LUNEDI 21 MAGGIO - ore 16.30 – PALAZZO GALLONE

LIBRERIA MARESCRITTO E COMUNE DI TRICASE PRESENTANO:

IL VIOLENTO MESTIERE DI SCRIVERE

GIORNALISMO E NARRAZIONE: UN CORPO A CORPO CON IL MONDO

INCONTRO CON IL DIRETTORE DELL’ESPRESSO MARCO DAMILANO

 che parlerà del suo ultimo libro

“UN ATOMO DI VERITA’. ALDO MORO E LA FINE DELLA POLITICA IN ITALIA”  (Feltrinelli Editore)

A Roma, in via Fani, la mattina del 16 marzo 1978, alle ore 9,15 un commando di terroristi appartenenti alle Brigate Rosse blocca l’auto su cui viaggia il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e l’Alfetta che la segue. Vengono sparati 80 proiettili: l’azione dura appena tre minuti e si conclude con la morte dei cinque uomini della scorta ed il rapimento di Aldo Moro.

La prigionia dura 55 giorni, durante i quali le Brigate Rosse comunicano con l’esterno attraverso dei comunicati fatti trovare dai giornali e informano che Aldo Moro è prigioniero politico e verrà giudicato secondo i criteri della giustizia proletaria.

Alla fine del processo Aldo Moro verrà condannato a morte. Viene infatti ucciso il 9 maggio e fatto trovare nel portabagagli di una Renault rossa in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure a pochi passi dall’Altare della Patria.

Questi i momenti salienti che tutti conosciamo: l’inizio, il culmine e la fine del sequestro Moro.

Sui molti lati oscuri della vicenda c’è tutta una letteratura, documentari ed anche il cinema si è occupato a più riprese di quello che nei 40 anni successivi è diventato il “caso Moro”.

Damilano si sofferma poco sui misteri dei 55 giorni e per principio quasi non nomina i brigatisti, compiendo così una scelta che contiene il giudizio politico della sconfitta del progetto brigatista.

Il libro di Damilano non è un saggio e neppure un romanzo: è prima di tutto un viaggio nella memoria di un giornalista che quel 16 marzo del 1978 era un bambino che passa con il suo pulmino delle scuole elementari da Via Fani venti minuti prima della strage ed è chiaro che quel giorno, quel ricordo rimarrà indelebile nella sua mente e segnerà, con la presa di coscienza successiva, la sua formazione umana, politica e professionale.

Compiendo un viaggio anche fisico nei luoghi di Aldo Moro, quelli della sua vita, del suo sequestro e della sua morte e, aspetto importantissimo, rileggendo i suoi pensieri, quelli delle lettere che Moro scrisse durante la prigionia mentre si consumava il suo dramma umano e psicologico oltre a quello politico, Marco Damilano, da appassionato di storia della politica, ci restituisce la figura di un uomo che, scrive, “è stato sicuramente un uomo di potere, ha conosciuto il potere in tutti i suoi aspetti, anche il più crudo e il più oscuro. Nessuno come lui sapeva cosa si muove nel fondale occulto della politica e della società italiana. Ma proprio per questo immaginava la costruzione di percorsi complessi, di tempi lunghi, di non esaurire un progetto politico nello spazio di un istante. Anche la sua ultima operazione, l’ingresso del Pci nella maggioranza di governo, aveva un respiro strategico”.

 Moro aveva compreso più di ogni altro la necessità di un cambiamento profondo del sistema politico italiano e si sforzava di guidare il paese verso una rifondazione delle istituzioni democratiche.

“Se voi mi chiedete fra qualche anno cosa potrà accadere (parlo del muoversi delle cose, del movimento delle opinioni, della dislocazione delle forze politiche), io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se fosse possibile dire:saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà” (dal discorso di Moro ai gruppi parlamentari democristiani del febbraio 1978).

Sequestrato e poi ucciso Moro si interrompe brutalmente anche il suo disegno politico, che nessuno è stato più in grado di proseguire.

“Via Fani”, scrive Damilano, “ è stato il luogo del nostro destino. La Dallas italiana, le nostre Twin Towers. Il momento che ha cambiato tutto. Nel 1978, l’anno di mezzo tra il ’68 e l’89. Tra il bianco e nero e il colore. Lo spartiacque di diverse generazioni che cresceranno tra il prima e il dopo: il tutto della politica – gli ideali e il sangue – e il suo nulla. La trasformazione della politica da orizzonte di senso a narcisismo e nichilismo, da speranza a paura e rabbia, con il rischio di annullare in entrambi i casi il singolo individuo. Il sequestro di Aldo Moro ha segnato la fine di una generazione. La sua morte ha spezzato l’ultima possibilità della Repubblica dei partiti di auto-rinnovarsi”.

Parlerà con Marco Damilano Stefano Martella (giornalista e scrittore)

Con l’intervento del Sindaco Carlo Chiuri

 

di Alessandro Distante

Sono passati più di due mesi dalla consultazione elettorale per il rinnovo del Parlamento; oltre ad attendere ancora la formazione di un Governo, attendiamo di vedere sul territorio gli Eletti.

Alcuni erano e sono rimasti degli illustri sconosciuti, altri erano e sono rimasti dei fantasmi.

La continua latitanza dei partiti, attivi soltanto in periodo elettorale, non esime tuttavia gli Eletti dal cercare un rapporto con i cittadini.

Non sembra che questa esigenza sia stata avvertita.

Eppure sono in gioco gli interessi collettivi, affidati, in questa fase, soprattutto a chi stila contratti destinati a fare la storia; vero è che si annunciano gazebi e consultazioni on line, bypassando la fiducia da ricercare in Parlamento (come dice la Costituzione), ma ciò non impediva agli Eletti di farsi vedere per ascoltare e così, magari, favorire anche qualche spunto per il redigendo programma di Governo.

Gli Eletti, peraltro, rappresentano la Nazione (come dice la Costituzione) e non solo gli iscritti ad un Partito o Movimento.

Ed invece nulla di tutto questo, con Parlamentari che non hanno avvertito, al momento, l’esigenza di essere sul territorio, forse troppo occupati a lavorare per la nascita del Governo o troppo preoccupati di dover nuovamente presentarsi agli Elettori che, ancora una volta ingrati e pregiudizialmente ed ingiustamente polemici, potrebbero dire:

“Ma questi, chi li ha visti?”

 

 

di Cosimo Musio  Presidente “Dialoghi e Reti”

DON TONINO E TRICASE. LA SUA AZIONE, LA SUA EREDITA’…

Continuano gli appuntamenti organizzati dall’Associazione “Dialoghi e Reti”. Come abbiamo già avuto modo di dire, la nostra Associazione nasce con l’intento di promuovere e suscitare occasioni di riflessione e di dialogo su tematiche di interesse sociale. Riteniamo, infatti, che una Comunità si connatura come tale anche dalla capacità di interrogarsi, dialogare ed esperire percorsi di vita condivisi e solidali, orientati alla realizzazione del bene comune.

Dopo l’incontro con il Sindaco Carlo Chiuri e il convegno su Aldo Moro, tenuto dall’on. Gero Grassi, il 22 e 23 maggio prossimi, saràla volta di un appuntamento carico di emozione e, ci auguriamo, di spunti di riflessione, dedicato a don Tonino Bello e al suo ministero di parroco nella nostra città.

L’iniziativa nasce da una riflessione: in questi 25 anni tanto si è parlato e si è scritto di “don Tonino Vescovo”, poco di “don Tonino Parroco”.

Si è avuta l’impressione che Tricase, pur amandolo molto, lo abbia testimoniato poco; anzi, soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla sua consacrazione a vescovo, si è cercato di riporre in un cantuccio quanto da lui realizzato. Ed anche dopo la sua morte ha prevalso il timore ad aprire una riflessione comunitaria sul suo ministero di parroco che, pur avendo riguardato solo una delle tante, troppe, parrocchie di Tricase, ha avuto, tuttavia, un’impronta più ampia.

Spesso si è affidata l’esegesi del suo pensiero e della sua azione a persone che hanno “letto” don Tonino e non a chi, invece, lo ha “vissuto”.

Forse, chissà, la sua preghiera/testamento “La Lampara”, anziché ispirare la meditazione e la traduzione in pratica del suo lascito, ha prodotto l’effetto opposto: ha inibito gli animi. E, per la verità, ciò non può meravigliare. Don Tonino non passa nelle vite di chi gli si accosta, anche se in maniera postuma, senza causare una crisi di coscienza. La sua forza sta nella capacità di mettere a nudo, di fronte al proprio vissuto, il lettore o chi ne fu fortunato uditore. Don Tonino, pur dicendo bene di tutti, come scriveva Padre Turoldo, pone quesiti evangelici che non lasciano via d’uscita. La scelta che pretende è una scelta radicale a favore dei poveri, degli emarginati, degli esclusi…dei dropout. Senza se e senza ma.

Rispetto a questa inibizione ci piacerebbe provocare un’inversione di tendenza: contribuire ad aprire un confronto, libero e franco, rischiare, mettendoci in discussione tutti, e tutti insieme, come Comunità. Sono queste le ragioni, che mi auguro nessuno vorrà considerare presuntuose, che ci hanno spinto ad organizzare un incontro chiedendo a degli Amici di aiutarci a riflettere e a meditare.

Abbiamo chiesto a Gigi Lecci, Claudio Morciano e Caterina Scarascia, che con don Tonino hanno condiviso il percorso nelle organizzazioni laicali e all’interno della parrocchia, di offrirci la loro radicata testimonianza.

Alfredo De Giuseppe, al tempo giovane uomo, inquieto e intraprendente, e Vittorio Serrano, in quegli anni Sindaco di Tricase, approfondiranno il contributo che don Tonino ha dato alla Comunità sociale e politica.

Sarà, poi, Alessandro Distante, dal suo osservatorio attivo di Direttore de “Il Volantino”,

a creare un ponte tra “gli anni di don Tonino Parroco” e i nostri tempi, ponte propedeutico ad un auspicato percorso dialogico che, ispirato dal“La Lampara”, tratteggi un futuro che spetterà a tutti noi scrivere.

Il tutto con la speranza che la memoria di don Tonino stimoli sempre più, nella nostra Comunità,“la capacità di inventarsi, la gioia di prendere il largo, il fremito di speranze nuove, (…) l’ebbrezza di camminare insieme”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Pino Greco

LIBELLULA FULGOR TRICASE: UNA CASA DOVE SI STA BENE….

E’ il momento di dire grazie… E’ finita la stagione 2017/18. Tra gli applausi e saluti.

E’ il momento di dire grazie

Grazie perché sono stati rispettati i programmi di inizio anno.

Grazie perchè è stata una stagione esaltante, una Fulgor salva con largo anticipo con ben quattro giornate.

Grazie perché è stato fatto un buon lavoro, un campionato con la mentalità giusta, un giusto mix tra la valorizzazione dei giovani e il far divertire i tifosi.

Grazie perchè si chiude con un settimo posto a 33 punti, il primo campionato nazionale di serie B della gestione Cassiano.

Grazie perché è il secondo anno della Libellula, due anni di risultati positivi per tutta la società rossoblu tricasina.

E’ il momento di fare i complimenti

Complimenti alla società che ha una eccezionale resistenza alla passione e al lavoro.

Complimenti alla famiglia Cassiano, al presidente Francesco, al figlio Enrico e alla moglie Rosaria.

Complimenti per la professionalità ed efficienza ai medici Salvatore Cacciatore, Carlo Cazzato e Sandra Perrone.

Complimenti ad Antonio Scarascia e Letizia Pecoraro, Stefano Sodero, Pierangelo De Marco, Donato Casciaro, Massimiliano Coluccia, Francesco Ciardo, Giuseppe Stefanizzi e Riccardo Lecci che hanno fatto un lavoro straordinario.

Complimenti a Michele De Giorgi, primo allenatore e Giuseppe Amoroso, secondo allenatore, per aver contribuito ad una stagione equilibrata e ben giocata. Complimenti agli atleti che hanno dimostrato grande attaccamento alla maglia.

Complimenti agli sponsor che hanno partecipato, hanno creduto e continuano a credere nella pallavolo tricasina, rendendo possibile lo svolgimento di un campionato importante come quello della serie B maschile nazionale.

Complimenti ai tifosi, a tutti coloro che giorno dopo giorno, partita dopo partita, fanno di questa società una casa dove si sta bene.

Un pensiero a chi non ce l’ha fatta ed è morto tra l’affetto della moglie e dei due figli.

Grazie e complimenti doppi perchè le sconfitte e le vittorie rivelano il cammino della vita e fanno maturare.

Grazie a tutti, e se ho dimenticato qualcuno perdonatemi… sarà per il prossimo anno 

di Nunzio Dell'Abate

Pur continuando ad espletare i nostri compiti istituzionali, abbiamo scientemente silenziato l’azione mediatica da qualche tempo a questa parte. Abbiamo infatti notato una certa insofferenza alla nostra esuberanza propositiva e non volevamo essere di intralcio al governo cittadino.

 

Specie con un Sindaco che vede tutto nero e complotti dappertutto ed alla prima difficoltà minaccia le dimissioni.    

 

Ma a distanza di un anno dall’insediamento della nuova Amministrazione, un minimo di sana verifica va fatta non fosse altro che per schiarirsi le idee e ripartire con più determinazione.

Verrebbe da sintetizzare, rivisitando a Tricase la canzone vincitrice a Sanremo, “Non mi avete fatto niente” in “Non avete cambiato niente”. Infatti, a parte l’aumento delle indennità di sindaco ed assessori e delle posizioni verticistiche del personale, nulla è mutato.

 

Anche il primo bilancio di programmazione economica - approvato, come accadeva sistematicamente in passato, fuori termine a metà anno e con diffida del Prefetto al seguito- è il copia e incolla di quello dello scorso anno. E, come in passato, non si è potuto dare il minimo contributo alla sua formazione, visto che la Commissione Consiliare deputata ai lavori preparatori si è tenuta lo stesso giorno di convocazione del Consiglio per l’approvazione del bilancio, celebrato a sua volta tre giorni dopo!!

Eppure il bilancio, prima di un insieme di numeri, è un mix di azioni e desiderata che disegnano la Città che si vuole.

 

E Tricase ha solo l’imbarazzo della scelta nella strategia vincente per diventare attraente e produttiva: centro storico, nuova zona commerciale, centro servizi, marine, frazioni, zona industriale, patrimonio immobiliare, programmazione culturale-turistica, mobilità urbana eco-sostenibile e risorse umane (imprenditoriali ed associative).

 

Con tutti presupposti per pensare in grande, attraverso una rete integrata e permanente con gli altri Comuni del Capo di Leuca.   

Ne viene invece fuori una Tricase anestetizzata, senza caratterizzazione e sussulti, dove il problema da rincorrere e risolvere è il quotidiano. Per la verità, anche quello lascia a desiderare: folta vegetazione in ogni angolo del paese, manto stradale dissestato, viabilità al collasso, mancanza di sicurezza e sorveglianza, servizi carenti o inadeguati.

 

Con i soliti sperperi che si trascinano da anni: spese per contenzioso alle stelle, spese per la pubblica illuminazione che sfiorano i 750.000 euro, costi eccessivi per le utenze comunali, € 50.000 per spese postali e manifesti, appalti di servizi comunali scaduti ed in eterna proroga, ecc.

 

E con le solite disattenzioni in settori nevralgici: appena 1.000 euro per lo sportello delle attività produttive e neppure un centesimo per le politiche del lavoro. Per non parlare della gran confusione in tema di organizzazione del personale, con aumento di costi per il 2018 di € 210.000 e dissapori su in palazzo.    

Non vogliamo apparire impietosi, ma c’è bisogno di uno scossone. Né possiamo restare inermi spettatori, il ruolo consiliare attribuitoci non ce lo consente. Ma soprattutto ce lo impedisce quella voglia irrefrenabile di contribuire a cambiare per davvero il nostro paese, la nostra mentalità e il nostro comune agire; quella voglia di veder applicati in concreto quei principi di efficienza, economicità, razionalità e legalità cui dovrebbe sempre ispirarsi l’azione pubblica.

In una parola, di crescere…

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