di Carlo A. Cerfeda
Ospedale “Cardinale Panico”: “VISIONE E SPERANZA”
Concrete solo con i fatti, gli atti ed i comportamenti
Preg/mo Direttore, chiedo gentilmente ospitalità, per la pubblicazione di questo intervento (il terzo sul periodico,avendo oramai deciso, da diversi anni, di “appendere la penna al chiodo”!...), per la quale ti sono grato.
Sono stato spinto dai contenuti dell’ultimo premiato lavoro, storico e letterario, del dottor Rodolfo Fracasso “LA VISIONE E LA SPERANZA – IL CARDINALE GIOVANNI PANICO E L’ATTUALITA’ DELLE MAGNICHE OPERE DELLE SUORE MARCELLINE A TRICASE”(cfr. “Il Volantino”,n.38,11 novembre 2017, pag.4). Al dottor Rodolfo Fracasso, con l’occasione, i miei, certamente modesti, auguri di ulteriori successi e non solo in questo settore! E ritornando al tema: una precisazione, se mi è permessa.
Per arrivare ad una “VISIONE” e a una “SPERANZA” concrete e realizzabili bisogna dare ad esse “mani e piedi” come hanno fatto le Rev.de Suore Marcelline per il reparto di chirurgia generale, perchè “Le idee hanno mani e piedi”(Karl Marx) solo se diventano atti e fatti reali: altrimenti non sono neanche idee!
Parlo per esperienza personale e diretta dell’intero 2^ piano e del collegamento, essenziale tra altre specializzazioni in caso di necessità, dove si tocca con mano una eccellenza sotto ogni aspetto (che dovrebbe essere la “normalità” di una struttura efficiente):nessuno escluso! Potrei parlare anche di altri reparti per diretta esperienza personale ma, per il momento, non voglio dilungarmi!...
Ma il massimo della efficienza sta nella dinamicità in ogni senso del giovanissimo primario e della sua equipe (se ancora è possibile usare la lingua ITALIANA: GRUPPO). 42 anni e non li dimostra neanche: beato Lui! Sposato con quattro bellissimi “marmocchi” e, certamente, pur non conoscendola, con una donna eccezionale visto il gravame familiare ( a mò di battuta, ci si è posto il problema dell’invecchiamento dellapopolazione italiana? Meritorio interrogativo!)Efficientissimo e disponibilissimo anche nei momenti apparentemente inattivi del blocco operatorio: giorni festivi compresi!.... Niente di più sideralmente lontano dal comportamento, non del tutto scomparso anche all’interno della stessa struttura, del classico Direttore Primario (professore ma quasi sempre sedicente tale): dalla testa eretta, il torace impettito (tipo il nostro “Buonanima” del ventennio!...), le mani incrociate sul deretano e lo sguardo rivolto verso un ipotetico orizzonte: invisibile ai “poveri” pazienti e familiari in attesa di una risposta consolante o diversa! Sembrano gli sciamani della nostra età della scienza e della tecnica!
“Carneade! Chi è costui?”: potrebbe chiedersi l’eventuale moderno “don Abbondio” di Manzoniana memoria!
E’ il dottor Massimo Viola e tutto il suo reparto, nessun operatore escluso: sapientemente coordinato ed organizzato da suor Filomena (inossidabile ed anche lei instancabile: anche se un po’… “rumorosa” ma solo se necessario e per quanto basta!)
Per chi ha mantenuto l’abitudine ad osservare , per lavoro e per circa quarant’anni, visi, sguardi ed espressioni, Il dottor Viola, oltre alle più aggiornate competenze del settore, alla incomprensibile resistenza fisica sua e dell’intera equipe, dimostra la capacità di usare anche i suoi occhi per interrogare, ricevere e rispondere a domande! Una persona certamente, diciamo, particolare sotto ogni aspetto nel settore medico-chirurgico. Una specie di “Mario Capanna” uscito da un corteo del “sessantotto” per dimostrare con i fatti che, in concreto, si possono cercare quanti hanno “mani e piedi”, ma soprattutto voglia, per innovare anche e non solo nella chirurgia e nella sanità.
Il nostro ospedale – dicevo al direttore sanitario, dottor Pierangelo Errico- rispetto ad altri ospedali, policlinici, strutture di “Eccellenza” risulta essere, in quasi tutti i reparti, un albergo a 5 stelle in ogni senso: non italiano ma degli Emirati Arabi, come Dubay! E di altri ospedali, anche all’estero, ne ho conosciuti purtroppo! E non hanno proprio nulla da insegnare al nostro, ma molto da apprendere: al di là della pubblicità nazionale attraverso cui promettono il “fumo” di eccellenti Professori televisivi, ma pochissimo “arrosto” nella sostanza: soprattutto e prima di tutto a livello di rapporti e di disponibilità umane! Certamente, soprattutto per i molti “Soloni” tricasini, abituati a trinciar giudizi senza sperimentazione diretta ma solo per “sentito dire”, farà “più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”!...
In conclusione, “VISIONE E SPERANZA” tendono a diventare concrete realtà solo, se e per quanti sono convinti di VOLERE ESSERE I MAGGIORI ATTORI DI OGNI SETTORE! Senza escludere che l’errore umano è sempre dietro l’angolo, senza farsi prendere dall’idea di essere onniscienti nel proprio campo ma profondamente convinti, in coscienza e professionalità, che l’essere negligenti e scarsamente capaci produce danni agli altri: danni a volte, purtroppo, non più recuperabili!...
Senza persone che, al di là del “CAMICE BIANCO”, credono in ciò per cui operano, la “VISIONE” rimane inutile “utopia” e, di conseguenza, la “SPERANZA” diventa vana, pericolosa, deprimente e lesiva in ogni senso ed a volte in maniera irreparabile! Purtroppo!!...
A rileggerci forse in futuro.
Il sud del sud
di Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione don Tonino Bello
Era un’ espressione che spesso mi ripeteva in macchina , quando ci si spostava da un paesino all’altro: il sud del sud.
Non coglievo però nessuna tristezza nei suoi occhi: e mentre io, ancora adolescente, sognavo un riscatto della nostra terra attraverso nuovi modelli di sviluppo sulla scia delle ricche regioni del nord, lui rimaneva disincantato dinanzi a tale prospettiva e il suo sguardo era ancorato alla sua terra, ai suoi colori, alla sua nudità, alla sua povertà.
Don Tonino aveva già intuito che quella povertà, quella essenzialità era per tutti noi un privilegio e che forse, ben presto anche il suo Salento sarebbe diventato ostaggio di quella “ ricchezza vampira “ che giorno dopo giorno sottrae dignità e identità.
In questo sud, periferia della storia e della geografia, ad Alessano, all’epoca uno dei paesi più importanti del Capo di Leuca, il 18 marzo del 1935 nasce Tonino Bello, da Maria Imperato e da Bello Tommaso. Il padre, maresciallo dei carabinieri, rimasto vedovo, si era risposato e con sé aveva portato Vittorio e Giacinto Carmine, i due figli che aveva avuto con la sua prima moglie, affidandoli alle premure e all’affetto della sua nuova sposa che presto darà alla luce altre due creature, Trifone e Marcello.
Il 29 gennaio del 1942 muore per morte improvvisa Tommaso. La madre, rimasta vedova, presto conoscerà la tristezza di altri due lutti: il secondo conflitto mondiale coinvolgerà nella sua tragedia anche questa povera famiglia. Il 9 settembre del 1943 Vittorio perde la vita nell’affondamento della corazzata Roma. E il 3 ottobre 1944 Carmine Giacinto, radiotelegrafista sui Mas, muore improvvisamente come il padre, probabilmente a causa di un infarto cardiaco.
In poco più di due anni il destino e la follia della guerra si abbattono su questa famiglia portando il freddo della solitudine e della incertezza del domani. Il piccolo Tonino non aveva compiuto ancora dieci anni e già era il fratello maggiore. Da adulto ricorderà: “ Mio padre non lo ricordo. So che piangevo in segreto quando vedevo i miei compagni delle elementari accompagnati a scuola dai loro papà “.
Ma già da bambino, a causa della scomparsa dei due fratelli maggiori, il tarlo della follia della guerra entrerà nelle sue ossa e lo accompagnerà sino alla fine dei suoi giorni: da vescovo conosce Ciccillo, un pescatore molfettese, anche lui era a bordo della corazzata Roma al momento del naufragio . Ciccillo riesce a salvarsi. Don Tonino più volte si fermerà con lui a rivivere il dolore di quei tragici momenti, quasi a voler donare al fratello una sua vicinanza e ad offrire a lui una promessa, la promessa di essere per sempre un uomo di pace.
Un tributo che sente di dover vivere anche per la sua gente alla quale dedicherà parole bellissime: “ Una gente – quella degli anni della sua infanzia – povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino , ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore. Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito “.
(continua )
LIBELLULA FULGOR TRICASE Tutti a rapporto dal presidente. Il patron parla a tutta la squadra: patti chiari, amicizia lunga... Dopo la sconfitta di Marigliano, rosso blu a rapporto dal presidente Cassiano.
Stavolta il patron non si è limitato a salutare la squadra al completo dispensando sorrisi e pacche sulle spalle. Stavolta no! Il presidente della Fulgor (punti 6 in classifica), con toni molto pacati, guarda tutti negli occhi, uno ad uno. Si sa, Francesco Cassiano non ha peli sulla lingua, è un realista: per un’amicizia lunga, ci vogliono patti chiari. Questa la sua dichiarazione a tutta la squadra. Domenica, ore 18:00 arriva il Cerignola (punti 9 in classifica) al Palasport di Tricase.
ATLETICO TRICASE: RITORNANO MAURIZIO RUBERTO E GIOVANNI CITTO? Lo scriviamo già da tempo, che il presidente Raone sta pianificando e sta cercando di portare in alto il calcio a Tricase, dove merita.
Ne è prova l’ultimo acquisto del forte centrocampista Francesco Giorgetti (provenienza Novoli), sarà in campo domenica 3 dicembre. Antonio Raone non si ferma più, il patron ha già dato mandato ad una ditta specializzata di rifare il manto erboso del San Vito.
Inoltre, alcune voci di corridoio riportano Maurizio Ruberto e Giovanni Citto ad indossare la maglia rossoblu?
Domenica, il Tricase sfida la società Deghi Lecce. Stadio San Vito ore 14:30.
Nel 1978 succedevano molte cose: Aldo Moro veniva rapito e ucciso; Peppino Impastato veniva fatto saltare su un binario ferroviario; veniva approvata la legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi; al cinema davano “il cacciatore” uno dei capolavori assoluti di Michael Cimino; Mina appariva per l’ultima volta in TV; Papa Luciani prima eletto e poi morto; Andreotti governava a Roma, a Tricase era sindaco prima Cassati e poi Serrano; e io avevo vent’anni. Succedeva un’altra cosa importante: veniva finalmente appaltato il risanamento della zona “Puzzu” di Tricase. La povertà in quelle case, in quelle corti, in quelle strade c’era da secoli ma il degrado arrivò il 4 ottobre del 1964 quando “mesciu Lia” nel preparare i suoi fuochi d’artificio fece esplodere la sua casa e purtroppo anche sua moglie e sua nipote. Tredici famiglie furono costrette a lasciare le loro case, crollate o pericolanti, senza alcuna assistenza, andarono ramengo per parenti e amici. Il Comune diede loro 15.000 lire (uno stipendio era all’epoca di circa 50.000 lire) e poi niente più, neanche la speranza. Gente povera, anziani e malati, dimenticati da tutti, alla faccia della democristianità. Le macerie avevano prima occupato anche la sede stradale, poi erano rimaste intoccate per quasi quindici anni, durante i quali topi e vipere presero il posto dei residenti che preferirono emigrare o scappare in periferia piuttosto che vivere senza acqua e fogna, senza alcuna prospettiva di un rapido risanamento. Quando misero su quel grande cartello, proprio dove c’era la casa che era saltata in aria, sembrava l’inizio di una nuova vita per il dissestato centro storico di Tricase. Furono in effetti rimosse le macerie e poi senza una spiegazione plausibile i lavori si fermarono di nuovo. E sono rimasti fermi per altri quarant’anni, nonostante una decina di nuove Amministrazioni, di tanti comizi e programmi elettorali tutti centrati sul rilancio di una zona che sempre più veniva definita degradata.
Nel 1964 un misero contributo, la perdita della casa, la fine della vita rionale, nel 1978 l’appalto dei lavori e poi infine segnali di fumo nel 2016. Perché in quell’anno il GAL, un ente che lavora con i finanziamenti europei, immagina una struttura per la promozione e la vendita di prodotti delle aziende locali dell’agroalimentare. Il Comune dà il suo benestare e il suo supporto, sistemando la piazzetta dove insistevano le case crollate, ma il risultato è in linea con la storia degli ultimi 50 anni: un disastro. Invece di prendere magari anche un affitto una delle tante case dismesse, viene impiantata una struttura in plastica (o simil tale, forse cartone pressato o polistirolo espanso) che dà un ulteriore immagine di degrado. La struttura che deve promozionare la bontà dei prodotti locali è un container senza anima e senza amore, una delle tante cose fatte perché c’è un finanziamento, perché bisogna pur dire di aver fatto qualcosa negli ultimi 40 anni. E dove si può piazzare se non in una zona di per sé senza alcuna pretesa, nascosta e dimenticata? Ora è davvero arrivato il momento che qualcuno si preoccupi di fare un progetto complessivo, di coinvolgere i proprietari delle case, i pochi residenti, gli enti che forniscono servizi come Enel, AQP e altri, qualche bravo architetto, anche qualche bravo sociologo. Ora bisogna tentare di riannodare i fili della storia, anche se dolorosa, come quella delle tredici famiglie abbandonate già nel 1964 (e alcuni di loro finirono la loro vita in manicomio), anche quella dei tanti emigranti, dei tanti dispersi nelle zone 167 di tutto il mondo. Perché nel 2018 succederanno tante cose e io avrò sessant’ anni.
di Nunzio Dell'Abate UN CENTRO COMUNALE DI RACCOLTA DI RIFIUTI A DEPRESSA
La Giunta Comunale ha deliberato di realizzare un ecocentro a Depressa per dotare la frazione di un centro comunale per il conferimento differenziato di rifiuti. L'intervento ha un costo di 310.000 e ne è stata richiesta la copertura economica alla Regione, con una quota di cofinanziamento a carico del Comune per 10.000.In un primo momento il centro di raccolta era stato previsto nelterreno comunale di via Erriquez di fronte all'ex edificio scolastico, poi si optato per l'ex discarica comunale in piena campagna di Depressa, località Macchia del Ponente. Recuperare e rifunzionalizzare immobili/terreni comunali sempre ottima cosa, ma la tipologia dell'intervento nel caso specifico non è tanto felice.
Per raggiungere il futuro centro di raccolta di rifiuti, occorre percorrere per un bel po' la provinciale Depressa-Castiglione e poi, attraverso uno svincolo, una lunga ed angusta stradina di campagna. Probabilmente, dal centro di Depressa, si fa prima a raggiungere l'ecocentro comunale sito alle spalle dell'ex calzaturificio Adelchi. Per la verità , sarebbe preferibile incentivare con ogni mezzo l'utilizzo dell'ecocentro di Tricase, poco fruito forse anche per i ristretti orari di apertura (due/tre ore al giorno festivi esclusi). Si tratta di una struttura di una certa dimensione, ben localizzata ed attrezzata, che a regime soddisferebbe di gran lunga le esigenze dell'intero territorio.
Per l'ex discarica di via Macchia del Ponente, si potrebbe pensare ad un'altra destinazione, magari più rispondente alle attuali aspettative della frazione che ha necessità di ringiovanire e di costituire un attrattore nel panorama turistico salentino. Considerato il consistente avvallamento di una parte del terreno, potrebbe realizzarsi un laghetto artificiale attraverso la raccolta delle acque piovane della frazione, che a tutt'oggi non ha la fogna bianca.
Ci sono diversi finanziamenti regionali/comunitari che agevolano questo tipo di interventi, anche per ovviare con il prelievo delle acque raccolte alle emergenze in caso di siccità o di incendi. Sfruttando la bella paiara all'ingresso e la restante parte del terreno, si potrebbero prevedere diverse attrattive per rendere allettante la frequentazione della località e -perchè no- anche fonte occupazionale (giochi acquatici e non, bar/ristoro, mercatino dell'usato, ecc.).
Resta inteso che qualcosa va fatta, prima di tutto la verifica dell'integrale e corretta bonifica del sito.