la mia colonna di Alfredo De Giuseppe
Certo Tricase ha una sua specificità, anche nell’ambito della triste realtà del Sud Italia. Una specificità ancora da decifrare apertamente, che forse non esiste o forse così sfacciatamente vicina che noi non vogliamo vederla e accettarla. Mentre tutti i paesi limitrofi, da Specchia a Presicce, già tre decenni fa rivalutavano i frantoi ipogei, le grotte e le cantine, nel nostro paese solo due settimane fa, per merito di alcuni appassionati, è nato un comitato auto-denominatosi Tricase Sotterranea, dopo la scoperta di granai, cisterne e mura in Piazza Don Tonino Bello (che infatti fino a pochi anni fa si chiamava correttamente Piazza Antica).
È nata dunque Tricase Sotterranea per studiare e difendere quel poco che ancora si può salvare e conoscere.
Perché in fondo a Tricase non c’è educazione al bello, manca il piacere della conoscenza della storia locale: nel DNA di un popolo pieno di aristocratici, santi e lavoratori non c’era più spazio. Nessuno dei nostri amministratori si è mai preoccupato di salvaguardare il nostro sottosuolo e forse neanche altri beni, lasciati all’incuria e all’oblio, fra grossi cavi grigi, cabine elettriche dentro antiche mura e parcheggi ovunque. Tricase fra l’altro ha il primato di non avere neanche dieci metri di isola pedonale.
Nessuno ha valorizzato il Castello di Tutino, con il suo fossato e con la sua misteriosa origine. Tutto intorno un degrado non di povertà ma culturale: dove c’era una casa a corte, ci sono le mattonelle verdi, dove c’era un’antica masseria ci sono due appartamenti orribili, pure disabitati. Il centro storico di Sant’Eufemia che era riuscito a sopravvivere quasi intatto ai terribili anni ’70 e ’80 non ha retto alle nuove lottizzazioni che sono andate a modificare radicalmente l’assetto del territorio.
Lucugnano ha un castello abbandonato, diviso come un condominio degradato, in mezzo alla tristezza di una piazza che è brutta e neanche funzionale. Depressa non è mai decollata, forse per colpa del nome, come ironizza lo stesso Winspeare. La bellezza la trovi al Porto e alla Serra, specie dove aristocratici, nobili e santi hanno escluso negli anni scorsi qualsiasi insediamento. Quando sono state elargite concessioni, magari a parenti, amici e politicanti, hanno effettivamente il sapore del cazzotto in due occhi.
Mentre paesini come Melpignano diventavano punto di riferimento per un qualcosa, mentre Otranto decollava avendo una sola Chiesa, il popolo di Tricase, a cicli alterni, manda ad amministrarci gente che ha litigato seriamente fin da piccolo con la Cultura e la Bellezza e allora tutto si capovolge e tutto diventa uguale, inutile, fine a sé stesso.
Così pare non aver mai amato Palazzo Gallone, a suo tempo devastato, derubato e destrutturato. O l’ACAIT prima acquistata come un gioiello e poi lasciata a marcire in attesa di un’idea che fosse una (fino al crollo di questa settimana). Così come per il convento dei Domenicani, avvolto nel mistero degli uffici tecnici del nostro Comune, con cunicoli, trappole e nascondigli che nessuno ancora ha appieno esplorato.
Poi, a cicli alterni, gli Eletti del Popolo decidono che una manifestazione internazionale sul cinema indipendente come il SIFF non ha alcuna importanza, e forse neanche altre manifestazioni più organiche, lungimiranti e attrattive, a meno che non sia una scorribanda televisiva o una passerella di quasi famose modelle e di quasi rimodellati modelli. E il popolo applaude con un buon grado di consapevolezza masochista.
E ogni volta, con gran fatica, bisogna ricominciare, bisogna lottare per una nuova ripartenza che ha un solo grande limite: non crea quel senso di continuità su un progetto di città condiviso. E ci fa sprofondare dentro un buco di ignoranza, questo sì sotterraneo, che però non ha la bellezza, l’odore e la storia di un frantoio ipogeo, di un castello o di una masseria con le pietre a secco. E tutti dicono: non c’è futuro senza storia e io aggiungo non ci sarà mai più arte nel futuro se non c’è l’osservazione del presente.
La specificità forse sta proprio in questo: nessuno dei nostri governanti, per un chilo di voti, ha mai detto che non si può costruire ovunque, che non è possibile distruggere tutta la storia, che non è possibile vivere senza memoria e senza nuovi stimoli. È ora di pretendere da tutti un atteggiamento più responsabile, più attento, meno superficiale, meno provincialotto. Per decifrare Tricase, per capire cosa vogliamo, non possiamo vivere altri decenni dentro un sotterraneo buio (vado a rileggere “Memorie dal sottosuolo” di Fëdor Dostoevskij).
ELEZIONI del 4 marzo 2018
di Antonio Scarascia
Ha destato stupore nell’opinione pubblica tricasina la nuova denominazione Collegio di Casarano attribuita al collegio Sud pugliese, collegio che nel passato aveva sempre avuta la denominazione di Collegio di Tricase.
Effettivamente quella denominazione ha una lunga storia che risale al 1860 per quanto riguarda l’elezione della Camera, mentre è naturalmente più breve per l’elezione del Senato, essendo stato di nomina regia fino al 1946.
Il collegio di Tricase fu istituito con il regio decreto n. 4513 del 17 dicembre 1860, in vista delle prime elezioni politiche unitarie, unitamente agli altri 443 collegi in cui fu suddiviso il territorio italiano, che ne riservò 9 alla provincia di Terra d’Otranto (Lecce, Taranto, Gallipoli, Brindisi, Massafra, Manduria, Campi Salentina, Maglie e Tricase).
Il criterio che presiedette alla loro costituzione fu l’accorpamento di un certo numero di mandamenti elettorali amministrativi limitrofi - i mini collegi che eleggevano i consiglieri provinciali – e l’individuazione del comune capocollegio nel comune più popoloso.
Il collegio di Tricase nacque come accorpamento di sette mandamenti limitrofi, cioè Alessano, Gagliano del Capo, Presicce, Poggiardo, Ruffano, Ugento e Casarano, comprendente in totale 24 comuni dei quali Tricase era il più popoloso contando 5.319 abitanti, (contro i 4.035 di Casarano), ciò che gli dava titolo alla instestazione del collegio
Il debutto del collegio tricasino nelle prime elezioni politiche del 27 gennaio 1861 fu un debutto storico perché vide la partecipazione del nostro concittadino Giuseppe Pisanelli, il quale però perdette il confronto con Liborio Romano, potente ministro dell’interno, per 217 voti contro 453, anche se poi la sua candidatura fu recuperata nelle elezioni suppletive del 7-14 aprile per l’assegnazione dei seggi vacanti, nelle quali restò eletto per il collegio di Taranto.
Il collegio ebbe negli anni alterne vicende. Restò in vigore fino alle elezioni del 1880 (settima legislatura unitaria), poi fu soppresso nel 1882 quando il numero dei collegi fu ridotto a 135 e nella nostra provincia ne furono mantenuti solo tre, denominati Lecce I, Lecce II, e Lecce III. Fu poi ricostituito nel 1891 e rimase in vigore fino al 1919 con l’inglobamento di tutti i collegi della provincia nell’unico collegio intestato ancora al suo capoluogo.
Durante il periodo fascista il collegio di Tricase, come tutti i collegi uninominali, non ebbe più storia per l’introduzione di un sistema plebiscitario nel quale veniva votata una lista precostituita di deputati, e per l’abolizione della stessa Camera elettiva (legge n. 129/1939), sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, composta da membri di diritto, titolari di cariche nel partito o in enti statali o corporativi.
Il collegio uninominale ritornò in vita con la nascita della Repubblica, ma fu utilizzato non più per la Camera dei deputati, la cui elezione si basava e si basa su un sistema proporzionale con circoscrizioni plurinominali, ma per l’elezione del Senato, la cui legge istitutiva (n. 30/1948) previde la suddivisione della regione in tanti collegi uninominali per quanti senatori le spettavano.
In quell’occasione il territorio provinciale fu suddiviso in tre collegi, denominati Lecce, Gallipoli-Galatina, Tricase, quest’ultimo comprendente 44 comuni del Sud Salento, compreso il comune di Casarano.
Il sistema introdotto nel 1948 rimase in vigore fino all’agosto del 1993 e durante quel lungo periodo il collegio di Tricase ebbe spesso l’onore della cronaca nazionale, in ragione di candidature eccellenti che trovarono spazio nelle liste della Democrazia Cristiana come quelle del presidente nazionale delle ACLI Marino Carboni (eletto nel 1976) e del magistrato Claudio Vitalone (eletto nel 1979 e nel 1983).
Nel 1993 i confini dei collegi furono rideterminati (dlgs n. 535/1993) e i collegi leccesi ebbero una individuazione meramente numerica (n.7, n.8, n.9), senza indicazione del comune capocollegio. Su questa base si svolsero le elezioni politiche del 1994, del 1996 e del 2001, mentre dal 2005 l’elezione è avvenuta in base alla legge n. 270 del 2005 con un sistema elettorale di tipo proporzionale, che non prevedeva collegi uninominali.
I collegi uninominali sono stati riportati in vita dall’attuale legge di riforma. La norma di riferimento è il dlgs 12 dicembre 2017, n. 189 rubricato “Determinazione dei collegi elettorali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” adottato in attuazione dell'articolo 3 della legge 3 novembre 2017, n. 165. Ebbene il decreto ha reintrodotto i collegi uninominali, ma ha anche individuato formalmente il criterio per la denominazione del collegio nella maggiore consistenza demografica del comune del raggruppamento.
Nella Tab. 1- Puglia allegata al decreto sono indicati i tre collegi della provincia di Lecce (n. 7, n. 8 e n. 9), con la denominazione di Lecce, Nardò e Casarano. L’intestazione a Casarano del terzo collegio leccese è naturale conseguenza della sua maggiore dimensione demografica rispetto agli altri 49 comuni del raggruppamento.
Questa la ragione del cambiamento. Se l’apparente perdita di ruolo del nostro comune può urtare la nostra sensibilità, ci conforta il fatto di non essere stati pretermessi per ragione politica, ma per il dato oggettivo della demografia che ha giocato a favore di Casarano. Comune che, in verità, ci aveva superati quanto alla popolazione sin dal 1921, quando al censimento di quell’anno registrò 9.080 abitanti contro gli 8.659 del nostro Comune, ed incrementò il dato, decennio per decennio, fino all’attuale livello di 20.285 contro i 17.581 di Tricase (dato Istat del 2015).
Depressa. Sette piccole discariche segnalate dai cittadini
Egr. Sig. Direttore, gentilissimi redattori de il Volantino,
vorremmo segnalare una situazione che, a nostro avviso, è piuttosto grave, ossia le numerose discariche a cielo aperto, delle più svariate tipologie di rifiuti, che si possono trovare appena si esce fuori dal nostro centro abitato di Depressa.
Le zone interessate sono tante. Si passa dalla strada alle spalle del cimitero fino ad arrivare all’inizio della “ Cosimina”. Tutte in territorio di Depressa.
Si trova di tutto. Scarti edili, pneumatici, fusti di rifiuti ,frigoriferi, eternit,un salotto, ecc. ecc. Sono 7, le piccole discariche che sorgono tra alberi di ulivo e campi coltivati, a poche centinaia di metri dal centro abitato.
Alleghiamo alcune foto in merito. Con la speranza che qualcuno si muova.
Sindaco Carlo Chiuri “di Depressa”, in primis.
Grazie per la Vostra sensibilità.
Un gruppo di cittadini di Depressa
La vice sindaco Antonella Piccinni: “bonificheremo tutto quanto prima ”
Sette discariche abusive a Depressa .Veri episodi di inciviltà e degrado ambientale
C'è scritto a chiare lettere. “CAFONI E INCIVILI CHI BUTTA I RIFIUTI. VERGOGNA”.
Lo hanno scritto i cittadini che vogliono una Depressa più pulita.
Depressa, circa 1400 residenti. Insieme a Lucugnano, costituisce frazione di Tricase. Sono sette le discariche abusive di media dimensione. La piccola frazione è circondata da discariche nocive.
Si possono trovare appena si esce fuori dal centro abitato. Le zone interessate sono tante. Svariate le tipologie di rifiuti presenti: “Una situazione che, a nostro avviso, è piuttosto grave”.
Questa la dichiarazione di alcuni cittadini che ci hanno accompagnato nel triste percorso dei rifiuti.
Le zone interessate sono tante. Si trova di tutto. Ci sono quelli che svuotano i fusti di vernice, scarti edili, calcinacci e materiale elettrico. Non mancano quelli che, per evitare il viaggio fino alla discarica si liberano di computer, gomme di auto, salotti e qualsiasi altro rifiuto ingombrante dove capita.
Tutto in territorio di Depressa. Tutto cestinato per strada.
Si passa dal percorso alle spalle del cimitero fino ad arrivare all’inizio della “ Cosimina”.
Sono tutte strade di campagnetra alberi di ulivo e campi coltivati, strade poco illuminate, spazi poco frequentati e aree di facile degrado da usare come pattumiera.
Tutto a poche centinaia di metri dal centro abitato.
In una zona sprovvista di telecamere di videosorveglianza
Purtroppo il fenomeno delle discariche a cielo aperto, è ancora una piaga per la Città di Tricase.
Un sporco lavoro di chi non si fa scrupoli a usare terreni , strade o incroci come spazzatura.
E’ mai possibile che non si riesca a risolvere questo problema
di Alessandro Distante
TACCUINO ELETTORALE
Plance tristi e melanconiche attendono di essere riempite di immagini, di colori e di slogan.
Intanto sono libere e bianche.
Poco da comunicare e forse pochi motivi per farsi vedere.
Del resto il sistema elettorale non attribuisce particolare peso ai candidati non essendoci neppure le preferenze.
Il resto lo fa un collegio grande a dismisura con candidati, per lo più, che poco hanno a che vedere con il territorio.
Ed allora perché stampare ed affiggere manifesti?
E poi chi li legge? Chi, camminando per strada, si ferma a leggere gli slogan e a vedere i volti dei candidati?
Siamo in inverno. Oltre ai comizi in piazza viene meno anche la comunicazione con i manifesti.
La comunicazione viaggia su altri binari: televisioni e social.
Continua il processo di spersonalizzazione e di separazione tra candidati ed elettori o, forse, tra le Istituzioni ed i cittadini
di Romeo Erminio
La giornata era illuminata da un sole splendido che riscaldava i nostri volti messi a dura prova da un ponentino dispettoso che ci scagliava i suoi freddi dardi.A dispetto del freddo eravamo pieni di gioia perché tra poco saremmo stati abbracciati dal Vicario di Cristo.
L’attesa è stata ben ripagata. Papa Francesco ha voluto donare all’immensa folla di volontari radunati tra il colonnato del Bernini il resoconto dei suoi viaggi in Cile e Perù dove Egli non ha esitato a condannare gli abusi del consumismo alienante dell’ideologia ambientalista che trascura l’interesse della povera gente. Parole di ferma condanna ha espresso in quei Paesi soprattutto contro la corruzione delle classi dirigenti, contro le violenze sulle donne, gli abusi sui bambini e la distruzione progressiva della foresta amazzonica.
L’invito di Papa Francesco a quelle popolazioni non solo ,e soprattutto all’Occidente, è stato quello di creare ecosistemi capaci di guardare aldilà dell’immediato e del profitto individuale che crea povertà e toglie la speranza a quelle popolazioni che vivono in Amazzonia.Su tutti quei popoli affamati di giustizia il Papa ha invocato la protezione della Madre de Dios. Poi ha rivolto il suo discorso a noi volontari dell’AVO. Attendevamo con trepidazione questo momento come tanti scolaretti che attendono l’esito della loro prova.Papa Francesco ha urlato verso di noi un immenso “grazie”.Grazie per quello che facciamo ogni giorno in favore dei sofferenti.
La nostra opera, ribadiva Francesco, è meritevole non solo della Sua più ampia gratitudine ma soprattutto di quelle numerosissime persone a cui noi ogni giorno offriamo consolazione, dinanzi agli ostacoli, alle difficoltà che incontrerete nell’espletamento del vostro generoso, gratuito e nobile impegno”aggiungeva il Papa
.”La gratitudine non è il forte degli uomini. Continuate nel vostro compito perché la benedizione di Dio sarà sempre su di voi e sulle vostre famiglie”. Con la” Papa mobile ”Francesco si è avvicinato ad ogni gruppo ed ha impartito la sua benedizione.