di Antonio TURCO
Siamo entrati felicemente nella buona stagione, piazze e parchi pieni di genitori che portano i figli a giocare e di brave persone che non rinunciano a una passeggiata serale per una chiacchierata con gli amici. In una di queste mi è capitato di sentire un paragone scaturito dalla ammissione di un ragazzo un po’ “bonaccione” che motivava la ragione per cui aveva votato per una parte politica, chi gli aveva fatto questa domanda inorridì alla risposta e allora un'altra persona che faceva parte del gruppo chiese agli altri e a sé stesso: chi è più intelligente tra un “bonaccione” che va a votare e altri “saggi” che non ci vanno? La risposta è stata unanime ed è facile capire quale sia stata.
Avevo in mente di scrivere questo pezzo prima del voto ma sarebbe apparso sicuramente più banale di quanto non lo sia questo.
Avrei scritto che non appartiene solo a coloro che rinunciano al voto questa delusione sullo stato in cui versa la politica, non solo italiana e non solo europea. Ma l’instabilità globale va trasformandosi in guerra e non credo sia necessario far capire che questa tendenza va corretta nel più breve tempo possibile.
Avrei scritto che il voto non è un giudizio verso terzi, ma verso sé stessi, è un conto aperto che potrà dare esiti positivi o il contrario. E in questo periodo, sbagliare o sottovalutare possono pesare non poco su coscienze poco attente. E invece, votando, si dà un valore al voto che contro questo caos politico vale doppiamente per motivi che è facile capire; come facile è capire che vale doppiamente, ma nel senso opposto, non votare. Se non ora, quando?
Avrei scritto che, qualcuno non vota per non vedersi involontario complice della cattiva politica. Ma c’è anche un risvolto che porta al coraggio di votare per essere parte di una politica migliore. Quanto più è alto il numero dei votanti tanto meglio si esprime la volontà dell’elettorato.
Avrei scritto che, senza falsa modestia, a Tricase il voto ha sempre avuto il suo valore. Il nostro paese sa per tradizione centenaria orientarsi nei gangli sempre tortuosi della politica. A partire da Giuseppe Pisanelli, Ministro di Grazia e Giustizia del primo Regno d’Italia e dei suoi discendenti, per finire ad altri eccellenti nomi, esponenti di altri partiti che hanno rappresentato la nostra storia politica. L’ostruzionismo verso il fascismo che costò la vita a Roberto Caputo e altri martiri si protrasse per tutta la durata del ventennio e fu un atto di coraggio proveniente dalla maturità del nostro popolo intorno ai veri principi su cui poggia una democrazia.
Avrei scritto del giorno che andai per la prima volta a votare. Se ricordo bene era il 1976 e si votava per le politiche, in quell’anno votavano i diciottenni e ne vedevo intorno a me tanti. Erano felici per quel passaggio di maturità e si leggeva nella loro compostezza l’importanza che davano a quel momento. Non scordiamo quel giorno, cerchiamo di ricordare quella buona stagione, si è sempre in tempo per recuperare i nostri principi e i nostri ideali.
di Alessandro Distante
A vincere, alla fine, è stato il Partito dell’astensione.
I dati di Tricase (vedi pag. 3) registrano un’affluenza alle urne pari al 35,59%; detto in altre parole, poco più di tre elettori su dieci si sono recati alle urne.
Quali le cause? La disaffezione alla politica fa trasparire una disaffezione alla cosa pubblica. Questo distacco viene vinto soltanto in occasione delle elezioni amministrative dove gli interessi in gioco sono più diretti.
Già, più diretti, che può voler dire lontani dagli interessi pubblici e più attenti al tornaconto: voto quel candidato perché è mio parente oppure mio amico o, peggio, perché mi ha promesso –bene che vada- che mi asfalterà un pezzo di strada, ovviamente davanti casa mia.
Quanto più ci si allontana da questo rapporto diretto e da questo legame tra interesse personale ed interesse pubblico, tanto più aumenta il partito degli astensionisti.
Andare a votare perché? Cosa me ne viene?
Fin qui le colpe dell’elettore che, in quanto parte di una comunità, sia essa cittadina, regionale, nazionale oppure europea, dovrebbe sentire quello che, una volta, si chiamava il dovere del voto.
Ma le colpe non sono, ovviamente, soltanto del cittadino-elettore.
La campagna elettorale per le Europee, a Tricase, ha registrato un vuoto pressocchè assoluto. Ho partecipato ad un comizio tenuto in Piazza Pisanelli da un mio amico di Bari. Ero solo in Piazza, oltre a chi accompagnava il candidato. Un altro comizio, tenuto di pomeriggio da Vittorio Sgarbi, è stato seguito da pochissime persone e ci si è soffermati più a raccogliere commenti (invero pochi) del c.d. Maestro su alcune opere d’arte tricasine, piuttosto che su questioni politiche.
Per il resto vuoto assoluto. E’ vero che non si votava per le comunali, né per le regionali e neppure per il Parlamento italiano, ma coloro che sono stati eletti e ricoprono quelle cariche perché non hanno sentito il dovere di animare il dibattito preelettorale?
Eppure è pacifico che la politica nazionale è condizionata fortemente dalle politiche europee; ed è altrettanto vero che i numerosi finanziamenti che giungono, attraverso la Regione, ai Comuni sono di derivazione comunitaria. E’ quindi evidente che non è indifferente se nel Parlamento europeo siedono alcuni piuttosto che altri parlamentari.
Eppure il silenzio assoluto.
Alla radice di questa disaffezione e di questo astensionismo non può non mettersi anche il famoso dire, divenuto ormai linguaggio dei politici, secondo cui gli elettori decidono e chi è eletto deve rendere conto del suo operato al termine del mandato. “Siamo stati eletti, fateci governare e, alla fine, ci giudicherete”.
Ma che significa “alla fine”? Questa rivendicazione e questa pretesa si è tradotta nel disinteresse durante tutto l’intervallo che va da una elezione all’altra. E’ un messaggio diseducativo perché allontana dalla quotidiana ed appassionata attenzione e partecipazione alla “cosa pubblica”.
E’ risaputo che se non c’è un allenamento alla democrazia, non si può esprimere un voto cosciente e, soprattutto, il non esercizio del diritto di partecipazione costante porta poi a non esercitare neppure il livello minimo di partecipazione, e cioè il voto.
Se a tutto questo si aggiungono la fine dei partiti, il venir meno dei luoghi del confronto e, non ultimo, l’immagine di politici che sono in politica non per curare gli interessi degli elettori ma principalmente i propri interessi o quelli dei loro amici, allora ci si spiega ancora di più il perché della crescita del partito delle astensioni.
E tutto questo che significa? Quale democrazia è mai questa dove una minoranza decide per la maggioranza? Certo è colpa della maggioranza silenziosa, ma questo può consolarci?
di don Pierluigi Nicolardi
Parroco di S. Antonio da Padova - Tricase
La comunità di Tricase si prepara a celebrare la festa dei santi verso i quali è forte la devozione popolare, S. Antonio, il 13 giugno, venerato come protettore in quattro comunità parrocchiali della Città (la parrocchia di Antonio a Tricase, Tutino, Depressa e Lucugnano), e san Vito, patrono di Tricase, il prossimo 15 giugno.
La festa dei santi è sempre occasione importante per ritrovarsi e per tessere relazioni; come comunità parrocchiali, non possiamo esimerci dal percorrere sentieri di comunione e di unità: è nell’identità della comunità ecclesiale. E questa identità deve farci lavorare come artigiani, anche di fronte a tanti segnali di disgregazione che spesso giungono dalla società civile. La liturgia eucaristia ci fa pregare così: «in un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda segno profetico di unità e di pace».
Come segno concreto di comunione e sinodalità, noi, parroci della matrice e di S. Antonio, abbiamo scelto già da qualche anno di vivere insieme alcuni importanti appuntamenti celebrativi: il Venerdì Santo e la benedizione delle Palme.
Non solo; come già avvenuto negli anni passati, alcuni confratelli parroci saranno presenti alle celebrazioni della solennità di S. Antonio, che celebriamo nella nostra parrocchia, e di S. Vito. Ho ritenuto importante che, a partire da quest’anno, nel giorno della festa del Patrono, non venisse celebrata la s. Messa nella comunità parrocchiale di S. Antonio, al fine di consentire a tutti una più ampia partecipazione alla festa di S. Vito.
Piccoli segni, ma che aiutano a edificare comunità più fraterne e coese.
di Pino GRECO
Da piu’ di 5 anni e’ “scomparsa” via Sandro Pertini
Tricase- Il postino: “ Scusi dovrei consegnare la posta in via Sandro Pertini, non trovo nessun segnale che indica la strada”. Dovrebbe chiedere della scuola materna -nelle vicinanze della “ nuova chiesa di Sant’Antonio”, la risposta di alcuni cittadini del popoloso rione “ Lavari”.
Siamo in pieno centro commerciale a Tricase, esiste da piu’ di 5 anni una strada senza indicazione stradale.
Parliamo di via Sandro Pertini, una strada molto trafficata - sede anche di una scuola materna - che taglia in due una parte del rione “Lavari”.
Solitamente all’inizio e alla fine di una strada ci dovrebbero essere i segnali che indicano la strada che si sta percorrendo .
Nel rione di Sant’Antonio, in via Sandro Pertini non si trova nulla di tutto questo da piu’ di 1800 giorni. Chi ci capita per caso resta un po’ disorientato.
Chissà cosa penserebbe oggi Sandro Pertini…
di Alessandro Distante
Questa volta si voterà di sabato pomeriggio e di domenica; è una conquista democratica pure questa, perché il calendario della politica prende atto del calendario dei nostri tempi. Ormai il sabato è più che festivo ed anzi - per dirla con il Poeta- questo di sette è il più gradito giorno.
Il leopardiano “sabato del villaggio” trova dignità politica e chissà se questa novità e questa riconosciuta bellezza della vigilia del dì di festa servirà ad aumentare la partecipazione al voto.
La campagna elettorale, anche a Tricase, non ha visto particolare fermento. Pochissimi gli incontri pubblici in Piazza (i tradizionali comizi) ed ancor più assenti i momenti di confronto sui temi europei.
Eppure mai come in questo momento l’appuntamento elettorale potrebbe dare una indicazione forte e irrobustire una Istituzione nata dopo due gravi conflitti mondiali e che è stata la risposta, sino ad ora vincente, pacifica e non violenta alla forza delle armi come modalità di soluzione dei conflitti.
Una Europa forte, legittimata dal voto, che contagi della sua idea primigenia il … resto del mondo. La convinzione che lo stare insieme serva non per difendersi ma per eliminare alla radice le ragioni del confliggere; l’idea che, sedersi in un Parlamento, sia l’unica strada per risolvere beghe nazionalistiche, che il conoscersi, il parlarsi, il discutere sia la vera alternativa all’uso della forza e delle armi.
Un’Europa che non si appiattisca sulle ben diverse logiche della NATO, un’alleanza militare difensiva dove la difesa, quando scoppia un conflitto armato, ha difficoltà a definirsi e limitarsi.
L’Europa è poi la principale “cassaforte” di ogni finanziamento e quindi di ogni politica di sviluppo. Andiamo a votare dopo il Covid, causa di un’epidemia che ci ha fatti sentire “tutti sulla stessa barca” e che poi ha generato il PNRR, strumento di finanziamento per il futuro delle prossime generazioni e per lo sviluppo di alcune aree depresse come il nostro Sud.
Come è possibile che si vada al voto senza riflettere e senza discutere sulle logiche di sviluppo, sugli strumenti di finanziamento, quando l’Europa è l’ossigeno per immaginare investimenti e delineare scenari di crescita?
La questione ecologica trova in Bruxelles il principale luogo di dibattito e di scelte; e si tratta di provvedimenti che condizioneranno il nostro futuro e le nostre vite quotidiane: basti pensare all’auto ed ai mezzi di trasporto, alla casa e alla classe energetica, alle coltivazioni nei campi alle tecniche di allevamento, il cibo e i rifiuti.
Di tutto questo avremmo voluto sentir parlare e magari avremmo voluto discutere in questa campagna elettorale.
Un’occasione persa dunque? Non è detto, se si andrà numerosi alle urne e se, oltre a crociare un simbolo ed esprimere una o, meglio, tre preferenze, si rifletterà e si farà riflettere sul nostro futuro; sarà il segnale, se non la prova, che il voto è la vera arma per decidere della nostra vita e per evitare –sempre per dirla con il Poeta e parafrasandolo- che diman tristezza (e noia) rechino l’ore.