Valli che si è sempre battuto per la crescita culturale e sociale del Salento e, in particolare, del Capo di Leuca.

Donato Valli, prima allievo e poi amico fraterno di Girolamo Comi, è stato uno dei frequentatori più assidui di Casa Comi e uno dei maggiori conoscitori dell'opera e della psicologia stessa del Poeta di Lucugnano.

Donato Valli è nato a Tricase il 24 Febbraio 1931. Allievo di Girolamo Comi, Valli è stato professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell'Università del Salento, della quale è stato preside e rettore, nonché uno dei fondatori assieme a Giuseppe Codacci Pisanelli. La sua attività scientifica e di ricerca è stata incentrata prevalentemente sulla letteratura italiana del XIX e XX secolo, sull'ermetismo e soprattutto sulla letteratura salentina. È stato direttore con Oreste Macrì della rivista L'Albero dal 1970 al 1986. Fu autore di svariate pubblicazioni. Studioso dei secoli XIX e XX, si è occupato in particolar modo di Manzoni, del purismo letterario ottocentesco, delle poetiche protonovecentesche e dell’ermetismo. È autore di numerose ricerche sulla letteratura salentina, della quale ha curato anche la prima ricostruzione storico-critica dall’Unità ai giorni nostri. Insieme con Oreste Macrì ha diretto la rivista "L'Albero" dal 1997 al 1986. Ha pubblicato i volumi: "Saggi sul Novecento poetico italiano" (1967); "Romagnosi e Manzoni tra realtà e storia" (1969); "La cultura letteraria nel Salento" (1971); "Anarchia e misticismo nella letteratura italiana del primo Novecento" (1973); "Girolamo Comi" (1977); "Storia degli gli ermetici" (1978); "Letteratura dialettale salentina dall’Otto al Novecento" (1995); "Dal frammento alla prosa d'arte" (2001); "Novecento letterario leccese" (2002); "Storia della poesia dialettale nel Salento" (2003).

Girolamo Comi è nato a Casamassella (Le) il 23 novembre 1890. Uomo di nobili origini (era Barone di Lucugnano, in provincia di Lecce), dopo aver compiuto studi irregolari in Svizzera dal 1908 al 1912, esordì a Losanna con la raccolta Il Lampadario (1912) e si trasferì a Parigi, dove venne a contatto coi principali esponenti della poesia simbolista del primo Novecento. Tornato in Italia per il richiamo alle armi nel 1915, fu presto riformato e dichiarato inabile alla guerra grazie all'intercessione del potente zio Antonio De Viti De Marco. Sposatosi nel 1918 con Erminia De Marco, dimorò dal 1920 al 1946 a Roma, dove entrò a far parte dei cenacoli poetici orfico-misteriosofici che esistevano negli anni venti nella Capitale, frequentando tra gli altri Julius Evola e, in seguito, Nicola Moscardelli ed Ernesto Buonaiuti. Dapprima frequentò il salotto romano della baronessa Emmelina De Renzis dove entrò in contatto con le idee steineriane, rimanendone influenzato, e dove conobbe Arturo Onofri stringendo con lui un sodalizio poetico. In seguito fece parte del sodalizio magico-esoterico noto come Gruppo di Ur, pubblicando sulla rivista del gruppo alcune parti della poesia Cantico del tempo e del seme (oggi in Krur 1929. Roma, Tilopa, 1981, pp. 274-276.). In seguito collaborò con lo stesso Evola scrivendo per la rivista La Torre e per Diorama Filosofico (inserto di Regime fascista, diretto da Roberto Farinacci)[1].
Dal 1920 aveva ripreso l'attività poetica, e al 1933 è databile la sua conversione al cattolicesimo. Successivamente, il poeta sviluppò un particolare concetto di "cattolicesimo aristocratico" e si avvicinò all'ortodossia fascista, alternando il prosieguo della scrittura poetica a prose di carattere politico-filosofico-morale (Aristocrazia del cattolicesimo, 1937). Nel 1946, separatosi dalla moglie, tornò stabilmente nella sua tenuta di Lucugnano, dove diede vita all'Accademia Salentina e alla rivista letteraria L'Albero, oltre al particolare esperimento economico dell'Oleificio Salentino, un tentativo di imprenditoria solidale che portò in breve tempo il poeta alla rovina finanziaria, nonostante la raccolta poetica Spirito d'Armonia (1954) gli avesse conferito un discreto successo di pubblico.
Oppresso da problemi economici, nel 1961 vendette il palazzo avito alla Provincia di Lecce per destinarlo a pubblica biblioteca, rimanendovi in qualità di custode e bibliotecario, e nel 1965 sposò la sua domestica Tina Lambrini, al suo servizio dal 1948 che col passare degli anni era divenuta anche un affettuoso sostegno morale. Morì confortato dall'affetto dei suoi paesani, che lo avevano spiritualmente e materialmente sostenuto durante gli ultimi poveri anni di vita. Morì nella sua casa di Lucugnano il 3 Aprile del 1968.

"Chiamami Maestro" ci riporta a un pomeriggio quasi intimo e delicato che si propone di radunare, in quella che fu la sala riunioni dell'Accademia Salentina, amici, allievi e cittadini in ricordo di una delle persone che più hanno dato lustro e prospettiva alla comunità salentina. Racconti, pensieri, immagini e ricordi.

La partecipazione è libera e Casa Comi è pronta ad accogliervi.

Appuntamento alle ore 17.30 di Sabato 2 Dicembre. Per informazioni chiamare in Biblioteca al numero 0833/784537 o inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

di Pino Greco Roberto Sodero, è nato a Tricase il 3 Aprile 1981.

Quella del centrocampista azzurro è una storia tutta da raccontare. Un campione della nostra Città, di cui siamo orgogliosi e fieri,c’è. Un centrocampista della Nazionale Italiana Calcio Amputati che ci regalerà emozioni azzurre, c’è. Si chiama Roberto Sodero. Anima e cuore Mondiale

Sin da piccolo cerca di dribblare un avversario molto più ostico di quelli che si trovano oggi sul rettangolo verde di calcio: la Sindrome di Klippel Trenaunay. L’avversario intacca la gamba destra di Roberto. La malattia con il passare degli anni diventa molto asfissiante, tanto da portare i medici all’amputazione dell’arto all’età di 22 anni. L’amputazione gli porta via una parte del corpo, ma non la forza di ripartire con maggiori stimoli. Il centrocampista della Nazionale italiana amputati, trova una vera e propria liberazione. Roberto diventa un concentrato di volontà dove niente è impossibile, un esempio per chi si vergogna della propria disabilità. Infatti, il futuro mediano azzurro completa gli studi universitari con una laurea in ingegneria informatica, trova subito lavoro e si sposa. Inizia anche la sua vita sportiva. Fatta per un breve periodo da nuoto e tennis, fino al calcio. La preferita di tutte le discipline. E ,di certo,quella che più lo ha reso più celebre.

Il tutto inizia a 31anni,racconta Roberto,quando guardando un servizio al TG sono venuto a conoscenza di un gruppo di ragazzi amputati, che rispondendo all’appello di Francesco Messori, stavano formando la Nazionale Calcio Amputati Italiana. Non ci ho pensato su due volte, li ho subito contattati ed ho iniziato con loro a praticare uno sport che avevo sempre amato, ma avevo solo potuto guardare da spettatore. Sono felicissimo di essermi unito a questo gruppo di ragazzi fantastici, con cui sto condividendo questo percorso.

Oggi Roberto ha 36 anni , è il mediano della Nazionale Italiana Calcio Amputati, uno nato senza un arto, lavorare sui polmoni con dei compiti precisi. L’unico centrocampista pugliese e salentino presente nella rosa che canterà l’inno di Mameli, uno dei venti che con le sue stampelle sarà sempre lì

lì nel mezzo del gioco con la maglia azzurra dove sfiderà i suoi pari grado nel Mondiale del 2018 in Messico. Uno dei tanti ragazzi che all’apparenza hanno qualcosa in meno, ma in realtà hanno molte cose in più: carattere, cuore, anima e grinta.

IL SALENTO ASPETTA LA NAZIONALE. E’ ormai fatta per la visita della Nazionale Calcio Amputati, che il prossimo week end farà visita sui campi di Lecce, per allenarsi a porte aperte e portare sui campi una testimonianza di sport ed entusiasmo, per la vita. L’evento è stato realizzato grazie all’impegno del comitato provinciale del CSI di Lecce e del suo presidente, nonché vice presidente CSI a livello nazionale, Marco Calogiuri. Primo appuntamento alle 9 di sabato, presso il Campo Oratorio “Don Pasquale” via M. Buonarroti di Lecce, dove è fissato il ritrovo per il primo allenamento del collegiale che servirà ai tecnici azzurri, i due emiliani Renzo Vergnani e Paolo Zarzana per testare il momento di forma dei ragazzi in vista dei prossimi appuntamenti ufficiali. Sabato pomeriggio, la Nazionale Amputati sarà in campo alle ore 14.30 presso lo stesso campo per allenarsi con ragazzi amputati che vogliono avvicinarsi a questo sport, per poi concludere una bellissima giornata con una partitella con ex glorie dell’US LECCE. Infine domenica 2 dicembre ore 9 sempre nello stesso campo ultimo allenamento in terra salentina. Ad incoraggiare le “stampelle azzurre” le parole del numero uno del CSI, Vittorio Bosio: “Questa squadra rappresenta un fiore all’occhiello per la nostra associazione, quanto ad inclusione, integrazione ed appartenenza. Ai ragazzi, ai tecnici e a tutti gli atleti con disabilità va il nostro aiuto e sostegno, augurandoci sempre nuovi innesti in rosa”.
Un’emozione particolare sarà per il giocatore salentino Roberto Sodero, che ospita nella sua bellissima città i propri compagni di squadra: “Portare i miei compagni in Salento è per me una grande emozione e motivo di orgoglio. Il nostro obiettivo è quello di far crescere il movimento del calcio per amputati, coinvolgendo nuovi atleti soprattutto a sud di Roma, dove ci sono pochissimi ragazzi che praticano questo sport. Speriamo in una grande risposta della Città di Lecce”.

 

 

TRICASE, STADIO COMUNALE SAN VITO

E PALAZZETTO DELLO SPORT :

MANCANO I PARCHEGGI RISERVATI AI PORTATORI DI HANDICAP

 

Un disabile tricasino che ama lo sport e spera di trovare parcheggio

Caro direttore, grazie per il vostro impegno ventennale a tutta la Città di Tricase e ai tricasini.

Tante grazie per lo spazio e l’attenzione che ci riservate a noi disabili.

Questi quattro righi sono indirizzati a chi amministra la Città di Tricase.

Non voglio prolungarmi nelle solite nostre tristi storie, voglio solo segnalare per quelli come me che amano lo sport, l’assenza dei parcheggi riservati ai portatori di handicap, nello spazio dove sostano le auto, nelle vicinanze dello stadio San Vito e del palazzetto dello sport di Tricase.

Pensando di fare cosa gradita. Ringrazio tutti anticipatamente.

Allego una foto dell’area riservata ad un parcheggio delle auto del palazzetto dello sport di Tricase, dove si documenta l’assenza di spazio riservato ai portatori di handicap

 

 

di Carlo A. Cerfeda

Ospedale “Cardinale Panico”: “VISIONE E SPERANZA”

Concrete solo con i fatti, gli atti ed i comportamenti

Preg/mo Direttore, chiedo gentilmente ospitalità, per la pubblicazione di questo intervento (il terzo sul periodico,avendo oramai deciso, da diversi anni, di “appendere la penna al chiodo”!...), per la quale ti sono grato.

Sono stato spinto dai contenuti dell’ultimo premiato lavoro, storico e letterario, del dottor Rodolfo Fracasso “LA VISIONE E LA SPERANZA – IL CARDINALE GIOVANNI PANICO E L’ATTUALITA’ DELLE MAGNICHE OPERE DELLE SUORE MARCELLINE A TRICASE”(cfr. “Il Volantino”,n.38,11 novembre 2017, pag.4). Al dottor Rodolfo Fracasso, con l’occasione, i miei, certamente modesti, auguri di ulteriori successi e non solo in questo settore! E ritornando al tema: una precisazione, se mi è permessa.

Per arrivare ad una “VISIONE” e a una “SPERANZA” concrete e realizzabili bisogna dare ad esse “mani e piedi” come hanno fatto le Rev.de Suore Marcelline per il reparto di chirurgia generale, perchè “Le idee hanno mani e piedi”(Karl Marx) solo se diventano atti e fatti reali: altrimenti non sono neanche idee!

Parlo per esperienza personale e diretta dell’intero 2^ piano e del collegamento, essenziale tra altre specializzazioni in caso di necessità, dove si tocca con mano una eccellenza sotto ogni aspetto (che dovrebbe essere la “normalità” di una struttura efficiente):nessuno escluso! Potrei parlare anche di altri reparti per diretta esperienza personale ma, per il momento, non voglio dilungarmi!...

Ma il massimo della efficienza sta nella dinamicità in ogni senso del giovanissimo primario e della sua equipe (se ancora è possibile usare la lingua ITALIANA: GRUPPO).    42 anni e non li dimostra neanche: beato Lui! Sposato con quattro bellissimi “marmocchi” e, certamente, pur non conoscendola, con una donna eccezionale visto il gravame familiare ( a mò di battuta, ci si è posto il problema dell’invecchiamento dellapopolazione italiana? Meritorio interrogativo!)Efficientissimo e disponibilissimo anche nei momenti apparentemente inattivi del blocco operatorio: giorni festivi compresi!.... Niente di più sideralmente lontano dal comportamento, non del tutto scomparso anche all’interno della stessa struttura, del classico Direttore Primario (professore ma quasi sempre sedicente tale): dalla testa eretta, il torace impettito (tipo il nostro “Buonanima” del ventennio!...), le mani incrociate sul deretano e lo sguardo rivolto verso un ipotetico orizzonte: invisibile ai “poveri” pazienti e familiari in attesa di una risposta consolante o diversa! Sembrano gli sciamani della nostra età della scienza e della tecnica!

“Carneade! Chi è costui?”: potrebbe chiedersi l’eventuale moderno “don Abbondio” di Manzoniana memoria!

E’ il dottor Massimo Viola e tutto il suo reparto, nessun operatore escluso: sapientemente coordinato ed organizzato da suor Filomena (inossidabile ed anche lei instancabile: anche se un po’… “rumorosa” ma solo se necessario e per quanto basta!)

Per chi ha mantenuto l’abitudine ad osservare , per lavoro e per circa quarant’anni, visi, sguardi ed espressioni, Il dottor Viola, oltre alle più aggiornate competenze del settore, alla incomprensibile resistenza fisica sua e dell’intera equipe, dimostra la capacità di usare anche i suoi occhi per interrogare, ricevere e rispondere a domande! Una persona certamente, diciamo, particolare sotto ogni aspetto nel settore medico-chirurgico. Una specie di “Mario Capanna” uscito da un corteo del “sessantotto” per dimostrare con i fatti che, in concreto, si possono cercare quanti hanno “mani e piedi”, ma soprattutto voglia, per innovare anche e non solo nella chirurgia e nella sanità.

Il nostro ospedale – dicevo al direttore sanitario, dottor Pierangelo Errico- rispetto ad altri ospedali, policlinici, strutture di “Eccellenza” risulta essere, in quasi tutti i reparti, un albergo a 5 stelle in ogni senso: non italiano ma degli Emirati Arabi, come Dubay! E di altri ospedali, anche all’estero, ne ho conosciuti purtroppo! E non hanno proprio nulla da insegnare al nostro, ma molto da apprendere: al di là della pubblicità nazionale attraverso cui promettono il “fumo” di eccellenti Professori televisivi, ma pochissimo “arrosto” nella sostanza: soprattutto e prima di tutto a livello di rapporti e di disponibilità umane! Certamente, soprattutto per i molti “Soloni” tricasini, abituati a trinciar giudizi senza sperimentazione diretta ma solo per “sentito dire”, farà “più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”!...

In conclusione, “VISIONE E SPERANZA” tendono a diventare concrete realtà solo, se e per quanti sono convinti di VOLERE ESSERE I MAGGIORI ATTORI DI OGNI SETTORE! Senza escludere che l’errore umano è sempre dietro l’angolo, senza farsi prendere dall’idea di essere onniscienti nel proprio campo ma profondamente convinti, in coscienza e professionalità, che l’essere negligenti e scarsamente capaci produce danni agli altri: danni a volte, purtroppo, non più recuperabili!...

Senza persone che, al di là del “CAMICE BIANCO”, credono in ciò per cui operano, la “VISIONE” rimane inutile “utopia” e, di conseguenza, la “SPERANZA” diventa vana, pericolosa, deprimente e lesiva in ogni senso ed a volte in maniera irreparabile! Purtroppo!!...

 A rileggerci forse in futuro.                                            

Il sud del sud

di Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione don Tonino Bello

Era un’ espressione che spesso mi ripeteva in macchina , quando ci si spostava da un paesino all’altro: il sud del sud.

Non coglievo però nessuna tristezza nei suoi occhi: e mentre io, ancora adolescente,  sognavo un riscatto della nostra terra  attraverso  nuovi modelli di sviluppo sulla scia delle ricche regioni del nord,  lui rimaneva disincantato dinanzi a tale prospettiva e il suo sguardo era  ancorato  alla sua terra, ai suoi colori, alla sua nudità, alla sua povertà.  

Don Tonino aveva già intuito che quella povertà, quella essenzialità era per tutti noi un privilegio e che forse, ben presto  anche il suo Salento sarebbe diventato ostaggio di quella “ ricchezza vampira “ che giorno dopo giorno  sottrae dignità e identità.

In questo sud, periferia della storia e della geografia, ad Alessano, all’epoca uno dei paesi più importanti del Capo di Leuca,  il 18 marzo del 1935 nasce Tonino Bello, da  Maria Imperato  e da Bello Tommaso. Il padre, maresciallo dei carabinieri, rimasto vedovo, si era risposato e con sé aveva portato Vittorio e Giacinto Carmine, i due figli che aveva avuto con la sua prima moglie, affidandoli alle premure e all’affetto della  sua nuova sposa che presto darà alla luce altre due creature, Trifone e Marcello. 

Il 29 gennaio del 1942 muore per morte improvvisa Tommaso. La madre, rimasta  vedova,  presto conoscerà la tristezza di altri due lutti: il secondo conflitto mondiale coinvolgerà nella sua tragedia anche questa povera famiglia. Il 9 settembre del 1943 Vittorio perde la vita nell’affondamento della corazzata Roma. E il  3 ottobre 1944 Carmine  Giacinto, radiotelegrafista sui Mas, muore improvvisamente come il padre, probabilmente a causa di un infarto cardiaco. 

In poco più di due anni il destino e la follia della guerra  si abbattono su questa famiglia portando il freddo della solitudine e della incertezza del domani. Il piccolo Tonino non aveva compiuto ancora dieci anni e già era il  fratello maggiore.  Da adulto ricorderà: “ Mio padre non lo ricordo. So che piangevo in segreto quando vedevo i miei compagni  delle elementari accompagnati a scuola dai loro papà “.

 Ma già da bambino, a causa della scomparsa dei due fratelli maggiori, il tarlo della follia della guerra  entrerà nelle sue ossa e lo accompagnerà sino alla fine dei suoi giorni: da vescovo conosce Ciccillo, un pescatore molfettese, anche lui era a bordo della corazzata Roma al momento del naufragio . Ciccillo riesce a salvarsi.  Don Tonino più volte si fermerà  con lui a rivivere il dolore di quei tragici momenti, quasi a voler donare al fratello una sua vicinanza e ad offrire a lui una promessa, la promessa di essere per sempre un uomo di pace.

 Un tributo che sente di dover vivere  anche per la sua gente  alla quale dedicherà parole bellissime:  “ Una gente – quella degli anni della sua infanzia – povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino , ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore.  Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito “.

(continua )

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