25 novembre 2018. Nessuno è rimasto spettatore: messaggi scritti o pensati, comprensione, compartecipazione, solidarietà…

IL PENSIERO E LA PREGHIERA

di Giacomo Bramato

Quanto sarebbe bello rivederti sorridere o terra!
Quanto sarebbe bello rivederti splendente!

Abbattuta, rovinata, distrutta.
È così che l'uomo oggi ti scruta; colpita e affondata come nave in battaglia.
Forte spirò l'alito del vento, veloci si mossero le grandi acque,
deboli però furono le tue pietre, i tuoi palazzi, le tue ville.
Fragili furono le belle foglie.

È vento di guerra, di rabbia, di terrore.
Quanto sarebbe bello rivederti in vita, o mia amata terra!
Non oso, non posso guardarti così come sei ridotta, non voglio pensarti ferita e sanguinante.
Non oso e non posso veder l' ospite tuo piangente, dolorante, disperato.
Troppo mi duole il cuore.

Guardo e piango, altro far non posso, lontano da te, in questo esilio, o mia bella terra.

Non una mia mano potrà raggiungerti, ma solo il mio pensier e la preghiera.

 

La mia colonna di Alfredo De Giuseppe

Niente è nostro per sempre. Niente ci appartiene in eterno, forse perché il concetto di eterno è solo letterario. Tutto quello che possediamo, per cui lottiamo è preso in noleggio: oggi lo usiamo, domani dovremo lasciarlo.

La casa, l’auto e i soldi non sono nostri e spesso ce ne dimentichiamo. Forse perché viviamo il momento, forse tendiamo a rimuovere, forse pensiamo che il bene materiale sia la cosa più importante che possa capitare nella nostra vicenda umana.

Possiamo usare molti oggetti, molto denaro e molti beni, ma non pensiamo che sono in affitto, che non ci appartengono, che sono provvisori. Forse perché siamo andati al notaio? O perché qualcuno ce li ha donati?

È doloroso sbarazzarsi di beni materiali per i quali si è lottato, si è vinto e si è perso. È doloroso chiudere un’azienda, vendere una casa, forse è anche ingiusto, ma è importante saperlo in anticipo, appena hai l’età di razionalizzare la tua vita.

Tutto diventa più accettabile se il possesso non è la priorità della tua esistenza. Tutto ha un inizio e una fine: ogni impero che si credeva imperituro è finito sotto i colpi del tempo che modificava gli eventi; ogni popolo che credeva di essere il migliore, il più organizzato, il più forte si è sfaldato sotto la propria stessa arroganza; ogni ricco ha vissuto momenti da povero e ogni povero ha stramaledetto il ricco.

Le vittorie non sono per sempre, così come le sconfitte, per fortuna. Le vittorie hanno il gusto amaro di aver vinto qualcuno più debole così come le sconfitte presagiscono altre sventure. Ancora più grandi, nella spirale negativa che in sostanza è la nostra intelligenza.

Niente è per sempre, ma molto potrebbe essere goduto per molto tempo, per molti miliardi di anni, per molti miliardi di persone. Ma dovremmo, con la giusta sensibilità, compenetrare in noi il concetto che la Terra non è nostra, è di tutti e quindi non appartiene a nessuno.

La distanza dal sole, la casualità della formazione, l’evoluzione biologica ce l’hanno affidata confidando nella nostra gestione, essendo l’unica razza che ha inventato la carta igienica. Abbiamo disperso il senso della natura, l’abbiamo sottomesso ai nostri desideri, abbiamo violato le lente leggi del tempo per avvalorare la tesi del possesso, del dominio su tutto.

Per arrivare a produrre quella carta igienica abbiamo inquinato fiumi e mari, abbiamo fatto le guerre, abbiamo rotto gli argini, invaso il tutto con la nostra ingordigia, con la nostra idea predatoria. Un’idea, quella predatoria, che doveva essere allontanata dall’evoluzione della specie. Perché siamo diventati intelligenti? Per distruggere la terra? Per avere più cose?

Per non avere più il senso dell’equilibrio?

Così riflettevo, nel solito impulso mattutino, mentre leggevo una cosa riguardante Jeff Bezos, il proprietario di Amazon, al momento l’uomo più ricco del pianeta. In una conferenza tenutesi a Seattle lo scorso 15 novembre ha testualmente detto: “Anche Amazon è destinata a fallire, come tutte le aziende. Può durare fra i 30 e 100 anni, possiamo essere bravi e attenti a portare più in là questo processo, comunque saremo destinati alla chiusura”.

Fa un certo effetto sentirlo dire da un uomo che ad ottobre ha toccato i 132 miliardi di dollari di patrimonio e che sta ridisegnando la vita del commercio e dell’informatica adattata al nostro quotidiano. Ma fa capire anche, con la brevità di uno scrittore americano, come accettare la effimera leggerezza di ogni uomo, delle sue cose e delle sue manie.

Niente è per sempre, tutto è provvisorio, niente è nostro permanentemente: non possediamo la Terra e l’Universo, e neanche un altro essere umano o la felicità edonistica.

Dobbiamo solo imparare ad amare la straordinaria bellezza di questo soffio provvisorio, a rispettare le persone e le cose, a comprendere il tutto che ci circonda senza l’ansia del possesso, senza il vincolo della ricchezza materiale. Passare attraverso la nostra vita senza fare eccessivi danni è una priorità.  

 

DOPO LA PAURA….IL CORAGGIO

La Redazione

L’idea che lanciamo alla Città è di creare un fondo per le emergenze

Il tornado che si è abbattuto domenica scorsa (25 novembre) sulle Marine di Tricase ha spazzato via molti luoghi comuni. Dopo il suo passaggio è emersa la forza delle vittime e la solidarietà degli altri.

Tricase si è scoperta comunità facendo venir fuori, alla faccia del vento e dell’acqua, il suo volto buono. Tanta la condivisione per quelli che, sfortunati, hanno subito danni alle loro proprietà e alle loro attività.

Toccanti, in un primo momento, il grido di dolore, la disperazione, le lacrime; ma altrettanto toccanti, subito dopo, la forza e la voglia di riprendersi, di ricominciare.

Intorno a chi ha subito danni, la solidarietà degli altri.

Nessuno è rimasto spettatore: messaggi scritti o pensati, comprensione, compartecipazione, solidarietà.

In tutti la consapevolezza che ogni albero, ogni pietra, ogni casa è patrimonio di tutti e che la perdita di una sola di quelle cose segna la perdita di un bene prezioso e di un pezzo di ciascuno di noi.

Oltre ad esprimere tutta la nostra vicinanza e solidarietà, per quel che vale ma siamo sicuri che vale tanto, l’idea che lanciamo alla Città è di creare un fondo per le emergenze.

Una sorta di tesorino tricasino riprendendo l’idea di tanti anni fa di un nostro Redattore.

Una raccolta di fondi, coordinata dallo stesso Comune, che raccolga quanto spontaneamente i cittadini vogliono donare. Il ricavato da destinare ad interventi di ripristino di quanto il tornado ha distrutto ma anche per migliorare la Città.

Una forma tangibile di solidarietà e una testimonianza vera di comunità.

Tricase deve fare spazio alle buone azioni e, passata la paura e il comprensibile sconforto, riprendere il cammino, perché è un cammino condiviso da tutti.

 

 

 

Sabato 1 dicembre, alle ore 18,30, presso le Scuderie di Palazzo Gallone a Tricase, l’Associazione Dialoghi e Reti, con il patrocinio della Città di Tricase, presenta il volume

Il viaggio di Tricás (Youcanprint, Tricase 2018) di Giovanni Cavallera.

All’introduzione di Cosimo Musio, Presidente dell’Associazione e all’intervento del Sindaco Carlo Chiuri seguirà il dialogo con l’autore a cura del noto giornalista Tonio Tondo della «Gazzetta del Mezzogiorno». Sicuramente ciò costituirà un momento di non piccolo interesse per i Tricasini che vedranno riemergere da un remoto passato delle vicende poco conosciute della loro storia come in genere della storia del Salento.

Infatti, al di là del suo impianto narrativo che costituisce una lettura piacevole,

Il viaggio di Tricás sviluppa effettivamente una tesi rivoluzionaria per una comunità (quella di Tricase) da secoli abituata a considerare il nome della propria città derivata dalla fusione di tre (o più) casali.

La tesi dell’origine di Tricase come riunione di tre casali, tesi avanzata tra il XVI e il XVII da Marciano, Tasselli e Micetti (in un periodo storico che aveva rimosso quello medievale) e culminata nell’Ottocento con la proposta di uno stemma civico da Amato Amati, viene a cadere di fronte all’evidenziare come il nome di Tricase sia ben più antico di quanto si crede e trova la sua origine nel mondo bizantino a cui l’attuale provincia di Lecce per secoli appartenne.

Così nella seconda parte del volume il prof. Cavallera mostra, con precisione storica, i rimandi culturali e filologici che rendono la sua tesi sostanzialmente convincente, fissando l’origine di Tricase ben mille anni fa, ai tempi della ribellione a Bisanzio del barese Melo, e collocando la fondazione della città all’interno di una operazione di valorizzazione del territorio da parte dell’esercito bizantino.

Pertanto, in un sapiente intreccio di realtà e fantasia (questo è in fondo il volume) la città di Tricase recupera non solo un passato storico dimenticato, matrova un glorioso momento fondativo che la distingue da un freddo anonimato.

Giovanni Cavallera, del resto, è riconosciuto scientificamente, in campo nazionale e internazionale, come un esperto di storia bizantina, sulla quale ha pubblicato diversi saggi scientifici e nel libro. 

Il viaggio di Tricás si mostra anche abile narratore, sì che il testo manifesta appunto una lettura scorrevole pur nella cura dei particolari, mentre consente il recupero di un passato glorioso, che ha lasciato numerose tracce in terra d’Otranto.

Non a caso la presenza di Bisanzio nel Salento durò ben cinque secoli e di essa rimangono diverse cripte e chiese a Carpignano, Casarano, Cutrofiano, Otranto, Miggiano, Nociglia, nella stessa Tricase (Sant’Eufemia), ecc.

Il tema dell’avventura di Demetrio Tricás nel Salento ove viene fondata in suo onore una città che sarà sede di principato e darà illustri figli alla storia della Penisola appare collegato ad antiche tradizioni, contribuendo a favorire la valorizzazione della nostra terra e al tempo stesso ulteriormente avviando ad una puntuale ricostruzione storica non sempre adeguatamente sviluppata.

E' un evento Libreria Marescritto e il Volantino

Mercoledì, 28 novembre. Ore 20.15 Sala del Trono di Palazzo Gallone

CHI E’ CARLO CALENDA

Carlo Calenda è stato viceministro dello Sviluppo economico con delega al commercio internazionale. Rappresentante permanete dell’Italia presso l’Unione europea e dal marzo 2016 Ministro dello Sviluppo economico, prima con il governo Renzi e poi con il governo Gentiloni. Ha presieduto il consiglio di commercio dell’UE, di cui è stato membro per cinque anni, durante il semestre di presidenza italiana, e i G7 Energia e Innovazione.

Prima di entrare in politica è stato manager alla Ferrari, a Sky e direttore degli Affari internazionali in Confindustria E’ stato uno dei fondatori di Scelta Civica nel 2013. Orizzonti selvaggi è il suo primo libro.

Dal libro ORIZZONTI SELVAGGI capire la paura e ritrovare il coraggio,

di Carlo Calenda, Edizioni Feltrinelli

“Per quindici anni ho lavorato in grandi aziende internazionali, il Made in Italy è stata la mia bandiera. La globalizzazione e l’innovazione il campo da gioco dove l’Italia, grazie alle sue eccellenze, avrebbe senz’altro vinto. Giocare in attacco, mai in difesa. Conquistare mercati, consumatori, turisti: questa era l’unica strategia percorribile per l’Italia e per l’Occidente.

Poi l’incontro con le crisi aziendali mi ha cambiato, così come i cinque anni passati dentro il consiglio del commercio con l’Ue. Un corso accelerato in “dogmi e contraddizioni della globalizzazione”. Sono ancora convinto che abbiamo molte carte da giocare nella competizione internazionale, soprattutto grazie straordinari imprenditori che ogni anno partono alla conquista di mercati lontani che a prima vista sembrerebbero inaccessibili, e a professionisti che primeggiano in tutte le classifiche internazionali. Conservo tante bellissime immagini dell’Italia che vince. Ma non c’è solo quella. E soprattutto nessun paese può pensare di diventare nella sua interezza un’eccellenza. Questo non è un modello di sviluppo, è un’utopia, e anche piuttosto spaventosa.

Molte certezze che hanno accompagnato le ultime generazioni di progressisti si sono sgretolate. Viviamo in un’epoca in cui il futuro è diventato il luogo della paura piuttosto che della speranza. E da qui forse occorre ripartire: ridare diritto di cittadinanza alle nostre paure, per ritrovare il coraggio e affrontare un mondo più duro e difficile. Siamo in un momento di trasformazione rapido e violento il cui punto d’approdo e, nella migliore delle ipotesi, sconosciuto”.

“Negli ultimi trent’anni le classi dirigenti di destra e di sinistra si sono arrese davanti alle velocità del cambiamento. Ebbri o spiazzati per la sconfitta del comunismo, a seconda della provenienza ideologica, hanno perso il senso del loro compito. E il paradosso è che la politica è diventata più ideologica proprio quando sembravano morte le ideologie, perché ha assunto dalla teoria economica un pensiero diventato rapidamente dogma.

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