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sabato 28 luglio

la redazione

Save the Olives è una organizzazione no-profit di volontari che affron-ta la morte degli ulivi in Puglia dovuta al batterio Xylella Fastidiosa. Agiamo insieme in un paesaggio millenario cercando di concentrare le forze delle parti interessate, per sensibilizzare ed educare gli abitanti del territorio attaccato. Con il nostro impegno miriamo a dare speranza al patrimonio culturale, am-bientale ed economico che gli ulivi significano per la cultura mediterranea. In tutto ciò che facciamo, proviamo a mettere l’agricoltura e la ricerca al primo posto, misurando il nostro successo nella capacità di recuperare gli ulivi malati e istruire gli agricoltori verso una gestione più sostenibile della loro terra.

Xylella Fastidiosa è un batterio presumibilmente arrivato dal Sud America che porta alla rapida morte degli ulivi. Introdotta ufficialmente sul territorio italia-no dal 2013, partita Gallipoli ora è alle porte di Bari. L’avanzata del batterio è stimata in circa 30 km all’anno. Purtroppo, Xylella ha già attraversato i confini italiani, infettando parti della Spagna e della Corsica in Francia. Questo lo rende non solo un problema italiano ma un problema mediterraneo che e si sta diffondendo rapidamente. Crediamo in un futuro in cui gli agricoltori, aiutati dal mondo scientifico, saranno in grado di sconfiggere o convivere con questo male facendo ripartire la loro economia agricola. Ci dissociamo da qualsiasi movimento politico dando invece credito ai risultati della ricerca scientifica. Come partner all’interno della ONLUS abbiamo infatti alcuni ricercatori del CNR e CHIEAM.

Con l’evento del 21 luglio 2018 speriamo di coinvolgere un pubblico più am-pio, impegnandoci con possibili sponsor e incontrando altri volontari come noi. Avere i musicisti dal “Teatro alla Scala” di Milano, musicisti di fama mondiale, a suonare in uno dei boschi più antichi e meastosi d’Europa ci darà una grande esposizione mediatica. Allo stesso tempo quella sera vogliamo dare spazio alle persone impegnate in questa lotta da anni, affinché possano condividere i loro risultati per collaborare uniti con il fine di trovare una soluzione comune contro questa piaga. Con i proventi della serata continueremo a lavorare sul nostro campo dimostrativo e a fare giusta comunicazione riguardo la problematica che affligge la Puglia.

Nel caso non riusciate ad essere presenti alla serata del 21 Luglio, ma comunque credete in questo nostro impegno per il territorio, potete comunque fare una donazione alla ONLUS che ci servirà a raggiungere i nostri scopi. Inoltre se ritenete questa causa vicina al vostro pensiero saremmo felici di accogliervi nel nostro gruppo come soci.


 

 

 

La mia colonna di Alfredo De Giuseppe

La vicenda va raccontata, perché nella sua linearità, fotografa l’attuale situazione di Tricase, della politica in generale, delle vuote parole, slogan di moda, spesso in netto contrasto con le cose reali da fare.

È noto a tutti che il ridente paese di Tricase non si è mai dotato di un piano regolatore generale. L’ultimo tentativo più o meno serio fu quello del 1960. Poi da allora ogni nuova Amministrazione ne ha promesso uno da fare con urgenza, tanto che in effetti l’urgenza è diventata quasi omissione.

Nel frattempo i 48 kmq del territorio di Tricase sono devastati in ogni loro parte: le campagne distrutte da oscene costruzioni, le periferie abbandonate, le frazioni senza collegamenti con il centro, che a sua volta non ha un senso pratico dal punto di vista della viabilità e della vivibilità. Si sono in parte salvate le due marine, ma per ragioni indipendenti dalle volontà amministrative locali.

Veniamo al fatto: il geologo Vittorio Emanuele Iervolino, uno dei tecnici incaricati alla redazione del nuovo PUG, convoca una pubblica assemblea da tenersi il 21 giugno nella Sala del Trono di palazzo Gallone, “per un Piano Geologico Partecipato”, durante la quale spera di apprendere altre nozioni utili: “Creare un portale cartografico per mostrare le varie cartografie in fase di realizzazione o già realizzate... censire tutti i Geositi presenti sul territorio ad incrementare il turismo nell’area (lavoro non dovuto per un pug)... censimento delle tante cavità antropiche con il vs aiuto...”

Queste erano le idee dell’ottimo Iervolino: credeva davvero che un lavoro così specialistico come il suo potesse essere condiviso con tantissima gente comune, con tecnici, politici e amministratori. Manifesti per le strade di Tricase, promo sui social, post personali, tutti con il pressante invito alla partecipazione.

Conclusione: all’incontro così pomposamente convocato erano presenti in tre, compreso lo stesso geologo.

Nessun amministratore, nessun cittadino, nessun giornalista e neanche un nuovo trappeto da censire.

Lui, torna a casa e scrive un pensiero su Facebook, dai toni strazianti: Nessuno presente alla giornata di incontro con la popolazione. Oggi sono tornato a casa a Napoli.

In questi giorni ho pensato alla totale indifferenza della cittadinanza al lavoro da farsi per la redazione della relazione geologica per il pug...Però lo stesso Iervolino, prima di chiudere il post con l’intento di cancellarlo dopo pochi giorni, afferma: nei 600km di ritorno a casa in un primo momento ho pensato:

ma in fin dei conti... che me ne frega?... Ma poi macinando kilometri ho ripensato al vostro fantastico paese e ci metterò comunque il cuore oltre che professionalità. Ma lo farò senza condividere nulla.

Tutta la vicenda insegna molto a tutti noi, e allo stesso tecnico, sui tempi che stiamo vivendo: innanzitutto la parola “partecipazione” è usata a sproposito, generando molto spesso equivoci, ritardi, contorsioni e inutili polemiche. Come si fa a immaginare che un PUG possa essere redatto con la partecipazione di persone comuni, di inesperti e di giovani, anziani e bambini in modo indistinto? È come immaginare che i tecnici della NASA facciano un sondaggio mondiale sulle modalità del volo verso la luna.

È invece corretto dare l’incarico a tecnici dalla provata esperienza e bravura, che in tempi brevi siano in grado di redigere un Piano che sappia guardare al futuro, sistemando un po’ delle storture dei decenni precedenti. Poi una classe politica attenta e onesta valuta nelle sedi istituzionali, con buon senso, il progetto complessivo. Solo allora, prima dell’approvazione definitiva, il buon politico può portare all’attenzione dei suoi concittadini le bontà, le contraddizioni e le prospettive di un piano evidentemente già strutturato nelle sue parti fondamentali.

L’attuale logica mediatica, solo virtuale e mai fattuale, di immaginare una specie di partecipazione collettiva su ogni aspetto tecnico della vita amministrativa fa sorridere, eppure è il mantra di questi ultimi anni. Si punta ormai a parole vuote più che a provvedimenti di sostanza. Eppure non si è mai visto un ministro dell’economia discutere con i suoi cittadini le misure che sta per varare, mai uno scienziato portare all’attenzione dei giornali i suoi studi preliminari, neanche un allenatore di calcio condividere la formazione della squadra con tutti i tifosi.

Il nostro caro geologo ha una sola strada: insieme ai suoi colleghi deve presentare nel più breve tempo possibile uno studio chiaro e approfondito. Deve fare bene il suo mestiere, deve impostare un piano che crei sul territorio condizioni ottimali nei prossimi trent’anni. Tutta la fuffa va abbandonata, lasciata agli esteti del nulla.    

 

di Pino Greco

L’ecomostro o il finto albergo-ristorante di Tricase Porto è diventato un gioco da ragazzi.

L’interminabile storia di Villa Sauli, nota anche come Villa degli Oleandri o ecomostro di Tricase Porto, la conosciamo tutti…O quasi.

Ad oggi le foto e non solo, documentano un rudere pericolante a rischio crollo nascosto tra la macchia mediterranea.

Ma, rispettiamo i tempi… e il tempo. Ci siamo. L’estate quella vera, è finalmente arrivata.

Il maltempo è soltanto un brutto ricordo. L’asticella della colonnina di mercurio è tornata a salire regalando un clima estivo.

La pioggia dei giorni scorsi, insomma, ha lasciato il posto al sole che ha spinto noi tricasini e i primi turisti a trascorrere le giornate al mare. Stesso discorso per gli alunni.

La scuola è finita. I ragazzi finalmente sono in vacanza, i libri sono stati rimessi a posto, inizia per i giovani il tempo delle lunghe vacanze estive.

Vacanze da trascorrere anche nei vari posti della nostra splendida costa, tra acqua perfetta e macchia mediterranea dove le nostre marine sono in grado di offrire vari spettacolo naturali, tra cui anche alcune situazioni di pericolo e crollo…dove la sicurezza è sotto gli occhi di tutti…O quasi…

Una cosa è certa :L’ecomostro o il finto albergo-ristorante di Tricase Porto, è un rudere pericolante a rischio crollo nascosto tra la macchia mediterranea, una situazione, che appare, forse, per tutti normale…è diventata un gioco da ragazzi…

Le barchette di carta di Aboubacar

Aboubacar è seduto sulla sua sedia, è un po’ stanco perché il lavoro di muratore è faticoso ma è sempre contento di trascorrere del tempo con i propri operatori e anche oggimi invita a tenergli compagnia per “parlare un po’”.

È un ragazzo curioso e perspicace che adora discorrere del più e del meno ed esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento. Dallo scorso 28 giugno sul suo comodino espone con orgoglio le barchette di carta che aveva preparato per la manifestazione antirazzista che è stata organizzata per le strade di Lecce e a cui ha partecipato insieme a una delegazione di rifugiati ospiti dello Sprar del Comune di Tricase e agli operatori di Arci Lecce.

Contemplando le barchette la nostra conversazione vira sui recenti fatti che vedono le barche vere, quelle delle Ong, colme di uomini donne e bambini salvati dai naufragi nel Mediterraneo, essere respinte e bloccate in mare.

La sera del 28 giugno l’ho visto camminare nel corteo della manifestazione e sostenere con fierezza lo striscione che chiedeva la riapertura dei porti italiani. C’era tanta gente in quel corteo e Aboubacar si sentiva parte di quel gruppo di persone che manifestavano insieme a lui per difendere il principio di solidarietà. Mentre parliamo della manifestazione improvvisamentesi fa serio ed emerge sul suo volto quell’espressione cupa e mortificata che ogni operatore ormai riconosce quando i rifugiati parlano di Libia. Fa un po’ di silenzio, guarda per terra e poi mi dice semplicemente che “non è giusto”, “non è buono”.

Lui che ama argomentare le proprie tesi e arricchirle di particolari, sulla Libia si contiene, sembra voler esplodere ma il dolore del ricordo delle esperienze atroci che ha vissuto nei campi di detenzione è troppo e penso provi vergogna per la disumanizzazione che ha vissuto nel suo passato. Oggi non vuole parlare della Libia, ci pensa in silenzio ma non mi dice nulla forse perché vorrebbe non ricordare di essere stato uno schiavo, e vorrebbe che io lo conoscessi solo per l’uomo coraggioso che ha dimostrato di essere e che si afferma ogni giorno con decisione nella società che lo ha accolto.

Aboubacar oggi non ne parla, ma negli ultimi mesi l’argomento Libia è emerso sempre più spesso, sia nelle discussioni di gruppo, che nei colloqui individuali e ha diffuso angoscia e paura tra i rifugiati dello Sprar di Tricase. Si tratta di un gruppo eterogeno per provenienza, lingua, cultura e religione, ma accumunato per la maggior parte dall’aver vissuto l’esperienza della Libia, ovvero delle torture fisiche, delle minacce psicologiche e delle privazioni del sonno e del cibo.

Spesso durante i corsi di alfabetizzazione, dedichiamo alcune lezioni agli approfondimenti sul loro status di titoli di protezione internazionale. Ultimamente abbiamo parlato della Convenzione di Ginevra del 1951, ricordando ai nostri ospiti che la Libia non ha mai firmato tale Convenzione e che per questo motivo non sarebbe potuta essere considerata un paese di accoglienza per i rifugiati. In questi giorni però leggiamo di un’Europa che costruisce muri, che respinge e che diniega, e soprattutto di un’Italia che considera la Libia un “porto sicuro” e le sue prigioni, dove sono stati sodomizzati e resi schiavi,centri d’accoglienza “all’avanguardia”.Ciò spaventa e angoscia molto i rifugiati dello Sprar di Tricase, che quotidianamente si informano e prendono coscienza dei cambiamenti politici che sono in corso nel nostro paese.

E proprio loro, la settimana scorsa hanno portato alla nostra attenzione l’iniziativa lanciata da Libera e sostenuta anche da Arci nazionale, da Legambiente a dall’ANPI, “una maglietta rossa per fermare l’emorragia di umanità”.

Insieme abbiamo letto l’appello e abbiamo spiegato loro perché noi operatori Arci e tanta altra gente in Italia intendevamo sposare questo piccolo gesto per dimostrare solidarietà alle vittime dei naufragi.

L’appello recitava:

Una #magliettarossa per #fermarelemorragia di umanità

indossiamo una maglietta rossa per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà

Rosso è il colore che ci invita a sostare. Ma c’è un altro rosso, oggi, che ancor più perentoriamente ci chiede di fermarci, di riflettere, e poi d’impegnarci e darci da fare. È quello dei vestiti e delle magliette dei bambini che muoiono in mare e che a volte il mare riversa sulle spiagge del Mediterraneo. Di rosso era vestito il piccolo Aylan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori.

Muoiono, questi bambini, mentre l’Europa gioca allo scaricabarile con il problema dell’immigrazione – cioè con la vita di migliaia di persone – e per non affrontarlo in modo politicamente degno arriva a colpevolizzare chi presta soccorsi o chi auspica un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà. Bisogna contrastare questa emorragia di umanità, questo cinismo dilagante alimentato dagli imprenditori della paura. L’Europa moderna non è questa. L’Europa moderna è libertà, uguaglianza, fraternità. Fermiamoci allora un giorno, sabato 7 luglio, e indossiamo tutti una maglietta, un indumento rosso, come quei bambini. Perché mettersi nei panni degli altri – cominciando da quelli dei bambini, che sono patrimonio dell’umanità – è il primo passo per costruire un mondo più giusto, dove riconoscersi diversi come persone e uguali come cittadini.

E oggi ne ho parlato di nuovo con Aboubacar, gli ho raccontato del perché avessimo indossato quelle maglie rosse e mentre osservava la nostra foto di gruppo sul mio cellulare - in cui siamo stretti dietro la nostra bandiera e sorridiamo - ho strappato un sorriso anche a lui che con la sua solita fierezza e il suo sguardo vispo fisso nei miei occhi mi ha detto “gli italiani sono molto buoni!”.

 

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