Radio Waves Tricase, La nuova Web Radio Tv del Salento

Nasce il 21 di maggio del 2018 da un’idea dell’editore Carlo Aprile che dopo 30 anni di radio ha deciso di abbattere le barriere tra radio e ascoltatori creando uno studio radiofonico di 120 mq dando la possibilità a chiunque di poter accedere in radio e partecipare a qualsivoglia trasmissione diventando parte integrante del programma.

Radio Waves può ospitare fino a 60 persone che possono assistere e partecipare ai vari programmi del palinsesto dalla mattina alla tarda serata inoltre dà la possibilità a chiunque di poter andare in onda sia audio che video come giovani artisti gruppi musicali o dj per potersi promuovere sul territorio.

Una Web Radio Tv aperta a qualsiasi argomento e iniziativa.

La trovate in piazza Castello dei Trane e su www.radiowavestricase.it

o scaricando l’app gratuita: Radio Waves Tricase

La mia colonna

di Alfredo De Giuseppe

Ha fatto scalpore in questi ultimi giorni l’arresto prima a Lecce di 7 persone e poi a Roma di altre 6, oltre a decine di avvisi di garanzia, per l’irregolare assegnazione di case popolari.

A Lecce sono coinvolti ex-assessori, funzionari, consiglieri comunali e vari. Pare che tutte queste persone brigassero in qualche modo affinché gli alloggi venissero attribuiti non in base a punteggi acquisisti ma secondo convenienza politica (scambio di voti) o per favorire semplicemente l’amico/familiare/amante/ che risultava vicino al potente del momento.

Al di là dei fatti di cronaca, ho tentato di capire meglio come funziona l’assegnazione di un alloggio popolare. Sono rimasto meravigliato della differenza di punteggi, regolamenti e tempi di assegnazione fra le varie regioni, addirittura fra i Comuni che in effetti hanno 8.000 regolamenti e canoni differenti (si va dai 12 € mensili di Pescara ai 300 di Milano).

In alcuni casi è necessaria la residenza prolungata, in altri bisogna dimostrare di avere un reddito e in generale le graduatorie sono formate da punteggi complessi da analizzare per chiunque.

In linea di principio sono avvantaggiati nella concessione i soggetti che richiedono l’assistenza dei servizi sociali comunali, quelli che non avendo la possibilità alloggiano presso dormitori pubblici, nuclei familiari con soggetti invalidi e naturalmente famiglie con molti figli o con reddito inferiore alla soglia di povertà, stabilita in genere sotto i 25.000 euro annui.

La cosa più bella è che i bandi escono ogni 4 anni e se uno non vince la lotteria al primo colpo può aspettare anche 8 o 12 anni. Nel frattempo lo stato di necessità è diventato stato di depressione totale. È evidente che, secondo il solito schema italico, brigare con l’amico, raccomandarsi, salire di graduatoria, anticipare i tempi, scavalcare un altro ancora più povero, è il gioco al massacro più empio che si possa immaginare: un gioco violento e assurdo voluto dalla congiunzione astrale di funzionari e politici.

Ma le domande che da anni mi faccio impongono una riflessione sull’essenza stessa di “Casa Popolare”. Perché queste case devono essere costruite in periferia, possibilmente senza servizi, trasporti e negozi? Quale pena punitiva sottende l’attribuzione di una casa popolare? Perché forzatamente brutte dal punto di vista estetico, quasi sempre senza ascensore, senza garage e senza una vita intorno?

E perché per completarle ci si impiega un tempo indefinito, quasi mai inferiore ai dieci anni? Perché costruirle con materiale scadente, dove le infiltrazioni, le muffe e la dispersione energetica sono la regola? Perché l’Istituto Case Popolari è una specie di roccaforte inaccessibile, dove non è possibile avere informazioni di nessun genere?

Ho visto molti Paesi ex-comunisti, dove le case erano tutte uguali, tutte grigie, tutte piccole e miserevoli: in questi ultimi decenni tutte quelle amministrazioni hanno tentato di modificare quello stato di cose con interventi seri, organizzati e ben studiati (anche con abbattimenti).

I quartieri delle ex case del popolo son diventati dei bellissimi quartieri, vivaci, colorati, pieni di cose e di idee. In Italia invece, in quasi tutti i Comuni, questi palazzoni sono rimasti l’emblema della solitudine, della povertà, dell’abbandono.

Nel silenzio generale e soprattutto con un approccio al problema completamente errato, a cominciare dai tecnici, dai sociologi fino ai cittadini comuni, i benpensanti proprietari di belle case e villette. Se io, da bambino, fossi stato “deportato” da un centro storico, stratificato nella sua storia millenaria, in una di queste case lontane da ogni cosa, non avrei avuto il piacere di integrarmi con la stessa società che in definitiva mi aveva discriminato, allontanato, destrutturato nella mia quotidianità.

La povertà economica è divenuta immediatamente povertà culturale e sociale: mi chiedo se sia stato un progetto ricercato (punitivo dicevo), voluto da scelte ben precise oppure nato nell’insipienza di un tempo di necessità e poi mai rivisto per pigrizia o per semplice gioco delle parti.

Non so rispondere e non oso chiederlo neanche agli abitanti delle varie case popolari che in genere hanno le scatole piene di rispondere a quesiti scontati, sentire discorsi retorici e promesse elettorali. La realtà purtroppo è una sola: queste case popolari hanno distrutto le nostre città, hanno degradato le periferie, senza risolvere davvero i problemi dei suoi abitanti, aggravandoli anzi nella sofferenza quotidiana, nella mancanza di bellezza, serenità e armonia.

Queste tre cose erano l’essenza della casa nella testa di ognuno di noi: la mafiosità italiana, l’eterna bugia consolatoria ha prodotto invece le nostre periferie, che ormai non sono fuori città, ma sono la città, nell’infelicità di molti.  

di Giovanni Scarascia

Psicologo Clinico Dinamico

Consulente esperto nella risoluzione pacifica dei conflitti

La mia esperienza internazionale nel campo dell’educazione mi ha portato ad interrogarmi e formarmi su alcuni aspetti fondamentali del nostro tempo  che , tragicamente, incidono sulla formazione, sull’equilibrio e quindi sul benessere delle nuove generazioni.

Da poco rientrato in Italia, mi è sembrato di capire che il sistema scolastico in generale non riesca a fornire le necessarie risposte a  domande del tipo: “ Cosa serve ai nostri ragazzi per vivere e godere della loro vita nel mondo? Quali competenze devono affinare per essere dei cittadini attivi e positivi? Come il sistema famiglia può favorire questo processo?”

E ancora “Siete soddisfatti di ciò che si insegna nelle scuole? Non credete che manchi qualcosa? Che si dovrebbe insegnare l’empatia come la storia? La gestione delle emozioni come la geografia? L’ascolto come la grammatica? La Scuola non dovrebbe anche insegnare a parlare in  pubblico? A gestire le relazioni? A prendere decisioni assertive? A mediare i conflitti e ad insegnare a vivere in pace?”

Di solito avverto nei ragazzi una profonda mancanza di punti di riferimento, una profonda mancanza di strategie comunicative e di competenze emotive, quelle che fondamentalmente ti permettono di relazionarti con l’Altro, e di non vederlo come un forziere da svuotare o un avversario da distruggere, ma come un compagno di viaggio. Quelle, in poche parole, che ci permettono di mettere in pratica azioni di pace e non reazioni di guerra.

Professori, Dirigenti scolastici e genitori, mi hanno affidato bambini e adolescenti dicendomi

“è che ha un problema...”. Io, gentilmente, rispondo e ricordo che il ragazzo è semplicemente il risultato delle azioni degli adulti. E che il “problema” non è solo suo, ma di tutti.

Lo studio fatto in Mediazione e Risoluzione Pacifica dei Conflitti mi ha permesso di percepire un livello di conflittualità molto alto, e veramente poche caratteristiche per risolverlo pacificamente, sia dal punto di vista personale che strutturale.

La Pace è una scelta consapevole, difficile, che ha bisogno di un particolare ambiente personale e interpersonale per “succedere”. E dipende soprattutto dalle risorse che le persone sentono di avere (dentro e fuori) e dalla qualità di relazione con l’Altro.

Il Conflitto non è la guerra, non è la violenza. È un Punto nel Tempo e nello Spazio dove si incontrano “Diversità”. La guerra e la violenza sono una risposta di risoluzione. Il Conflitto è Incontro. Nulla più.

Per questo credo che sia necessario, per far “succedere la Pace”, una profonda riflessione su come stiamo propiziando la guerra, sul perchè la violenza e la prevalicazione sull’Altro sia spesso la prima reazione scelta, e non stupirci quando le nuove generazioni si comportano in maniera “incomprensibile”. I bambini imparano da ciò che vedono, da  ciò che vivono, non da quello che gli si dice.

E noi , invece ,progressivamente abbiamo insegnato loro a farsi la guerra, a competere con l’Altro per stabilire presunte superiorità.

La mia esperienza in Colombia, nel campo educativo, mi ha permesso di strutturare una mia proposta, diversa  rispetto al curriculum ordinario offerto dalle scuole , che credo possa essere utile anche in Italia ed in particolare spero nel mio Salento.

Il Programma “Epicentro di Pace” mira ad affrontare il problema della violenza e dell’esclusione, vuole sensibilizzare i ragazzi e gli educatori ad un differente atteggiamento rispetto alla funzione dell’educazione e al coinvolgimento delle famiglie. È un intervento strutturato e temporalmente determinato che intende arricchire la forma di gestione dei conflitti all’interno delle scuole.

Che vuole insegnare a fare la Pace.

Vuole, inoltre, creare un spazio fisico di ascolto e riconciliazione all’interno degli istituti, dove i ragazzi possano apprendere una forma diversa di dirimere i conflitti, di vedere l’altro, di intendere le propie responsabilità e le propie libertà, che soprattutto perduri al termine dell’intervento stesso.

Dopo più di un decennio all’estero, ho deciso di ritornare in Italia .

Mi auguro di essere di aiuto alla mia comunità di origine e di realizzarmi professionalmente.

La Redazione

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di Maria Assunta Panico

Consigliere comunale

La storia urbanistica di Tricase ricalca quella di molti comuni salentini, ma ha delle peculiarità che permangono ancora oggi. Tricase, come ben sappiamo, non ha un solo nucleo abitato ma è una costellazione di centri antichi: il centro, i quartieri e le frazioni, tutti con una storia secolare, dotati di palazzi e castelli con un nucleo storico intorno; a questi si aggiungono le due marine Tricase Porto e Marina Serra.

Questi nuclei, come emerge dalla ortofoto del 1947, subito dopo la guerra, erano completamente staccati l’uno dall’altro, mantenendo l’assetto che avevano avuto per secoli. Dagli anni ’50 ai ’60 lo scenario comincia a cambiare velocemente; la grande emigrazione porta un ritorno economico; contemporaneamente Tricase diviene luogo privilegiato per la lavorazione del tabacco intorno alla quale, per molti anni, ha ruotato la nostra economia.

In questi anni si realizzano le prime grandi lottizzazioni, che, senza un ordine urbanistico, avvengono per frazionamento dei terreni limitrofi ai centri abitati da parte delle famiglie di grandi proprietari terrieri. Nel 1960 si conferisce incarico all’Ing. Marcello Fabbri per la redazione del Piano Regolatore Generale ed il 20 maggio 1961 il Piano viene adottato.

Nella Relazione Tecnica del Piano scritta dall’Ing. Fabbri si legge: “……la presenza di quattro nuclei abitati esistenti, e la configurazione altimetrica del terreno, ha permesso di riorganizzare il comprensorio urbano in una serie di nuclei che si è cercato di mantenere, per quanto possibile, ben individuati anche se collegati e coordinati tra loro nel complesso delle funzioni urbane.

Ciò allo scopo di evitare la formazione di monotone zone edilizie, solcate da interminabili reticolati di strade ad angolo retto, come avviene nelle attuali espansioni, dove le lottizzazioni sono ispirate soltanto dal criterio del massimo sfruttamento del suolo da parte dei proprietari, senza alcun riguardo per l’interesse pubblico, per il decoro urbano e per il benessere dei futuri abitanti…..”. Erano gli anni del boom economico; porre dei vincoli ai terreni adiacenti al tessuto urbano scontentava molti potentati ed il Piano non ha avuto mai un seguito.

Nel frattempo continuavano le lottizzazioni e si realizzava l’albergo “Li Sauli”, l’ecomostro sulla scogliera di Tricase Porto. Nei cinque anni successivi all’adozione del Piano Fabbri vengono presentate ed approvate settanta lottizzazioni, senza criterio, senza prescrizioni, per complessivi 2000 lotti edificabili, un totale di 800.000 metri quadrati, così condizionando fortemente lo sviluppo urbanistico odierno. Nel 1967 si realizza, per volere del Cardinale Panico, l’ospedale che segnerà il destino del paese. L’ospedale è il vero salto di qualità sotto l’aspetto sociale, economico e sanitario del Territorio, ma, incastonato nel centro urbano, non ha possibilità di espandersi, creare servizi e parcheggi ed è, questo, un nodo centrale dell’attuale pianificazione urbanistica.

Negli anni sessanta vengono, anche, realizzate molte scuole superiori, Agrario, Industriale, Magistrale, Professionale e Scientifico, che attraggono, ancora oggi, molti studenti dai paesi limitrofi. Le scuole e l’ospedale innescano un fenomeno di pendolarismo dai centri vicini a cui non corrisponde una adeguata proposta di mobilità pubblica e parcheggi di scambio, anche questo è un altro dei punti da affrontare nella pianificazione in itinere. Nel 1967 venne conferito incarico all’Ing. Sarno per la redazione di un Piano di Fabbricazione. Il Piano viene approvato nel 1975, sovradimensionato, con una previsione di 30.000 abitanti ed è ancora oggi lo Strumento Urbanistico Vigente.

Agli inizi degli anni ’80 venne conferito incarico per la stesura del Piano Regolatore Generale sempre all’Ing. Sarno, ma il Piano non venne mai adottato. Da allora ci sono stati altri tentativi per la redazione di un Piano Urbanistico Generale ma vari eventi e vicende, anche giudiziarie, ne hanno impedito la formazione. Nell’attesa della definizione di queste circostanze, l’Amministrazione “Coppola”, di cui ero parte con il ruolo di Assessore all’Urbanistica ed Assetto del Territorio, ha affrontato altre questioni urbanisticamente molto importanti, giungendo all’approvazione del Piano Comunale delle Coste ed avviando l’iter di redazione del Piano Regolatore del Porto. A giugno 2016 è stato affidato, a seguito di gara, incarico per la Redazione del Piano Urbanistico Generale allo studio “Benevolo”.

Successivamente è stato approvato l’Atto di Indirizzo, il Rapporto Preliminare di Orientamento e si è svolta, nei mesi di novembre e dicembre 2016, una coinvolgente fase di partecipazione con l’organizzazione di incontri tematici in diversi luoghi del territorio che hanno visto la partecipazione di presidenti di associazioni, rappresentanti di categorie di settore, alcuni imprenditori, diversi tecnici (ingegneri, architetti, geometri, paesaggisti), studenti, e cittadini singoli non inclusi nelle categorie suddette.

Gli incontri si sono svolti attraverso laboratori condotti dalla psicologa di comunità e dall’architetto urbanista, così acquisendo informazioni e percezioni utili ai tecnici ed ai Responsabili del Piano per integrare il punto di vista dei cittadini negli indirizzi di pianificazione. E’ stata avviata, quindi, la procedura di Valutazione Ambientale Strategica ed abbiamo approvato il Documento Programmatico Preliminare. Documento che, prima dell’approvazione, abbiamo esposto e discusso nella prima conferenza di copianificazione con gli Enti preposti.

La successione di eventi che ho descritto in premessa non è esaustiva per delineare la storia urbanistica di Tricase, ma è sufficiente a comprendere i problemi che la nuova pianificazione deve affrontare. Una realtà territoriale disgregata che ha bisogno di una visione unitaria, il susseguirsi di sovrapposizioni ed addizioni finalizzate solo alla rendita fondiaria ha portato alla mancanza di una struttura viaria razionale ed una carenza di spazi verdi e parcheggi all’interno della città edificata. Rigenerazione dei nuclei storici, tutela ambientale del territorio, sviluppo sostenibile delle marine. Il Piano vigente non è adeguato al governo di un territorio così complesso, un nuovo Piano è urgente ed imprescindibile.

Tuttavia, da un pò di tempo a questa parte il processo di formazione del PUG sembra essere retrocesso nel dimenticatoio generale, nonostante i nuovi elaborati grafici presentati dai progettisti siano, da mesi, nella disponibilità dell’attuale Amministrazione. E’ calato un silenzio opprimente sui temi della pianificazione comunale, potrebbero e dovrebbero essere coinvolti i cittadini nella nuova fase di redazione del piano strutturale e programmatico, ricominciare la fase di partecipazione e condivisione.

Il Piano Urbanistico dovrebbe rappresentare una vera priorità nel governo del territorio e non essere solo un tema della campagna elettorale. Ci auguriamo, per il bene di Tricase, che la compagine di governo prenda coscienza dell’importanza della pianificazione territoriale nello sviluppo sociale ed economico della città e si attivi per dare nuovo impulso alla formazione del PUG.

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