Per le edizioni La Meridiana è uscito in questi giorni un fumetto a cura di Adriano Pisanello sulla vita di don Tonino Bello.
Pubblichiamo uno stralcio della prefazione del presidente della Fondazione don Tonino Bello, Giancarlo Piccinni
Al posto della pistola il vangelo, non un cavallo ma una cinquecento, nessun nemico da combattere ma tutti amici da incontrare. Nuove avventure che ancora oggi grazie a Lui e con Lui viviamo e che ci donano giorni solari, tramonti dorati, cieli stellati. Ma anche notti insonni e feriali inquietudini, perchè se si vuole abitare la storia, la nostra storia, non possiamo esimerci anche da questo!
Dove sono finite le utopie di pace oggi che la guerra è ritornata prepotente nel nostro mondo sino a convincerci che è lei la vera padrona dei nostri giorni? Non è forse vero che adesso pensiamo tutti questo? Non è altrettanto vero che chi crede nella pace oggi è fuorigioco?
Che quello della pace fosse un pensiero debole lo si sapeva, che credere nella pace fosse più difficile che credere in Dio lo dicevamo da tanto, che, però, potessimo in pochi giorni cancellare anni di battaglie in nome della convivenza, della nonviolenza, della fratellanza fra i popoli, credo che non lo potessimo immaginare! Eppure pare che così sia! Sembra che proprio questo è. (…).
Viviamo giorni bui: il pianeta piagato dal peso e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, una pandemia che ancora semina morte, una guerra che infiamma anche il nostro continente. E tanti altri focolai di guerra che non si spengono nel mondo. Viviamo dentro una dannata contraddizione: una terra divisa da più conflitti in un momento storico che vede l'umanità sempre più unita da un comune destino.
E non sono passati tanti anni dalla tragedia della grande guerra: in quei giorni, con la catastrofe atomica, il velo si è squarciato dinnanzi ai nostri occhi e la storia dell'uomo ci ha raccontato una realtà nuova e amara, quella della possibilità dell'auto-annientamento globale dell'umanità.
Condizione questa che ai nostri giorni si è aggravata non solo perchè il rischio nucleare si è diffuso ma anche perchè si è introdotto un nuovo elemento, che ha assunto caratteri cosmici, cioè il sempre più difficile rapporto con l'ambiente.
Siamo cioè dinnanzi ad nuovo paradigma, quello della "interdipendenza planetaria" che ci dovrebbe portare ad una considerazione nuova: dinnanzi alla guerra non è detto che ci sia un vincitore ed un vinto ma tutti potremmo uscire vinti per sempre.
Giancarlo Piccinni
Presidente Fondazione don Tonino Bello
I figli della Quercia
Seul, 1988, semifinale delle Olimpiadi Calcistiche, Italia-URSS. Eravamo a scuola, ore 11, cuffiette e radioline di contrabbando all'insegnante di scienze. Perdiamo 3-1 ai supplementari. Segna Virdis, si accendono le speranze: invano. Depressi, ci viene proposto dal prof il progetto di costruire un erbario con tutte le foglie di specie vegetali della macchia mediterranea per la mostra scolastica di fine anno. Entusiasta dell'idea e dimentico della sconfitta, mi autoassegno lo storico carrubo ("cornola") di casa e la quercia (comune) del vicino. Scossa la mia coscienza botanica, mi incuriosii al funzionamento delle ghiande.
Una domenica, in giro con mio padre, passando verso Tricase Porto, mi imbatto in un'enorme quercia. Mi dice: "è la quercia dei Cento Cavalieri". Mi racconta la leggenda, ma la mia attenzione è rapita dalla dimensione delle ghiande e ne colgo 5 da terra.
L'indomani chiedo al mio prof di scienze come coltivarle. Seguo scrupolosamente le istruzioni: prendo del terriccio, pianto verticalmente ogni ghianda in ogni vaso, le interro e innaffio tenendo sempre umido il terreno.
Dopo circa 2 anni, a speranze ridotte ai minimi termini, in un vaso spunta una piantina. Al vaso germogliato focalizzo le mie attenzioni. Al tempo opportuno trapianto in giardino la piantina. Gli anni passano e oggi dopo 30 anni la figlia della famosa quercia Vallonea è alta quasi 4 mt. Adesso ha tutto un altro sapore e un senso: la leggenda legata al ritorno dalle crociate delle truppe di Federico II di Svevia; l'introduzione della specie in Salento da parte dei Monaci Basiliani giunti da Valona a seguito delle persecuzioni iconoclaste; il gusto di aver portato nel mio giardino un pezzo di storia. Un sentimento misto tra soddisfazione della crescita, fierezza di appartenere alla storia del mio territorio e consapevolezza di essere il tramite della continuità della vita.
Compiaciuto di essere padre adottivo di un tale esemplare, tralasciando lirismi inutili, mi chiedo se qualcun altro abbia provato l'orgoglio e il privilegio di una simile "paternità".
E sarebbe bello, cari lettori, poter condividere con voi un'esperienza legata alla nostra Vallonea: un ricordo, un aneddoto, una poesia sarebbe un modo per far conoscere tra loro i "figli della quercia". La quercia, un altro vegetale, un animale o un aspetto del nostro paesaggio, e ciò che rappresentano per ognuno di noi, sono degni anch'essi di essere considerati "Figli della Quercia". Sarebbe un modo per promuovere il territorio aumentandone il valore con il nostro apporto affettivo.
Martedì, 11 ottobre 2022
Tricase, i contagi da Covid hanno superato quota 60
L’andamento dell'epidemia anche a Tricase registra una crescita dei contagi nelle ultime 4 settimane
Questi i dati:
Venerdì, 23 settembre 2022 i positivi a TRICASE erano 26
Venerdi, 30 settembre 2022 erano 46
Venerdì, 7 ottobre 2022 i positivi a TRICASE erano 57
Venerdì, 14 ottobre 2022 ( giornata dati Covid - Comune per Comune), i positivi a Tricase dovrebbero superare quota 60
BOLLETTINO EPIDEMIOLOGICO
REGIONE PUGLIA
Dati del giorno: 11 ottobre 2022
2.366 Nuovi casi
11.732 Test giornalieri
6 Persone decedute
Nuovi casi per provincia
Provincia di Bari: 786
Provincia di Bat: 121
Provincia di Brindisi: 253
Provincia di Foggia: 278
Provincia di Lecce: 633
Provincia di Taranto: 256
Residenti fuori regione: 28
Provincia in definizione: 11
13.303 Persone attualmente positive
127 Persone ricoverate in area non critica
8 Persone in terapia intensiva
Dati complessivi
1.493.027 Casi totali
12.812.273 Test eseguiti
1.470.611 Persone guarite
9.113 Persone decedute
Casi totali per provincia
Provincia di Bari: 481.343
Provincia di Bat: 128.092
Provincia di Brindisi: 141.301
Provincia di Foggia: 210.726
Provincia di Lecce: 308.152
Provincia di Taranto: 202.535
Residenti fuori regione: 15.787
di Andrea CIARDO
Gentile Direttore,
la ringrazio anticipatamente per lo spazio che vorrà concedere sul prossimo numero de Il Volantino a quella che – più che un’analisi – vuole essere semplicemente una riflessione di un militante del Partito Democratico.
Si, mi dichiaro subito (qualora ce ne fosse bisogno): colpevole! Ogni volta che su una scheda elettorale vedo il simbolo del mio partito, sento un’irrefrenabile voglia di votarlo. Nonostante i suoi mille difetti, le sue mille contraddizioni, i suoi limiti. È così, la militanza porta a questo.
Ho letto con attenzione il suo editoriale, l’intervento di Gianluigi Elia e l’analisi (?) di Pino Greco sul voto del 25 settembre. Cercherò dunque di fare delle riflessioni ad alta voce.
Numero uno: l’analisi a caldo del risultato e, per la verità, anche quella a freddo.
L’ultima tornata elettorale ci racconta di un centrosinistra che ne esce con le ossa rotte. Qui c’è già un primo elemento di discussione che vorrei portare alla vostra attenzione: è il centrosinistra tutto ad aver perso. Non il Partito Democratico, non Alleanza Verdi e Sinistra. Abbiamo perso tutti, come coalizione.
E per rimanere ai confini prettamente locali, i dati in termini assoluti parlano chiaro: nel 2018, i voti alla coalizione di centrosinistra sommati a quelli di Art.1 sono stati 2306, mentre nel 2022 ne registriamo 2153 ai quali dovremmo aggiungere i 525 di Azione Italia Viva, per un totale di 2678 voti utili (n.b. i dati utilizzati sono quelli riferibili ai partiti, non ai candidati uninominali).
Se scendiamo nel dettaglio, il Partito Democratico registra 1434 voti nel 2018 e 1567 nel 2022 (al netto di Art.1 e di Azione Italia Viva che, con risultati pressoché simili, dovrebbero essere aggiunti nelle rispettive tornate elettorali).
E forse abbiamo una prima risposta alla sconfitta del centrosinistra tricasino e non solo: perdiamo perché non riusciamo a convincere, a trasmettere fiducia ai cittadini, se è vero che nel 2018 votano 10037 tricasini e nel 2022 il dato sull’affluenza si riduce a 8118. Nessun nuovo elettore pare abbia “sposato” l’idea di Italia che abbiamo proposto.
Numero 2: hanno perso la piazza e il contatto diretto con le persone.
Condivido questa sua riflessione, Direttore. E – credo – la condividiamo tutti nel centrosinistra, a tal punto che abbiamo impostato una campagna elettorale su un messaggio diverso da quello delle segreterie nazionali dei nostri partiti: al tentativo “verticistico” della destra, che puntava unicamente sui leader nazionali, abbiamo preferito il racconto delle “storie territoriali” dei nostri candidati.
Non è bastato, il vento non si poteva fermare con le mani.
E qui occorre porsi una domanda, forse complementare (o forse speculare, non lo so nemmeno io) rispetto a quanto detto da Elia: è unicamente un problema di “capibastone” e di “attori” in campo, oppure abbiamo smarrito non solo il messaggio politico, ma anche il mittente e il destinatario?
Per troppo tempo, in nome della responsabilità, abbiamo piegato le idee e i valori al governo delle cose. Per troppo tempo le “lotte di quartiere” ci hanno interessato e segnato, mentre i destinatari delle nostre azioni iniziavano a guardare altrove.
Ecco dunque che il “ripartiamo dalla base” non ha più significato se la base è sempre lì e mancano le idee che ci facciano avere lo sguardo rivolto verso le altezze.
L’individualismo ha fagocitato il sentirsi parte di una comunità. Ha ragione il Direttore Distante, ahinoi.
Numero 3: dove andare?
C’è chi ha più esperienza e capacità del sottoscritto per tracciare una rotta da seguire nel mare tempestoso della politica italiana. Una politica fluida, come i risultati figli della “deriva leaderistica e verticistica” cui ci siamo ormai abituati in questi ultimi anni.
Fra chi indossa spillette, chi si intesta vittorie di Pirro, chi vuole azzerare tutto per non azzerare nulla, la mia opinione, da militante, è che serve ripartire dalle idee e dai valori.
Non è una riduzione allo spicciolo dell’enormità dei problemi che attanagliano il centrosinistra, quanto una constatazione di fatto.
Se tutti avessimo avuto questa idea, ci saremmo già resi conto di aver perso. Perché una TV e uno smartphone hanno sostituito il dialogo, una legge elettorale come quella che abbiamo non consente ai territori di esprimere un’opinione e gli eletti non hanno la possibilità di ricucire alcunché.
E non è certo un problema di Tricase o del “fortino rosso” di Palazzo Gallone (che credo non sia mai esistito, peraltro).
Perché, se c’è una cosa a cui in politica non si deve rinunciare, credo sia proprio questa: se si ha un’idea, si cerca di tradurla in risultato tangibile per tutti. E si cerca di difenderla, con le unghie e con i denti, con il cuore e la passione.
Vale quando si è in maggioranza, vale quando si è in minoranza. Vale sempre.
Ed è attorno alle idee che si costruiscono le vittorie. Perché sono il messaggio da lanciare.
Idee che hanno bisogno di un giusto mezzo per essere comunicate.
Ed è così che avremo qualcuno a cui recapitarle e la militanza tornerà ad aver valore, e a non essere solo un’assunzione di colpevolezza.
di Giuseppe R. PANICO
Questo inizio d’autunno sembra portarci verso un rigido inverno.
Non solo per problemi energetici o climatici che, come impetuosi torrenti, causano ingenti danni, povertà e sofferenze, ma anche per i malsani detriti che politica e geopolitica ci portano in casa.
Non di rado in modo ancora più disastroso quando chi le rappresenta è animato da cinismo, prevaricazione e ostilità e colpisce le popolazioni che si trovano sulle loro rive o lungo il fiume ove tali torrenti e detriti poi confluiscono.
E’ il fiume della guerra che, attraversando città e territori prima si ingrossa, poi rompe gli argini di una duratura pace, di ogni umanità e dei confini di stato per diventare guerra mondiale e temibilmente nucleare.
Con le sue vittime, distruzioni e armi sempre più sofisticate e mortali, ci ricorda i milioni di morti delle precedenti due guerre mondiali, i sanguinosi capricci di dittatori e seguaci in preda a bulimia di potere e sindromi da espansione territoriale, alimentate da estremismi politici e religiosi, invasiva propaganda e soppressione di ogni libertà.
L’alternarsi di guerra e pace dei tempi moderni trae origine troppo spesso da stati totalitari e non certo da stati liberi e democratici, come il nostro, che abiurano la guerra e si limitano alla difesa.
Stati aggressivi che invadono paesi vicini considerati inizialmente più deboli ma che poi si dimostrano, grazie anche al sostegno altrui, ben più forti e decisi anche moralmente.
Come nella guerra in corso fra la grande Russia totalitaria e l’Ucraina democratica. Succede quando fra gli aggrediti, cresciuti da decenni in libertà e democrazia, autodeterminazione e identità nazionale, prevale anche il sentimento di “Give me liberty or give me death” “Datemi la libertà o datemi la morte”. Frase pronunciata da un patriota durante la guerra di indipendenza degli Stati Uniti, culla di tali valori, ed ormai passata alla storia.
Non sappiamo come e quando tale bellicoso fiume sfocerà nei mari di una nuova pace o in oceani resi ora più tempestosi, oltre che da più violenti uragani, anche dai rischi di una intensiva guerra navale.
Se nelle vaste pianure ucraine molti campi di grano sono ora percorsi, non più da trebbiatrici e mietitrici che danno cibo e vita ma da carri armati e blindati ansiosi di dare carestie e morte, sul mare si affollano, un po’ più in sordina, sempre più navi grigie e neri sommergibili. Per loro natura o missione, vivono sempre in prima linea, spesso occultati e con il colpo sempre in canna.
Una minaccia anche per quel sistema arterioso e linfatico fatto di gasdotti e cavidotti posati sui fondali che alimenta l’economia e il benessere di tante nazioni e in particolare d’Italia. La guerra in atto è anche un incentivo alla corsa in armi al mare, ormai considerato una ricca estensione territoriale (giacimenti di gas e petrolio, risorse ittiche etc.).
Un diffuso riarmo navale anche a difesa di una economia che ovunque viaggia soprattutto sul mare. Una realtà, soprattutto mediterranea, da noi a lungo trascurata, pur essendo l’Italia una penisola che divide in due il Mare Nostrum, culla di tante diverse civiltà, di crescenti conflittualità e principale canale di transito fra Oriente e Occidente.
“Le lacrime dei nostri sovrani hanno il gusto salato del mare che vollero ignorare”, diceva il cardinale Richelieu, grande politico e stratega del regno di Francia. Frase che ben evidenzia debolezza e poi decadenza di chi il mare e le sue risorse troppo trascura, oggi anche per il turismo.
A Tricase, abbiamo avuto la fortuna di un cardinale che, con l’ospedale da lui voluto e poi ben gestito, ci ha dato più salute e più economia. Ma, a differenza di tanti altri comuni costieri, il mare e la costa sono tuttora in balia di una mentalità, restia allo sviluppo e a scrollarsi di dosso le tare del passato e la politica che le alimenta.
Se nel prossimo inverno saremo più poveri e al freddo per meno gas, bollette più care, chiusure di attività e disoccupazione, ulteriore calo del valore dei nostri immobili, investimento altrove dei nostri risparmi etc. non sarà solo per la guerra voluta da Putin, per le cattive scelte politiche del passato, per i sabotaggi dei gasdotti etc.
Lo sarà anche per non aver portato avanti un razionale sviluppo costiero.
Non avendo più fra noi né lungimiranti cardinali, né sovrani, ma occulte “sovranità,” le lacrime dal gusto salato del mare che vollero (e che tuttora vogliamo) ignorare” sono ormai le nostre, nel vedere anagrafe in calo, popolazione che invecchia e quei tanti nostri ragazzi che ci lasciano. Non di rado con qualche lacrima sulle loro giovani guance nel lasciarsi alle spalle il gusto salato del loro mare.