di Alessandro Distante

Domenica 7 aprile gli amministratori locali dei Comuni della provincia di Lecce hanno votato per eleggere i Consiglieri provinciali. Scomparsa da tempo la elezione diretta, in conseguenza della riforma Del Rio, la elezione del Consiglio Provinciale è il frutto di un complesso meccanismo che vede il risultato finale frutto della somma dei voti ponderati espressi.
In poche parole: il peso del voto cambia a seconda del numero degli abitanti dei quali l’elettore/consigliere è espressione. Il risultato ha visto due candidati di Tricase ai primi posti.Primo in assoluto e quindi Consigliere anziano è stato Nunzio Dell’Abate;

tra gli eletti anche Federica Esposito. Dell’Abate ha ottenuto ben 82 voti da parte degli elettori corrispondenti a 6.152 voti ponderati. Si tratta di un risultato di notevole rilievo, considerato che Dell’Abate è stato non solo il primo della Lista ma anche il primo in assoluto.

L’elezione di Federica Esposito (48 voti corrispondenti a 4.057 voti ponderati) è importante perché è la prima volta che una donna di Tricase viene eletta consigliere provinciale.Le donne elette domenica scorsa sono in tutto tre.

I due neo Consiglieri erano candidati per la stessa lista “Salento Bene Comune” di Centro sinistra: Dell’Abate era in quota a Liberi e Uguali, mentre Esposito in quota a UDC. I Consiglieri Provinciali sono 16 ed insieme al Presidente Stefano Minerva costituiscono l’Assise consiliare. Il Presidente può assegnare degli incarichi per specifiche materie, anche se la Legge non prevede più che vi sia una Giunta Provinciale. Ad entrambi va l’augurio della Redazione di buon lavoro.

La mia colonna di Alfredo De Giuseppe

Non credendo all’entità Regione ma alle Province e ai Comuni, in quanto veri riferimenti dell’identità storica e popolare, non posso che accogliere l’invito che a suo tempo lanciò Carmelo Bene di non parlare della Puglia ma delle Puglie. Non per perorare la causa di un ulteriore piccolo ente regionale, più o meno efficiente, più o meno in sovrapposizione con altre istituzioni.

No, accetto la provocazione del nostro geniale conterraneo per evidenziare come
in effetti le differenze all’interno della Regione sono notevoli e vanno forse per una volta esaltate. Per conoscere meglio questo territorio di circa 20.000 kmq, lungo oltre 400 km e abitato da 4 milioni di persone.

Dalla Treccani: “il nome Puglia viene da lontano, è antichissimo, all’inizio identificava la parte nord della regione poi divenne sinonimo di gran parte del Meridione d’Italia. Almeno fino all’epoca normanna, comprendeva la Calabria e la Basilicata. Scomparve verso la fine del sec. XIV dalle designazioni ufficiali, pur sopravvivendo nell'uso comune delle popolazioni e nella tradizione letteraria.

E i tre giustizierati di Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto, che erano stati creati da Federico II, con la sostituzione di quest'ultimo al principato di Taranto della dominazione normanna, rimasero con area presso che invariata sotto gli Angioini, i Durazzeschi e gli Aragonesi; furono durante il dominio spagnolo amputati del territorio di Matera, che passò dalla Terra d'Otranto alla Basilicata (1663)”.

Gli antichi studi geografici dividono la Puglia per lo meno in quattro aree fisiche ben distinte: il Gargano, il Tavoliere, le Murge e la Penisola Salentina. Il frastagliato Gargano che ha rilievi di oltre 1.000 mt a pochi km dal mare e un vasto territorio ricoperto da boschi e macchia mediterranea.

Il Tavoliere, un tempo definito granaio d’Italia, una pianura piatta di oltre 4.000 kmq dove oggi si producono pomodori, olio e vino. Le Murge, a loro volta suddivise in diverse aree, anche se la più nota e affascinante è quella delle gravine, con i suoi canyon a strapiombo.

La Penisola salentina
che è la punta estrema d’Italia, un fazzoletto di terra che racchiude autentici tesori ambientali e storici. Ma io, seguendo Carmelo Bene, voglio aggiungerne almeno altre due aree, la Valle d’Itria, quella dei trulli e di una grande enogastronomia, e l’Arco Jonico, che coincide con il golfo di Taranto e le sue spiagge. Ognuna di queste aree ha la sua caratteristica, la sua bellezza, la sua storia, la sua lingua, le sue tradizioni. Una ricchezza sedimentata di cose e persone davvero invidiabile.

Territori scoperti negli ultimi decenni dal turismo, sia d’élite che di massa.Nei 258
Comuni pugliesi si vive la stagione dell’esplorazione e della nuova identità.

Le masserie ristrutturate son diventate dei resort a cinque stelle, terreni abbandonati son diventati campi da golf, centri storici ristrutturati son diventati meta di movide internazionali, spiagge nascoste son diventate cult nel giro di pochi anni, le case son diventati B&B. Artisti di tutto il mondo vogliono avere una dimora in una delle Puglie, ognuno decantando la sua Puglia.


Queste terre hanno superato nell’ultimo secolo l’endemica assenza di acqua, che, oltre alla difficoltà di una qualsiasi coltivazione intensiva, portava epidemie e mortalità infantile a livelli impressionanti. Si iniziò appena dopo l’unità d’Italia, precisamente nel 1868, ad immaginare e progettare quello che poi sarebbe diventato uno dei maggiori e complessi conduttori d’acqua del mondo, l’Acquedotto Pugliese. Insomma ci sarebbero tutte le condizioni per essere davvero il motore del sud. Abbiamo pochi disastri naturali, non siamo un’isola ma siamo a poche miglia da Paesi in cerca di collaborazioni, scambi economici e culturali, abbiamo ferrovie, porti e aeroporti, strade in sovrappiù.

Abbiamo intelligenze non comuni, fin dai primi pittori italiani, quelli della Grotta dei Cervi, filosofi e pensatori fin dall’antica Grecia, mercanti levantini, sorridenti e tempestivi, abbiamo letterati e politici di gran lustro e infine abbiamo anche attori, registi e sceneggiatori di gran lignaggio. In una terra così, se fosse abitata da olandesi o svedesi, ci sarebbe prosperità, lavoro e un po’ di tranquillità.

Invece i porti non funzionano, non si sono adeguati al nuovo mondo dei trasporti integrati, gli aeroporti sono di secondo livello, le ferrovie sono quelle di fine ‘800, le strade sono state bombardate negli ultimi trent’anni e mai più riparate. Vaste parti del territorio sono inquinate da un’industrializzazione monca e povera.

L’agricoltura non decolla e in questi ultimi anni si è dovuta sorbire da sola il fenomeno xylella.

E soprattutto non c’è lavoro, il turismo non pare mai un’impresa duratura ma un’avventura di poche settimane, i ragazzi scappano, i paesi si spopolano e l’antico piagnisteo continua imperterrito ad avanzare.
La Regione Puglia non ha senso, le Puglie invece sono tutte da conoscere, studiare, approfondire. Perché da lì può venire una speranza.

Intanto è bene sapere che mentre sto scrivendo queste righe, il Presidente Michele Emiliano lavora in ogni direzione, con infaticabile solerzia, alla sua prossima ricandidatura.

Tricase,12 Aprile 2019

di Pino Greco

Qualcosa di buon bolle in pentola: C’è la volontà di tutti, in più la nuova adesione dell’assessore alla cultura Lino Peluso al Comitato Festa San Vito.

Nei giorni scorsi,nella sacrestia della Chiesa della Natività della Beata Vergine Maria o “ Chiesa Madre di Tricase “,alla presenza di don Flavio,si è riunito l’intero Comitato Festa San Vito Martire.

Oggetto dell’incontro: Festa San Vito Martire,Patrono della Città di Tricase.

Dopo il messaggio diffuso qualche settimana fa dal Comitato “ Siamo stati abbandonati a noi stessi,vorremmo lasciare tutto”, sembra che qualcosa di buon bolle in pentola: c’è la seria volontà di organizzare la festa,in più nel Comitato ci sarà la partecipazione dell’Amministrazione Comunale con l’assessore alla cultura e sport, Lino Peluso, che dichiara:

"Si sa, le difficoltà organizzative e finanziarie ci sono.Mettiamo tutti il nostro impegno. Cominciando da me. E’ la festa di San Vito Martire, Santo Patrono della Città di Tricase.

Ho data la mia disponibilità a far parte del Comitato festa.

Inoltre, il Comitato San Vito quest’anno ha diramato un appello per tutti coloro che vogliono farne parte nell’organizzare la festa ma anche chi, soprattutto, ha voglia di aiutare la festa del Santo Patrono della Città di Tricase, anche con un piccolo contributo e soprattutto di essere d’aiuto nel periodo della festa che interessa tutta la Città di Tricase, può contattarci”

 

di Giuseppe R. Panico

Di primavera, con tanto sole e prati in fiore, cresce la voglia di liberarsi dai torpori dell’inverno e vivere a contatto con la natura. I più anziani tornano a popolare piazze e panchine, cercando ora più ombra e meno sole; i meno anziani stradine di campagna e un più salutare giro-vita per l’estate in arrivo.

Capita loro di passare accanto a chiese e chiesette, compresa la ben nota Chiesa dei Diavoli. Da noi è successo che qualche potente di poca fede abbia fatto un patto col demonio per avere, in una sola notte, una chiesa per i fedeli e un tesoro per sé, in cambio di un’ostia in bocca ad un caprone.

Altri tempi quando il denaro era pure chiamato “lo sterco del diavolo”. Oggi va più di moda il denaro sporco, ma i romani (e non solo) dicevano che: “pecunia non olet” (non puzza…anzi!).

La parola data non venne però mantenuta; il demonio la prese male e scatenò una tempesta che danneggiò chiesa e dintorni e la campana, strappata da una tromba d’aria o tornado (quasi come quello recente), finì nel Rio.

Si dice scavato, anche questo, in una notte, dal demonio per farne forse, come poi fecero tanti altri, sul suo esempio, sulla costa e con più tempo, una dimora abusiva e vacanziera. Del tesoro non si hanno notizie, forse “lavato” altrove o cercato ancora fra muri a secco al chiaro di luna.

I potenti di allora sono passati di moda, non ancora i politici, eletti non più per grazia ricevuta dall’alto, ma, grazie al nostro voto, per portare più in basso le nostre speranze. Spesso anche loro, non più per una nuova chiesa o del bene ai cittadini, ma per una seggiola o poltrona che permetta di fare… “tesoretto”, non disdegnano certo far patti con l’inferno per diabolici “voti di scambio “. La parola data, non è poi, per loro, che una espressione roca e gutturale e, quando non mantenuta, ne oscura l’autore e ne appesta di zolfo il già cattivo alito.

Del caprone non abbiamo notizie, ma, forse ora in preda a pulsioni primaverili, è corso dietro a qualche discinta capretta o pecorella smarrita. Del diavolo si dice che a volte ritorni a far visita alla “sua” chiesa, al suo feudo ed alla sua dimora, fra gli oscuri dirupi e i folti e incolti pini del Rio, o far nuovi adepti. Difficile prevederne l’arrivo, come è difficile prevedere le sue trombe d’aria o i suoi infernali turbinii.

Sta di fatto che quello di novembre di chiese ne ha colpite due, ambedue sante e sulla costa, e scatenato l’inferno sui nostri gioielli (Marina Serra e Tricase Porto). Per rimetterli in piedi, ci vorrebbe proprio un miliardario. Ma come richiamare Briatore, già da noi cacciato, se i cavi Telecom sono ancora lì, tranciati e distesi per terra? La chiesa dei diavoli non è stata toccata forse perché sconsacrata e ridotta ad un solitario edificio con quella strana forma ottagonale che tanto ricorda Castel del Monte e i suoi oscuri misteri.

Pure la sua dimora, il Canale del Rio, con giardino a terrazze e tanti pini, se l’è cavata bene, anzi i pini del diavolo sembrano quasi gli unici rimasti sulla nostra costa. D’ altro canto nessun diavolo metereologico scatenerebbe un pandemonio senza proteggere i suoi beni (campana nel Rio compresa). Meno male che fra noi, forse protetti, almeno nel corpo, (l’anima è incerta), dalla nostra buona stella, riportata sullo stemma cittadino, non si sono avute vittime ma solo danni e, per paura, tante corporali e urgenti… acque reflue da versare poi nel Rio. Povero Rio, oltre al demonio con campana, ha pure quelle acque.

Cerchiamo da decenni un buon “esorcista” da mettere a palazzo con tricolore a tracolla, se non per “santificare” il Rio almeno per sanificarlo e restituirlo a bagnanti e turisti in cerca del sapore di mare di una volta. Purtroppo a palazzo più che acque sante continuano a buttarci più acque reflue e noi, come sempre deboli e chini pure verso gli eletti da noi stessi, “citti e boni, nu se sape mai”. Viene il dubbio che rimestando il diavolo di consueto nel torbido, gradisca i nostri reflui ed essendo il Rio la sua lugubre dimora, salga ogni tanto a palazzo, almeno per garantirsi “in saecula saeculorum” la sua dose giornaliera di acque reflue.

La sua chiesa (dei diavoli), prima sconsacrata, poi restaurata e poi ancora …assegnata, (non a lui, ma ad altri), chissà con quale ritorno economico, ci è costata proprio un bel tesoretto, ma dalle nostre tasche. Ma da noi, restauri e bonifiche, sempre interminabili e costosissimi, raramente finiscono in gloria, perché se il maligno non ci mette le corna, ci mette coda e zampino e, dopo un po’, se non c’è crollo, danni, acqua e umidità, c’è squallore ed incuria.

Passando da quelle parti, sono infatti in bella vista erbacce, abbandono, sporcizia ed insensibilità pubblica e privata. Viene da lanciare una monetina in fronte ai colpevoli. Ma ci hanno già tolto pure quella ed ora, dopo aver noi sborsato circa duecentocinquantamila euro (quasi mezzo miliardo di vecchie lire!) per farne “urbe et orbi” una immagine anche turistica, non resta che indiavolarsi di brutto. Ma che diavolo combinano a palazzo, verrebbe da chiedersi, se soldi e soldoni vengono così mal spesi!

Dicono che tempeste e tornado saranno ben più frequenti e disastrosi. Forse il maligno, ormai da noi con permesso di eterno soggiorno e reddito di cittadinanza (in anime perse), non vede l’ora di scoperchiare ancora. Non più chiese e pentole sulla costa, ma qualche palazzo di città ove, ci sarà pure fede, ma non credibilità.

Finita questa in fondo al Rio fra i nostri reflui, il diavolo e la sua campana.

 

Tra assenze e musi lunghi,ci sono stati anche momenti di “ smarrimento ” tra la maggioranza e il sindaco Chiuri. E’ successo durante l’ultimo consiglio comunale del 30 marzo scorso.

Sindaco e consiglieri hanno sospeso la seduta (per circa 10-15 minuti) per chiarire e modificare il punto num. 5. Per chi ancora non sapesse di cosa parliamo ,il punto 5 diceva questo:

Rifunzionalizzazione immobili comunali per realizzazione complesso organico strutture per l’incubazione di nuove realtà imprenditoriali e riqualificazione di filiere produttive non valorizzate in aree depresse dell’area transfrontaliera;

non è altro che :

LA RIQUALIFICAZIONE E UTILIZZO DELL’EX MACELLO DI VIA MARINA SERRA”.

E’ proprio vero:l'inesperienza… provoca una forte turbolenza….

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