TRICASE: SIAMO ALLA FRUTTA…

ANCHE PER DARIO MARTINA E PASQUALE DE MARCO?

Ci sarà intesa domani ( sabato 30 marzo) in consiglio comunale ?

Incompatibilità di carattere…? Sembra assottigliarsi il numero dei “veri” fedelissimi del Primo cittadino. L’unica “vera” seguace è Sonia Sabato?Ma cosa è successo davvero?

Dopo le polemiche di via Brenta a Depressa, dopo la grave astensione (viene definita così anche dalla minoranza) al voto sulla 275, i rapporti tra il Sindaco e il Presidente del consiglio (tutti e due di Depressa) sembrano echeggiare i titoli di coda.

Altro punto critico sembra essere lo storico consigliere comunale Pasquale De Marco che, per la seconda volta consecutiva, non si è presentato in consiglio comunale, nè ai lavori delle commissioni.

Il regolamento è chiaro: alla terza assenza ingiustificata scatta il cartellino rosso.

Voci di corridoio riferiscono che questa volta, dopo le tante vicissitudini, un assessore, il presidente del Consiglio ed un paio di consiglieri comunali di maggioranza, a breve, potrebbero decidere di abbandonare la maggioranza e chiudere anzitempo l’esperienza amministrativa targata Chiuri.

Inizialmente c’erano forti rapporti di amicizia che, sotto il profilo politico, rischiano di non essere sufficienti per colmare punti di vista poco comuni specialmente se si aggiungono difficoltà di dialogo interno.

Non ci resta che attendere e confidare nella tregua della “Santa Pasqua”

PALAZZO GALLONE - Sala del Trono - ORE 20.30

di Giuseppe R. Panico

Conosciamo il muretto di Tricase Porto e le sue vicende. Rifatto panoramico, dopo essere stato
ben fatto circa un decennio prima, ne sono state poi scorciate le travette che da sotto lo
sostenevano o lo abbellivano. Fresche di cantiere, avevano il brutto vizio di rompersi e finire in
banchina o sulla testa.

Pagato noi l’amaro conto, a rischio di cadere di sotto sono ora bicchieri o
bottiglie di chi lo frequenta, forse distratto dal ben noto gran “mostro” edilizio ora in guardina con nuovi muri e transenne. Con gli occhi su quel mostro, non si vedono i tanti “mostriciattoli” sotto il naso, né si pone orecchio al “grido di dolore” che intorno echeggia.

Avvezzi a crolli e transenne di “lungo corso”, non ci si cura nemmeno dell’antistante muraglione che, in testata, è un po’ crollato,smozzicato e vietato.

Se le transenne sono un po’ erose dal tempo e dal mare, rode invece tanto quando, trovandosi su uno dei due lati, non si può ivi passare dall’altro. La “mostruosità” è che disagio e imprecazioni durano ormai da anni. Si spera non sia un’”opera d’arte” della nostra vocazione turistica, in bella mostra nel nostro porto-museo. “Cartoline da Tricase” bofonchia intanto qualche passante tornando sul luogo.

Recandosi a Marina Serra, i muri abbattuti da alberi e tornado lungo la litoranea, più che a secco, sono ancora a secco di interventi, come pure (dopo ormai 4 mesi!!) pali e fili Telecom.

Sul lungomare, “l’ultima torre” (Palane) continua a cadere a briciole e pezzettini fra rottami di transenne abbandonate. Meglio volgere lo sguardo verso il Calino e accomodarsi sul quel triangolare belvedere che domina il porticciolo. NO, meglio di NO! Non ha travette che si rompono, ma, sotto l’angolo più acuto, sta proprio crollando e, corna facendo, né con qualcuno sopra, né con altri sotto.

Anche qui, transenne di lungo corso o cazzuola e cemento rapido? Si rientra in paese per la “Via del Sole” (Marina Serra); quel sole che, da decenni, illumina d’immenso i cartelloni per piste ciclabili…inesistenti. Il sole picchia duro, da circa tredici anni, anche su tubi e valvole azzurrine lato strada. Riscalda l’acqua che non c’è e non scorre verso le assetate campagne.

Per ora, ripuliamo a caro prezzo, un po’ di acque piovane, per poi tenercele in vasca a far zanzare o versarle fra i pesci nel Rio. Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno (a dirla col Manzoni), da Roma a Parigi, a Londra etc , le acque piovane vanno invece dritte nei fiumi e poi … al mare.

Forse il lungo e sofferto nostro romanzo “Le Acque Promesse” con vasche fatte e rifatte, interrate e svuotate, avrà un giorno un lieto fine, come nei “Promessi Sposi”, nella speranza che un litro d’ acqua piovana così versato in campagna non costi più del latte pecorino versato in Sardegna.

Entrando in paese da via Viviani e poi svoltando a destra per via……. .

Ma che via sarà quella? Non ha né nome né numeri, ma tanti giovani in attesa di pullman. Non sanno manco loro che via è; forse “Via delle Canne” (nel fosso a lato), o “Via degli Aranci” (c’erano ma non sono sopravvissuti al nostro “amore” per il verde e l’incuria da marciapiede non ne tappa le buche), o “Via delle Cascate” perché, quando piove, lì abbiamo pure le… Marmore. Ma è così difficile intubarle? In attesa di toponomastica e non di topi dal fossato, sarà “Via N.N”, con tanto di marciapiede e muretto sul fosso.

I ragazzi che ivi si appoggiano non sono turisti da spennare, né migranti per lucrare in affitti e buonismo.

Sono studenti dei vicini paesi, di certo meritevoli di attendere in una strada o viale con un bel nome (“Viale degli Studenti” a loro dedicato?), qualche panchina e una tettoia per ripararsi.

Ma loro ancora non votano (in Austria a 16 anni, in Grecia a 17), dunque poco considerati, e poi i “Grandi” di paese pensano ad altro. Compreso allargare via Roma (da poco malamente ristretta), non per una ciclovia verso S. Eufemia e Tutino ma per più auto e affari per pochi.

I costi sono invece a carico di tutti, come pure le multe dell’Europa per essere noi tanto sporcaccioni in inquinamento e spazzatura. Ci condanniamo così ad essere anche morituri anzitempo, per smog da auto, e a svilire il valore abitativo delle case fronte-strada-auto.

Con tali “Grandi” e tal futuro, ai nostri giovani studenti, ora sulle piazze per clima e inquinamento, non rimane che l’esempio degli amici più anziani, ma non quello di ritrovarsi sul bel muretto del porto o ai blocchi al muraglione. Lasceranno il “muretto del pianto” sulla strada senza nome per spezzare, emigrando, quella catena ereditaria di insuccessi, tramandata dai genitori ai figli.

Si faranno Grandi altrove, ma ben diversamente e, se torneranno, sarà per un fuggevole sguardo a sempiterne catene e mostri e mostriciattoli della loro gioventù.

di Fabrizio Cazzato

Rispondo volentieri , su suggerimento di alcuni concittadini, all’articolo apparso nel numero precedente del IL Volantino in merito alla dichiarazione dell’assessore Lino Peluso sulle numerose feste patronali nel nostro comune.

Da premettere che ogni comunità, piccola o grande che sia, ha le sue tradizioni e le sue feste religiose, sagre ed altri eventi legati alla storia del luogo che esprimono in un certo modo la propria entità.

Un grande patrimonio “immateriale” che merita di essere preservato e non cancellato anzi sostenuto, pensando che una festa patronale può avere anche delle concrete ricadute economiche sul territorio.

L’assessore Peluso parla di un eccessivo zelo di fede da parte delle comunità parrocchiali residenti nelle frazioni e nei rioni di Tricase custodi di antiche e tramandate tradizioni e che si potrebbe pensare che tali manifestazioni siano ormai uno sbiadito retaggio del passato, destinate all’oblio ma in realtà sempre più protagoniste di un processo di riscoperta e valorizzazione.

Se vogliamo imitare alcune località vicine dobbiamo anzitutto ricordare che noi non siamo una comunità che ha mantenuto tutte le sue tradizioni, se così fosse, avremmo un lunghissimo elenco da fare.

Allora  ben venga se nelle nostre piccole cominità parrocchiali c’è ancora il desiderio di esprimere la propria fede attraverso la festa patronale come importante occasione di aggregazione e legame con il popolo e per chi vive lontano, forse tutto questo non si avverte più per quella del patrono san Vito.

Le piccole feste cittadine ridotte ormai a semplici ricorrenze religiose dove è anche difficile trovare quattro persone per trasportare a spalle una statua a mio avviso non costituiscono un rischio ed una minaccia per lo svolgimento per quella che dovrebbe essere l’unica e più importante festa patronale di tutto il comune di Tricase.

Valorizzare e proteggere questo grande bagaglio di conoscenza, di materiale ed immateriale ricchezza del nostro popolo è un nostro dovere preservare e trasmettere alle future generazioni ciò che noi abbiamo ereditato.

 

 

 

La mia colonna  

di  Alfredo De Giuseppe

Il problema ambientale sta diventando finalmente un tema politico, una questione da dibattere quotidianamente sui nostri usi e costumi, sul modello di sviluppo che vogliamo darci?

Il 2 marzo Mattarella in un discorso a Longarone, teatro nel 1963 del disastro del Vajont, ha detto:

Siamo sull'orlo di una crisi climatica globale, per scongiurare la quale occorrono misure concordate a livello globale”. Il 15 marzo milioni di studenti hanno scioperato in tutto il mondo sotto slogan come “Non c’è più tempo” o “Ci avete rotto i polmoni”.

Un successo senza precedenti. Ci voleva la protesta della giovane svedese Greta Thunberg per smuovere le acque, una sedicenne con la Sindrome di Asperger che rivendica il diritto ad un pianeta vivibile per le prossime generazioni.

I nostri ragazzi che vivono in una sfera eccessivamente personalistica dovrebbero prendere a cuore questa battaglia, come la vera scommessa del futuro.

Perché fra poco la domanda che tutti ci porremo sarà come conciliare una vita decente per circa 10 miliardi di persone con la salvaguardia delle risorse (limitate) del pianeta.

Ci sono delle cose che possiamo fare noi come individui e altre che dovranno essere decise da governi, politici, istituzioni sovrannazionali. Intanto ognuno di noi dovrebbe imparare a consumare meno plastica (serve davvero il bicchiere monouso?), bere l’acqua dal rubinetto, produrre la minor quantità possibile di immondizia, limitare il consumo di carne, non chiedere il ghiaccio nelle bibite già fresche, controllare che nel nostro Comune le cose funzionino per bene, che ci sia accortezza verso il risparmio energetico.

Ma soprattutto ci sono cose che andrebbero decise subito da gente con una diversa sensibilità da quella dei piccoli Trump sparsi nel mondo, (legati alle logiche produttive più immediate) ma anche dagli eredi del vecchio partito comunista che hanno considerato da sempre i temi ambientali come fastidiosi e retorici intoppi alla loro azione.

Invece bisogna riconvertire tutte le industrie automobilistiche verso l’elettrico, implementare il servizio pubblico anche nei piccoli paesi, costruire infrastrutture belle e funzionali, orientate alla salvaguardia del clima e del paesaggio, aumentare il costo del carburante per tutte le auto ad uso familiare (e sconti per il car-sharing).

E tanto altro ancora: interventi legislativi sul riscaldamento domestico, la ricarica delle auto solo da fonti rinnovabili, implementare trasporto merci su rotaia, fondi per accelerare la ricerca sui temi dell’energia. Intanto i nostri politici perdono tempo con schermaglie relative alla vecchia visione del mondo: i muri alle frontiere, i super armamenti, le trivellazioni in un piccolo mare come l’Adriatico per trovare petrolio, protezionismi che vanno a generare conflitti a discapito degli accordi sul clima.

È meritorio il focus aperto in questi giorni dal Quotidiano di Lecce sulle discariche abusive disseminate su tutte le strade del Salento. Una sequela di foto davvero impressionante. Se c’è un’esemplificazione della follia autodistruttiva è tutta in quelle immagini.

Si dice che i rifiuti siano gestiti dalle mafie locali, ma i rifiuti lasciati nelle tangenziali, nelle campagne, nelle piazzole di sosta e vicino alle spiagge sono il frutto del comportamento dei singoli cittadini, dei bravi vecchietti con l’ape, dei genitori che non amano fare la differenziata, dei ragazzi che non vogliono sapere.

Le ragioni sono tutte nella pigrizia, nel disprezzo verso la natura, nell’ignoranza più grassa e proterva. Poi ci sono anche le mafie, ma intanto dobbiamo sapere che c’è una parte della popolazione ostile all’ambiente, che con buona pace di tutti non viene mai frontalmente attaccata, denunciata e condannata.

Al massimo c’è spazio per l’indignazione su Facebook.

Ci sono diversi pensieri su come l’uomo risolverà questo enorme problema.

L’ottimista pensa che la scienza provvederà a trovare soluzioni semplici che modificheranno i nostri comportamenti senza intaccare il livello qualitativo raggiunto.

Il pessimista pensa che siamo di fronte alla catastrofe globale, all’apocalisse, che estinguerà la razza umana, probabilmente con il tocco finale di una guerra nucleare per il controllo dell’energia.

Però c’è chi pensa, e io fra loro, che il destino non sia scritto in anticipo e che i comportamenti umani si sono modificati nei secoli, adeguandosi alle problematiche del momento: si tratta solo di non aspettare l’irreparabile ma essere consapevoli che  il futuro è in mano nostra, dei politici che noi eleggiamo, degli scienziati che facciamo studiare, dei ragazzi che educhiamo.

La nostra Terra è un minuscolo pianeta nell’Universo: se fra qualche secolo qui non dovesse più esserci una vita organizzata, l’Universo continuerà ad esistere e a modificarsi.

Ci sono in giro delle piccole formichine che si arrabattano tutti i giorni per difendere il loro formicaio. Siamo noi. Se andremo tutti nella stessa direzione ce la faremo.                   

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