di Alberto Colangiulo Era da tempo che non avevamo un sogno così. Tricase – Leverano di domenica scorsa è stata ed è la dimostrazione pratica che quel legame storico che da sempre lega i tricasini al calcio popolare, al calcio cittadino, ai colori della città non è morto.

“Calcio popolare”, cosa è? Non vi è una definizione standard o un' equazione che possa dare il giusto risultato di questo binomio.

Ma son due parole che insieme stanno bene, che sembran fatte l'una per l'altra ed insieme ci danno quel giusto sapore di rivincita e riscatto verso un calcio ormai lontano da tutti, giocato fra gli equilibri economici dei mercati continentali e gli schermi televisivi ormai prossimi a diventar grandi come gli stadi extralusso della Champions.

Quel “popolare” ci restituisce il mal tolto e, se ben sollecitato, può darci soddisfazioni molto più entusiasmanti di una televisione a pagamento. Sì!, chiamiamola in questo modo, “televisione a pagamento” e non con quel nome pubblicitario che ci allontana dal vero significato. “A pagamento”, che brutta espressione. Non c'è nessuna soddisfazione vera, piena, in qualcosa di ottenuto “a pagamento”. Era proprio questo il sentimento che si leggeva nei volti, nei sorrisi, e nell'esultanza degli oltre mille spettatori che domenica affollavano lo Stadio Comunale San Vito per assistere ad una partita di “Promozione Pugliese” girone B.

Quanto eravamo distanti dalle televisioni, e quanto eravamo vicini nel godere, nello stesso istante di qualcosa di microscopico per il mondo sportivo ma di grande per noi. Non è questione di categoria.

È questione di sentimento. Per tutto il campionato già qualcosa si era percepito, si era capito che la gente, complici i buoni risultati, stesse ritornando “al campo”; la partita contro l'Ostuni aveva ben messo in chiaro che a certe situazioni la tricasinità è sempre sensibile e poi, e poi domenica contro il Leverano abbiamo rivisto la Est ben più gremita di tante domeniche di Serie C2 di tanti anni fa. I “Ragazzi della Gradinata Est” hanno lavorato per settimane intere, con i loro strumenti, con la loro passione e determinazione convinti che quell'amore dei tricasini verso la squadra della propria città fosse solo dormiente.

Un lavoro quasi capillare, in tutti gli angoli della città, con il passaparola sugli smartphone, con il tam tam degli appassionati e dopo tanto tempo con il megafono per le vie a ricordarci ora e luogo dell'appuntamento. “Popolare”, abbiamo bisogno di esser parte di qualcosa, di sentirci “popolo” e in quanto tale fremere per un sentimento comune. Pensavamo che tutto questo fosse morto? No, era solo dormiente.

È vero, stiamo parlando solo di calcio, ma intanto abbiamo dimostrato che qualcosa di forte che ci lega ancora c'è, che i sogni, quelli veri, non sono quelli della notte, ma quelli ad occhi aperti, frutto di progetti, di prassi e di continuità per tendere alle nostre visioni e raggiungere i nostri obiettivi. Era da tempo che non avevamo un sogno così.

Ed ancora, succede che nel risveglio del senso di comunità, nella giornata del San Vito affollato, nel ritorno a quell'amore verso il rosso-blu a ciliegina sulla torta ci sia in panchina, a guidare la squadra, un uomo di Tricase, storia del calcio tricasino, e che a segnare il gol decisivo sia un altro figlio di questa terra, e che lo faccia con un emozionante pallonetto disegnato alla perfezione.

Cose che fanno bene al “calcio popolare”. Era solo la semifinale. Ora ci tocca ad Aradeo per una finale secca ma, e per le regole dei playoff, con un risultato unico entro i tempi supplementari: la vittoria. Ci portiamo appresso il nome e il blasone per questa categoria con la consapevolezza e l'attenzione che questo, il blasone, non sia una carta o una cambiale da presentare agli avversari ma solo il rispetto che dobbiamo a noi stessi. Rabbia, grinta e volontà e tutto sarà più facile; orgoglio, forza e cuori impavidi e saranno solo applausi. Ci porteremo appresso il nostro entusiasmo e la coscienza che qualcosa si è risvegliato e che siamo pronti dopo tanti anni e sacrifici a riprenderci spazi e tempi che ci competono.

“Il calcio popolare” è soprattutto questo: passione e condivisione vera sugli spalti, una mano nervosamente chiusa di rabbia o di felicità e alzata al cielo che impreca o ringrazia, un abbraccio di gioia e mille volti e duemila occhi che seguono nello stesso instane un pallonetto vincente.

Era da tempo che non avevamo un sogno così.

Forza Tricase. Sempre.

 

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Si comunica ai candidati alle prossime elezioni amministrative che “ il volantino ” è disponibile a pubblicare, a pagamento, messaggi e spazi online di propaganda elettorale sia sul giornale cartaceo che sul sito internet ilvolantinoditricase.it nel rispetto della normativa vigente che regolamenta la vendita degli spazi pubblicitari per propaganda elettorale. Gli spazi di propaganda saranno offerti a tutti i partiti, a tutte le liste e a tutti i singoli candidati che ne facciano richiesta

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Caro Direttore,

ho letto attentamente la lettera della candidata del Movimento 5 stelle alle prossime amministrative comunali  e, pur condividendo alcune osservazioni,  non accetto il suo concetto secondo cui la Democrazia Cristiana sia stata un partito che abbia messo la palla al piede al Comune di Tricase, impedendo il suo sviluppo, ed ancora che abbia avuto lo spirito subdolo e fazioso, ed, infine, che i suoi rappresentanti abbiano avuto un carattere autoritario, dittatoriale ed esclusivista tanto da non far crescere i giovani.

Mi spiace dover constatare che una donna che spera di fare il Sindaco di questa Città non conosca i fatti e gli antefatti della politica tricasina. A nessuno, mai, escluso nel periodo fascista, Tricase ha negato ai giovani di crescere, anzi, li ha invogliati a farlo! Tanto meno nel periodo democristiano si è verificata una situazione di tal genere. Dopo Spiridione Barbara ed il Colonnello Resci, l’amministrazione comunale è stata guidata da Sindaci trentacinquenni (Codacci-Pisanelli, Serrano,ecc.).

Io stesso a 40 anni Tricase mi elesse Consigliere regionale.

La dottoressa dice di avere 35 anni ma non sa che, prima di lei, a Tricase, donne anche più giovani di età, ai tempi della D.C.,

hanno ricoperto l’incarico di amministratrici di questa Città, dando il loro personale e quotidiano contributo allo sviluppo della cosa pubblica.

Tutto questo è stato possibile perché la D.C. riscattò in Italia ed in Tricase la libertà di parola e di partecipazione, senza orpelli né censi, quella D.C. che nel 1948 consentì alle donne italiane di votare per la prima volta, sollevandole dalla posizione di second’ordine nel confronti degli altri cittadini e dal diritto di eguaglianza politica, sociale ed, a volte anche economica, nella quale si erano trovate fino ad allora.

La volontà dell’elettorato tricasino, per la verità non sempre attento alle personalità locali (vedi Giuseppe Pisanelli), ha portato in Parlamento, nella Commissione dei 75, costituenti apprezzati sia sul piano intellettuale che su quello politico, che hanno consentito a Tricase di essere veramente Città e non sobborgo.

Ignora la giovane candidata che nel 1873, mentre Maglie contava 5737 abitanti e Gallipoli ne contava 9951, Tricase ne aveva solo 4511 poco più di Specchia, che contava 3248 abitanti. Oggi Tricase conta 17.581 abitanti mentre altri comuni, che prima erano più numerosi, sono scesi al di sotto di quella quota.

Tanto è dovuto ad una politica oculata dei politici del passato, in primis quelli della Democrazia Cristiana, che hanno saputo battersi per ottenere una politica occupazionale ed insediamenti pubblici e privati che hanno determinato sviluppo, non solo demografico ma soprattutto economico. Non scorderò, anche per uscire dalla politica, il Cardinale Panico, che con la sua intuizione ed affezione alla sua terra ha sviluppato un polo sanitario oggi tra i più importanti d’Italia.

Demonizzare la D.C. soprattutto da parte di una persona che, per la sua giovane età,non ha conosciuto i tempi difficili in cui la stessa ha agito, significa porsi arrogantemente in una posizione critica irrazionale, giustificata solo la una presa di posizione di odio che contrasta con quella dell’opinione pubblica dominante che, oggi, di fronte all'incapacità politica ed all'abbandono de  cittadini preferirebbe tornare ai partiti della prima repubblica, compresa la Democrazia Cristiana, perché più democratici, più popolari, meno ladroni di quelli d’oggi, che nel passato hanno aspramente criticato politici seri ed oculati facendo tintinnare in Parlamento le manette che, poi, sono state messe ai loro polsi per i misfatti ed i profitti ottenuti durante il periodo di loro reggenza della cosa pubblica.

La tua risposta alle critiche mosse è da me condivisa appieno, considerato che i politici d'oggi e maggiormente i giovani pretendono di scalare le montagne in elicottero per evitare la fatica degli scarponi. Mi rendo conto che essi non sanno come si conquista la vetta e soprattutto non sanno che la politica fatta con i twitter non appaga chi quotidianamente è sulla breccia della vita.

Grazie per l'ospitalità

Cesare Lia  

 

di Luigi Marcuccio Un’attitudine atavica, della quale qui di seguito darò qualche esempio, sembra aver ripreso piede a Tricase: quella dell’”intellettualismo”.

Qualche giorno fa, su di un pagina di facebook dedicata alla politica tricasina, viene rispolverato un vecchio articolo a firma di Eugenio Scalfari, ove la ragione dell’imperare di demagogia e populismo in Italia è enucleata nell’asserita assenza, da circa vent’anni, di intellettuali alla guida dei partiti e della cosa pubblica. Insomma, la tesi è che ci vorrebbe Platone ...: evidentemente, Socrate, anch’egli qualche tempo fa “precettato” a Tricase a furor di ... condottieri di opposti schieramenti, non è bastato ...

Pochi giorni or sono, nel “cappelletto” di un post su facebook con cui si annuncia la presentazione di alcuni scritti da parte di un “opinion giver” (che sinceramente, e lo dico senza vena polemica, non so quanto sia “opinion maker”) locale, è tracciato un ardito spartiacque tra “gli accademici”, depositari e divulgatori di un sapere “codificato”, e “gli intellettuali”, dotati, per così dire, di quell’ésprit de finesse che consent(irebb)e loro di essere non solo il proprio tempo nel modo migliore ma anche migliori del proprio tempo. Peraltro, questa sottile disquisizione sorvola su una questione: se gli intellettuali di cui si parla, siano, o meno, da annoverarsi tra quegli “intellettuali della Magna Grecia” che l’hanno fatta da padrone nel Mezzogiorno, e forse ancora lo fanno.

Sempre in questi giorni, un politico, più che di lungo corso, di lunga corsa (con varie soste nell’una e nell’altra chiesa) alla ricerca dell’agognata “terra promessa”, intervenendo su di un social, dà ad un altro internauta dell’ignorante “nel senso latino di ignoscere”. Mosso dalla sensazione che nella faccenda c’è qualcosa che non quadra, mi accerto che “ignoscere”, in latino, significa “perdonare”: insomma, un “nel senso di” senza senso.

L’altro ieri, nel leggere una delle “pillole di programma” elaborate da un movimento politico ai nastri di partenza del prossimo agone elettorale, leggo il nome di Zygmunt Bauman. Costui non è Carneade ma un filosofo e sociologo, recentemente scomparso, emarginato a partire dal 1953, e nel 1968 costretto all’esilio, dal regime comunista polacco a seguito di una purga etnica mascherata ideologicamente, ma precedentemente parte integrante della nomenklatura di stretta osservanza stalinista. Bauman, dopo un soggiorno in Israele, si stabilì in Inghilterra, ove studiò in un primo momento la lotta di classe; a partire dagli anni ’90, poi, forse anche per la progressiva caduta in desuetudine di tale tema, si è dedicato all’analisi della società contemporanea, da lui definita “modernità liquida”, caratterizzata a suo dire dalla preminenza del sistema capitalistico, un alto grado di sviluppo materiale, la privatizzazione dei servizi e la rivoluzione dell’informazione. Ebbene, l’apprezzamento di quanto, della storia personale e del pensiero di Bauman, sia rilevante nel contesto dell’elaborazione di un programma elettorale comunale a Tricase, lo lascio al lettore. In breve, come cantava Arbore alcuni lustri or sono, siamo al “lo diceva Neruda, che di giorno si suda ... ma la notte no” .... E mi fermo qui perché il seguito della canzoncina (per chi ha la memoria corta, “lo diceva Picasso, che di giorno mi scasso, ma la notte no”) proprio non calza agli spettacoli d’opera buffa cui chi ha tempo e voglia liberamente assiste (con facoltà di partecipazione diretta, come nelle migliori pièces del pirandelliano teatro nel teatro) di questi tempi sul palcoscenico che ha quale sfondo Palazzo Gallone: tutto si può dire, ma che ci si tedi nell’essere lì, tra gli spettatori o sulla scena, no !!! E per affondare il coltello nella piaga, mi sembra che, nel caso di quelle parti del programma elettorale di quel movimento che finora sono state rese note, sia più appropriato il riferimento alla stato liquido “gassoso” piuttosto che a quello liquido: tutto ciò nel dare atto del fatto che finora quel gruppo è stato uno dei due unici, se non l’unico, a porsi il problema di andare oltre “le grida” che “ci siamo anche noi” e, forse, che “vogliamo cambiare” ... e basta!

Recentemente, uno studioso locale si è avventurato nell’analisi di temi di storiografia “maggiore”, in voga un paio di decenni fa ma attualmente non molto gettonati, a partire dall’analisi di vicende inerenti la propria storia familiare: cosa questa, se non altro, prona alla critica di un’assenza di obiettività nell’analisi. Non solo, la ricostruzione storica effettuata dagli uni ha generato poi critiche da parte di altri e conseguente dibattito, in una sorta di avvilente auto-avvitamento: insomma, questi signori (non importa se intenzionalmente) “se la cantano e se la sonano” da soli.  

Ma tali fatti, o forse meglio aneddoti, hanno un leif motiv un po’ meno nobile di quanto possa sembrare a prima vista. Essi hanno l’effetto, se non lo scopo, di (tentare di) accreditare qualche amico, ovvero se stessi, quale “l’uomo della provvidenza”, che salverà Tricase dai suoi mali se sarà richiesto del suo intervento; e le incursioni nel terreno dell’haute (???) culture sono il, direi maldestro, tentativo di trovare argomenti per consacrarlo.

Dopo queste scorpacciate di filosofia spicciola, ognuno dei capizzippu (che dire capibastone sarebbe un’iperbole ...) sia “tradizionali” che “nuovi” ovvero “emergenti” ovvero “alternativi” tira fuori dal cilindro nomi di “salvatori della patria” (in realtà personaggi opinati “malleabili”), proferendo parole di amore nei confronti di Tricase e dei cittadini, sia a nome proprio che del suo “investito”. E già questo mi preoccupa, perché, per dirla con una boutade di Sergio Ricossa, “"Basta politici che dicono di amare il prossimo. Io da loro voglio il rispetto, non l'amore". Ma vi è di più. In realtà l’obiettivo di questi signori è il rafforzamento del controllo nell’accesso alle loro chasses gardées, ritenuto necessario visto che la fauna venatoria si è, di molto, ridotta. D’altra parte, per effetto della diffusa percezione del diradarsi di questa, il potere dei “magnati”, fondato sulla dispensa, a destra ed a manca, di licenze di caccia in posti “buoni”, vacilla. Ma ciò, in congiunto con il fatto che c’è sempre meno erba ed è empre meno verde, determina un’ulteriore flessione nel livello di controllo suddetto, quindi un aumento della conflittualità tra i satrapi, e così via.

Il Tribunale del Lavoro di Lecce ha accolto il ricorso d’urgenza presentato da Luigi Muci, comandante della Polizia Municipale di Tricase.

Il Giudice ha infatti ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale il sindaco Coppola aveva nominato, al posto di Muci, il tenente Lanzillotti, mentre invece aveva confermato tutti gli altri Responsabili dei Settori.

La decisione, che fa quindi tornare l’avv. Muci al Comando della Polizia Municipale, ha suscitato non poco clamore, sia per la particolarità del caso, sia perché la decisione a suo tempo presa dal Sindaco aveva già destato molto scalpore anche perché il Comandante, vincitore di concorso ed assunto a tempo pieno, perdeva il comando e veniva sostituito da un suo sottoposto assunto a tempo parziale.

 

 

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