di Ercole Morciano  94 sono i giovani tricasini caduti durante la prima guerra mondiale (1915-1918). L’elenco dei loro nomi incisi sulla base marmorea del monumento bronzeo che Tricase tutta, frazioni comprese, ha voluto dedicare ai Caduti delle due guerre, ci fa capire come quella tragedia abbia colpito tante famiglie, molte ancora oggi esistenti, indipendentemente da ogni differenza sociale.

Tra le quasi cento “storie” che andrebbero conosciute va messa in risalto quella del giovanissimo sottotenente Giuseppe Ingletti morto cento anni fa il 22 novembre 1917, e con lui vogliamo ricordare tutti gli altri.

foto inviata da Mario Ingletti

Non è facile scrivere di tali fatti, perché si corre il rischio di scadere nella retorica; occorre invece sfrondare da ogni enfasi mistificatoria l’amara realtà vissuta da tanti giovani al fronte, nell’inferno delle trincee, tra sofferenze indescrivibili, con la prospettiva della morte a causa del nemico - o peggio fucilati dai propri commilitoni in caso di rifiuto o dissenso -, della malattia, dell’indigenza, della dura prigionia, per ideali collegati al compimento del risorgimento forse sconosciuti a molti o, come affermato dalla parte neutralista, per territori che l’Italia poteva ottenere senza entrare in guerra. Vi furono nel corso del primo conflitto mondiale molti episodi di valore e, pur nella convinzione che sono beati i popoli che non hanno bisogno di eroi (come afferma Bertold Brecht), ricordare persone che hanno dato la vita per la patria, che sono morte per un giusto ideale è opera civilmente degna e doverosa.

Giuseppe Ingletti nasce il 12 luglio 1898 da Gennaro, avvocato e più volte sindaco di Tricase tra fine ‘800 e primi del ‘900, e da Maria Antonietta Gorgoni, del patriziato galatinese. Egli è l’ultimo dei maschi della famiglia composta da 9 figli. Diplomatosi all’istituto tecnico, viene mobilitato subito dopo con la sua classe nel febbraio 1917. Non ha ancora compiuto 19 anni; completato il corso allievi ufficiali e conseguito il grado di sottotenente di complemento, è assegnato al I° reggimento di fanteria della brigata “Re”. Al fronte Giuseppe ha già due fratelli più grandi d’età, entrambi giovani ufficiali: Vincenzo e Mario (futuro direttore ACAIT); ne ha perduto un altro, Luigi. Nato il 4 aprile 1895, Luigi è morto il 7 novembre 1915, a vent’anni, per le ferite riportate nel corso del combattimento sul medio Isonzo.

In seguito alla ritirata dopo la disfatta di Caporetto, la Brigata “Re” il 21 novembre si attesta «a presidio della seconda linea di resistenza lungo il costone sulle pendici orientali del monte Tomba», massiccio del Grappa e lungo il corso del Piave. Il 22 novembre gli austro-tedeschi iniziano l’attacco per sfondare la linea italiana e dilagare in pianura. Quella stessa mattina, il sottotenente Giuseppe Ingletti, al fronte da circa un mese, scrive ai suoi famigliari «rassicurando i genitori e chiedendo notizie del fratello Mario». È l’ultima sua lettera. Nel corso del combattimento il giovanissimo ufficiale tricasino è colpito a morte mentre «in testa al suo reparto contrattacca incitando i suoi soldati al combattimento». Gli verrà conferita la medaglia d’argento al valor militare, per aver contribuito con la propria vita ad arginare l’avanzata degli invasori dando prova di coraggio e di abnegazione.

Come tricasini dobbiamo dire grazie a Guido Sodero, medico di professione, che sulla prima guerra mondiale è un’autorità nazionale, perché con grande passione e competenza ricerca e raccoglie foto e documenti d’archivio riguardanti i nostri Caduti; e grazie a Donato Antonaci Dell’Abate per la mostra a soggetto che a palazzo Gallone espone materiale raro e interessantissimo, mettendo in contatto il visitatore con quel tragico periodo bellico di 100 anni fa. La grande storia, le “storie” personali, la ricerca di documenti, di foto e oggetti, le mostre, i centenari, servano nel loro insieme, anche nel nostro ambiente, a rendere sempre attuale il monito “mai più la guerra!”.

 

di Pino Greco  Giudice di Pace a rischio chiusura: il cancelliere va in pensione

Il presidente dell’ordine degli avvocati, Roberta Altavilla:

queste strutture devono essere a sevizio dei cittadini è importante la loro funzionalità.

Fernando Melcarne , dipendente del Comune di Tiggiano, figura indispensabile per il funzionamento dell’ufficio di giudiziario, va in pensione.

Tricase, e’ sabato 2 dicembre. In una affollata assemblea, gli avvocati hanno convocato i sindaci, non tutti presenti, del comprensorio dei Comuni di Tricase, Castro, Diso, Miggiano, Montesano, Specchia, Tiggiano, Andrano , nella sede del Giudice di Pace di Tricase.

Alla riunione era presente l’avv. Roberta Altavilla, presidente dell’ordine degli avvocati.

L’oggetto dell’incontro è quello di sollecitare la nomina di un cancelliere, che prima affianchi e poi sostituisca il funzionario Fernando Melcarne, che avrà il collocamento in pensione la prossima estate 

La carenza di personale è purtroppo oramai un problema frequente per gli tutti gli uffici giudiziari nazionali, e in questo periodo tocca particolarmente la sede di Tricase, laddove il personale amministrativo è già ridotto ai minimi termini.

Tutti i professionisti intervenuti all’assemblea, del resto, hanno ribadito che l’assenza di un cancelliere comporterebbe la soppressione dell’ultimo ufficio giudiziario del territorio, che già negli ultimi anni ha visto negarsi la sezione distaccata del Tribunale di Lecce.

In merito anche l’intervento del sindaco di Tricase, avv. Carlo Chiuri, che invita i collegi sindaci e avvocati ad una maggiore sinergia, ponendo l’accento sul fatto che la Città Tricase, oltre a fornire la sede logistica ( per altro già destinata a futura sede della Compagnia dei Carabinieri), mette già a disposizione due impiegati comunali dei tre funzionari di cui si avvale l’ufficio.

Il primo cittadino, inoltre, auspica un maggiore impegno delle istituzioni forensi anche a livello Ministeriale affinchè si realizzi un possibile allargamento territoriale della giurisdizione dell’ufficio del Giudice di Pace di Tricase anche a quei Comuni del Basso Salento, che, con la soppressione dell’Ufficio del Giudice di Pace di Alessano, fanno riferimento a Lecce.

 

 

di Nunzio Dell'Abate 

A marzo scorso è stato istituito e disciplinato il servizio di volontariato denominato “Nonno Vigile”.

 

Il regolamento istitutivo della nuova figura di volontariato veniva licenziato all’unanimità dalla Commissione Regolamenti, di cui ero Presidente, dopo una lunga istruttoria e di concerto con l’allora Responsabile del Settore.

 

Lo strumento normativo ha dovuto fare i conti con l’art.11 del Codice della Strada che inibisce a soggetti estranei alla Polizia la tutela ed il controllo sull’uso della strada. Giocoforza ha privilegiato l’aspetto sociale di inclusione delle persone di una certa età, piuttosto che quello di regolamentazione del traffico veicolare negli orari di ingresso e di uscita degli alunni dai plessi scolastici. Esigenza questa, invece, sempre più avvertita da genitori e personale scolastico.

 

Deve stazionare sul marciapiede presente dinanzi alla scuola assegnata invitando i minori ad utilizzare l’attraversamento pedonale ed, eventualmente e solo ove occorra, accompagnando gli stessi dopo essersi accertato che i veicoli si siano arrestati, senza procedere ad alcuna intimazione nei confronti dei conducenti dei veicoli” (vedi art.6 del Regolamento). Pertanto, il Nonno Vigile non può interferire o sostituirsi all’Agente di Polizia, ma può essere utile a “segnalare eventuali anomalie e necessità di intervento alla Polizia Locale”, se pur “senza procedere a contatti verbali con eventuali trasgressori”.

 

La precedente amministrazione non diede avvio al servizio e nel corso dell’ultima seduta consiliare si è deciso di farlo partire.

 

Ora ben venga la nuova figura di volontariato ed anzi auspichiamo una massiccia adesione da parte dei nostri anziani concittadini, ma essa non sarà sufficiente ad ovviare alle quotidiane criticità di circolazione, viabilità, sosta e parcheggio all’esterno degli istituti scolastici negli orari di punta. Si pensi solo a quanto accade ogni giorno in via Umberto I°. Necessitano indubbiamente altri interventi, sia di mezzi che di personale dedicato.

Ecco la ragione della nostra proposta, formulata in Consiglio sotto forma di emendamento: “impegnare la Giunta Comunale affinchè ponga in essere, di concerto con gli uffici preposti, tutte le azioni e gli accorgimenti finalizzati ad assicurare la piena incolumità e sicurezza degli alunni negli orari di entrata e di uscita dai plessi scolastici”.

 

Inspiegabile il rigetto dell’istanza da parte della maggioranza e della restante minoranza. Vorrà dire che i Nonni Vigili si vedranno costretti a fare i supplementari.

 

 

di Pino Greco  Per il potenziamento del “ Porto Ecomuseo ” di Tricase

Tricase avrà a disposizione 631mila euro da spendere nei prossimi mesi per riqualificare tutto il proprio patrimonio portuale. Dall’Europa arriva un finanziamento per il potenziamento del “Porto Ecomuseo” di Tricase, riconosciuto dalla Regione nella scorsa estate. Attraverso il progetto Muse, finanziato nel suo complesso con 2 milioni e 800mila euro nell’ambito del programma di cooperazione transfrontaliera Grecia-Italia 2014-2020, Tricase come comune capofila avrà a disposizione 631mila euro da spendere nei prossimi mesi per riqualificare tutto il proprio patrimonio portuale. 

La somma andrà a valorizzare i siti di pregio ad alto valore artistico, culturale e naturale dell’area di Tricase, ma anche delle città greche di Corfù e Messolonghi favorendo lo sviluppo di «attività turistiche sostenibili ed esperienziali in grado di migliorare la competitività dei territori all’interno del mercato turistico internazionale, con l’obiettivo di creare un network di Porti Museo per la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell’area transfrontaliera Grecia-Italia», si legge nel progetto. 

I Porti museo, previsti dal progetto, saranno realizzati attraverso il recupero infrastrutturale e funzionale di alcuni manufatti presenti nelle tre aree, oltre che tramite alcune azioni di recupero e sistematizzazione del patrimonio immateriale (tradizioni, racconti, testimonianze, ricette, antichi mestieri e altro) legato al mare e alla costa. E in tutto questo, si aggiunge anche la diffusione e fruibilità dello stesso patrimonio immateriale garantita attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali come app e realtà aumentata.

A Tricase, spiega il sindaco Carlo Chiuri, si prevedono azioni di ammodernamento infrastrutturale della “Scuola borgo pescatori” al cui interno daranno ospitati laboratori di antichi mestieri del mare, di “Avamposto Mare” struttura destinata alla ricerca innovativa in questo settore e poi saranno potenziate le attrezzature e gli arredi. Al progetto partecipano anche l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari, il comune di Messolonghi, l’autorità portuale di Corfù e l’Erfc europeo. 

«Mi sento orgoglioso e soddisfatto per la città per questo importantissimo progetto - dice il sindaco Chiuri. Sarà una soddisfazione per le professionalità del territorio e una occasione di sviluppo sotto il profilo turistico e di tutto ciò che è legato al mare. Questo progetto rientra all’interno di un percorso finalizzato alla destagionalizzazione e alla fruibilità di Tricase e Tricase porto tutto l’anno». 

di Giuseppe R.Panico Sono passati 100 anni dal  disastro politico-militare di Caporetto; il tristissimo evento  di una guerra mondiale con già  immani perdite  e disumani comportamenti;come le decimazioni dei fanti o sparare contro chi arretrava di fronte al nemico. Con Caporetto, si accusò anche di viltà i nostri soldati, colpevolizzando i circa trecentomila prigionieri  fatti dagli austriaci ed osteggiando loro (per non invogliare altri ad  arrendersi) ogni forma di aiuto.

Quasi una “Vendetta di Stato” che portò tanti  a morire; non più  rapidamente, dilaniati  da cannoni e mitraglie, ma lentamente, di fame e di stenti nei  campi di prigionia. La vita valeva ben poco , come anche per quei ragazzi “del 99” (appena diciottenni), schierati sulla Linea del Piave a fermare e poi vincere  un nemico  che, da aggredito, si era fatto aggressore ed invasore. Passarono pochi lustri e altre decine e decine  di migliaia di giovani e meno giovani tornarono a morire.

Non per difesa dell'Italia, ma per un'altra aggressiva guerra, che poi  divenne di nuovo mondiale. E dopo l'armistizio  (8 sett, 1943), abbandonati a sé stessi , nel peggiore ripetersi della irresponsabilità politico-militare. A  Caporetto andò perso, quasi metà del nostro esercito;  con l'armistizio, una nuova e ben più disastrosa “Caporetto”portò, a quella che fu chiamata  “La morte della Patria”. Una nazione allo sbando con  Forze Armate senza ordini e direttive, senza valori e motivazioni, senza  una nuova “Linea del Piave” per  far fronte alla mutata realtà. Prevalse la irresponsabilità, se non la “Viltà di Stato”, dei grandi capi in fuga da Roma, il caos nazionale,  il fango e la vergogna sulle pagine della nostra storia.

Gli ex alleati (Germania) si ritennero  traditi, invasero l’Italia, la solcarono  con le  proprie linee di resistenza contro i nuovi  occupanti che avanzavano da Sud: gli Anglo-Americani che, dopo aver bombardato le nostre città, avevano imposto all'Italia un'altra disfatta politica, militare e morale: la “resa senza condizioni”, così inusuale e infamante nella diplomazia di guerra. Circa 40.000 militari vennero uccisi dai tedeschi, altri seicentomila deportati  (quanto le  intere perdite della prima G.M.) e tanti “inceneriti” .

Se “la guerra non è altro che la continuazione della  politica con altri mezzi” , come diceva Clausewitz, nel suo (un tempo) celeberrimo libro “Della Guerra”, forse  non  basta solo ripudiarla, come fa la nostra Costituzione, se poi i cittadini non sanno prima ripudiare la  cattiva politica che la può causare, o che non la sa gestire o decentemente uscirne o che, in tempo di pace, pur  senza cannoni e mitraglie,  causa “Caporetti”  sociali ed economici.

Come la fuga dei nostri giovani all'estero, spesso i migliori, lasciati senza lavoro e  futuro, o in casa dei genitori come “anziani” e assistiti “bambocci”; come la crescente povertà  o come l'afflusso continuo di centinaia di migliaia  di stranieri che poi  assistiamo e supportiamo, o ancora quell'altissimo livello di corruzione, inefficienza ed  evasione  tollerato o favorito  da una politica sempre più debole e “mafiocratica”. Sono oltre settanta anni che l’Italia, pur presente per missioni di pace in altri paesi in guerra, è lontana dalla “Morte della Patria”. 

L'Unione Europea, la NATO, l'ONU etc hanno contribuito, attraverso una nuova cultura e diplomazia internazionale, a farci vivere in pace. La guerra poi non fa più parte di quel travaso di memorie, dai padri ai figli o dai nonni ai nipoti, di privazioni e sofferenze, viltà ed eroismi. La leva sospesa, le Forze Armate ridotte al lumicino e spesso osteggiate, da idealisti e sognatori di un mondo, purtroppo irreale. Non di rado anche nei  meri compiti di difesa nazionale e dell'ordine civile, senza il quale non vi può mai essere civiltà. 

“Si vis pacem para bellum” , se vuoi la pace preparati alla guerra (almeno contro  le aggressioni o per  accordi fra nazioni)  dicevano i Latini  e lo dice ancora chi, da statista, ha un senso dello Stato e della storia. Un senso non da politici trasformisti  che hanno reso l'Italia, più che una penisola geografica, una inaffidabile isola politica, di bassa levatura ed esposta ad ogni mareggiata.

Anche  ad una immigrazione non limitata all'asilo politico, e dunque da integrare,  ma di migranti economici o “di convenienza” lasciati poi all'altrui sfruttamento ed alla continuità delle loro sofferenze. Un “esercito” di stranieri che manteniamo ed assistiamo, affiancato poi  da un' altra “armata” di mezzo milione di stranieri “invisibili”  e  che, come tali, possono permettersi , quasi indisturbati, illegalità e criminalità.

Facile ambiente per i reduci ( o criminali di guerra) dell' ISIS, ormai sconfitto e che ricorda il Sud America per i criminali nazisti, dopo la 2° G.M. Altro che impegnarsi a rispettare le nostre regole e la nostra civile convivenza, come dice anche il Papa.“Aiutiamoli in casa loro” si dice spesso, quando “casa loro” è ormai quella che era prima casa nostra (nella sola Roma sono  ormai un centinaio gli edifici pubblici e privati occupati da “invisibili” o poco visibili).

Sembra vivere una nuova,  pur lenta, incruenta e celata “Caporetto” con l'urgenza per una “linea del Piave” per nulla sentita. Contro l'Italia per la sua facile e discussa accoglienza, la “linea del Piave”, la fanno ormai gli altri paesi  vicini. Muri e filo spinato, militari alle frontiere, controlli su treni e automezzi, successo di partiti anti-immigrati etc.

Dalla “Morte della patria” eravamo risorti; da quella che sembra l'isolata agonia di una nazione,  pare oggi difficile riprendersi. Forse  perché le vere “caporetto” sono quelle  formative dell'insieme  scuola - famiglia e dunque dei cittadini  e dei loro politici. Incapaci questi di approvare, se non in questi giorni e dopo 71 anni di provvisorietà, anche il simbolo (insieme alla bandiera) della nostra identità: l'inno nazionale (di Mameli). “Fatta l'Italia , facciamo gli Italiani”, diceva  Massimo d'Azeglio un secolo e mezzo fa. Chissà cosa direbbe oggi con immigrati etc.

Dalla “Morte della patria” eravamo risorti; da quella che sembra l'isolata agonia di una nazione,  pare oggi difficile riprendersi. Forse  perché le vere “caporetto” sono quelle  formative dell'insieme  scuola - famiglia e dunque dei cittadini  e dei loro politici. Incapaci questi di approvare, se non in questi giorni e dopo 71 anni di provvisorietà, anche il simbolo (insieme alla bandiera) della nostra identità: l'inno nazionale (di Mameli). “Fatta l'Italia , facciamo gli Italiani”, diceva  Massimo d'Azeglio un secolo e mezzo fa. Chissà cosa direbbe oggi con la parola patria ormai ovunque scomparsa.

di Nunzio Dell'Abate Esattamente un anno fa l’Amministrazione Comunale contraeva un mutuo di € 850.000 per rifare diverse strade del paese. L’iniziativa suscitò non poche perplessità.
Sia per aver fatto ricorso al mutuo, nonostante le ingenti entrate nelle casse comunali derivanti dalla T.A.S.I., dalle sanzioni amministrative per la violazione del codice della strada, dai proventi dei parcheggi custoditi, dalle concessioni edilizie e del suolo pubblico, che di norma dovrebbero essere destinate proprio alla manutenzione delle strade ed ai servizi connessi alla viabilità.
Ma soprattutto per la tempistica dell’intervento (pieno inverno) e per la qualità dei lavori di asfaltatura.
Difatti, a distanza di un anno, la situazione è impietosa.
Le stesse strade, specie dopo la pioggia intensa di questi giorni, presentano sconnessioni evidenti e pericolose.
Con il risultato che il precario stato del manto stradale, oltre a costituire disagio per gli utenti e cattiva immagine per la Città, è fonte di dispendiosi contenziosi per il bilancio comunale.
E’ fuor di dubbio che occorra prestare la massima attenzione, quando si spendono soldi pubblici.
Per questa ragione, con apposita interrogazione consiliare, abbiamo chiesto al Sindaco di far luce sulle responsabilità e
sui costi della cattiva esecuzione dell’opera che non devono ricadere, come sempre accade, sul Cittadino.
Sbagliamo a ritenere che a pagare sia piuttosto chi ha deciso tempistica e modalità dei lavori, o chi li ha eseguiti o chi li
doveva verificare ?

"Chiamami Maestro"

a Palazzo Comi in ricordo del Prof. Donato Valli

Sabato 2 Dicembre - Ore 17.30

Salone dell'Accademia Salentina - Palazzo Comi di Lucugnano

 

La Biblioteca Comi di Lucugnano, in collaborazione con la LUPSSU (Libera Università Popolare del Sud Salento Unito) e il Comitato Pro-Palazzo Comi "Casa della Cultura", organizza un pomeriggio di incontro e riflessione in ricordo dell'indimenticato Prof. Donato Valli.

Appuntamento Sabato 2 Dicembre p.v. presso il Salone dell'Accademia Salentina a Casa Comi per la condivisione di letture e testimonianze in ricordo dell'impegno del Prof. Donato Valli che si è sempre battuto per la crescita culturale e sociale del Salento e, in particolare, del Capo di Leuca.

Donato Valli, prima allievo e poi amico fraterno di Girolamo Comi, è stato uno dei frequentatori più assidui di Casa Comi e uno dei maggiori conoscitori dell'opera e della psicologia stessa del Poeta di Lucugnano.

Donato Valli è nato a Tricase il 24 Febbraio 1931. Allievo di Girolamo Comi, Valli è stato professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell'Università del Salento, della quale è stato preside e rettore, nonché uno dei fondatori assieme a Giuseppe Codacci Pisanelli. La sua attività scientifica e di ricerca è stata incentrata prevalentemente sulla letteratura italiana del XIX e XX secolo, sull'ermetismo e soprattutto sulla letteratura salentina. È stato direttore con Oreste Macrì della rivista L'Albero dal 1970 al 1986. Fu autore di svariate pubblicazioni. Studioso dei secoli XIX e XX, si è occupato in particolar modo di Manzoni, del purismo letterario ottocentesco, delle poetiche protonovecentesche e dell’ermetismo. È autore di numerose ricerche sulla letteratura salentina, della quale ha curato anche la prima ricostruzione storico-critica dall’Unità ai giorni nostri. Insieme con Oreste Macrì ha diretto la rivista "L'Albero" dal 1997 al 1986. Ha pubblicato i volumi: "Saggi sul Novecento poetico italiano" (1967); "Romagnosi e Manzoni tra realtà e storia" (1969); "La cultura letteraria nel Salento" (1971); "Anarchia e misticismo nella letteratura italiana del primo Novecento" (1973); "Girolamo Comi" (1977); "Storia degli gli ermetici" (1978); "Letteratura dialettale salentina dall’Otto al Novecento" (1995); "Dal frammento alla prosa d'arte" (2001); "Novecento letterario leccese" (2002); "Storia della poesia dialettale nel Salento" (2003).

Girolamo Comi è nato a Casamassella (Le) il 23 novembre 1890. Uomo di nobili origini (era Barone di Lucugnano, in provincia di Lecce), dopo aver compiuto studi irregolari in Svizzera dal 1908 al 1912, esordì a Losanna con la raccolta Il Lampadario (1912) e si trasferì a Parigi, dove venne a contatto coi principali esponenti della poesia simbolista del primo Novecento. Tornato in Italia per il richiamo alle armi nel 1915, fu presto riformato e dichiarato inabile alla guerra grazie all'intercessione del potente zio Antonio De Viti De Marco. Sposatosi nel 1918 con Erminia De Marco, dimorò dal 1920 al 1946 a Roma, dove entrò a far parte dei cenacoli poetici orfico-misteriosofici che esistevano negli anni venti nella Capitale, frequentando tra gli altri Julius Evola e, in seguito, Nicola Moscardelli ed Ernesto Buonaiuti. Dapprima frequentò il salotto romano della baronessa Emmelina De Renzis dove entrò in contatto con le idee steineriane, rimanendone influenzato, e dove conobbe Arturo Onofri stringendo con lui un sodalizio poetico. In seguito fece parte del sodalizio magico-esoterico noto come Gruppo di Ur, pubblicando sulla rivista del gruppo alcune parti della poesia Cantico del tempo e del seme (oggi in Krur 1929. Roma, Tilopa, 1981, pp. 274-276.). In seguito collaborò con lo stesso Evola scrivendo per la rivista La Torre e per Diorama Filosofico (inserto di Regime fascista, diretto da Roberto Farinacci)[1].
Dal 1920 aveva ripreso l'attività poetica, e al 1933 è databile la sua conversione al cattolicesimo. Successivamente, il poeta sviluppò un particolare concetto di "cattolicesimo aristocratico" e si avvicinò all'ortodossia fascista, alternando il prosieguo della scrittura poetica a prose di carattere politico-filosofico-morale (Aristocrazia del cattolicesimo, 1937). Nel 1946, separatosi dalla moglie, tornò stabilmente nella sua tenuta di Lucugnano, dove diede vita all'Accademia Salentina e alla rivista letteraria L'Albero, oltre al particolare esperimento economico dell'Oleificio Salentino, un tentativo di imprenditoria solidale che portò in breve tempo il poeta alla rovina finanziaria, nonostante la raccolta poetica Spirito d'Armonia (1954) gli avesse conferito un discreto successo di pubblico.
Oppresso da problemi economici, nel 1961 vendette il palazzo avito alla Provincia di Lecce per destinarlo a pubblica biblioteca, rimanendovi in qualità di custode e bibliotecario, e nel 1965 sposò la sua domestica Tina Lambrini, al suo servizio dal 1948 che col passare degli anni era divenuta anche un affettuoso sostegno morale. Morì confortato dall'affetto dei suoi paesani, che lo avevano spiritualmente e materialmente sostenuto durante gli ultimi poveri anni di vita. Morì nella sua casa di Lucugnano il 3 Aprile del 1968.

"Chiamami Maestro" ci riporta a un pomeriggio quasi intimo e delicato che si propone di radunare, in quella che fu la sala riunioni dell'Accademia Salentina, amici, allievi e cittadini in ricordo di una delle persone che più hanno dato lustro e prospettiva alla comunità salentina. Racconti, pensieri, immagini e ricordi.

La partecipazione è libera e Casa Comi è pronta ad accogliervi.

Appuntamento alle ore 17.30 di Sabato 2 Dicembre. Per informazioni chiamare in Biblioteca al numero 0833/784537 o inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

di Pino Greco Roberto Sodero, è nato a Tricase il 3 Aprile 1981.

Quella del centrocampista azzurro è una storia tutta da raccontare. Un campione della nostra Città, di cui siamo orgogliosi e fieri,c’è. Un centrocampista della Nazionale Italiana Calcio Amputati che ci regalerà emozioni azzurre, c’è. Si chiama Roberto Sodero. Anima e cuore Mondiale

Sin da piccolo cerca di dribblare un avversario molto più ostico di quelli che si trovano oggi sul rettangolo verde di calcio: la Sindrome di Klippel Trenaunay. L’avversario intacca la gamba destra di Roberto. La malattia con il passare degli anni diventa molto asfissiante, tanto da portare i medici all’amputazione dell’arto all’età di 22 anni. L’amputazione gli porta via una parte del corpo, ma non la forza di ripartire con maggiori stimoli. Il centrocampista della Nazionale italiana amputati, trova una vera e propria liberazione. Roberto diventa un concentrato di volontà dove niente è impossibile, un esempio per chi si vergogna della propria disabilità. Infatti, il futuro mediano azzurro completa gli studi universitari con una laurea in ingegneria informatica, trova subito lavoro e si sposa. Inizia anche la sua vita sportiva. Fatta per un breve periodo da nuoto e tennis, fino al calcio. La preferita di tutte le discipline. E ,di certo,quella che più lo ha reso più celebre.

Il tutto inizia a 31anni,racconta Roberto,quando guardando un servizio al TG sono venuto a conoscenza di un gruppo di ragazzi amputati, che rispondendo all’appello di Francesco Messori, stavano formando la Nazionale Calcio Amputati Italiana. Non ci ho pensato su due volte, li ho subito contattati ed ho iniziato con loro a praticare uno sport che avevo sempre amato, ma avevo solo potuto guardare da spettatore. Sono felicissimo di essermi unito a questo gruppo di ragazzi fantastici, con cui sto condividendo questo percorso.

Oggi Roberto ha 36 anni , è il mediano della Nazionale Italiana Calcio Amputati, uno nato senza un arto, lavorare sui polmoni con dei compiti precisi. L’unico centrocampista pugliese e salentino presente nella rosa che canterà l’inno di Mameli, uno dei venti che con le sue stampelle sarà sempre lì

lì nel mezzo del gioco con la maglia azzurra dove sfiderà i suoi pari grado nel Mondiale del 2018 in Messico. Uno dei tanti ragazzi che all’apparenza hanno qualcosa in meno, ma in realtà hanno molte cose in più: carattere, cuore, anima e grinta.

IL SALENTO ASPETTA LA NAZIONALE. E’ ormai fatta per la visita della Nazionale Calcio Amputati, che il prossimo week end farà visita sui campi di Lecce, per allenarsi a porte aperte e portare sui campi una testimonianza di sport ed entusiasmo, per la vita. L’evento è stato realizzato grazie all’impegno del comitato provinciale del CSI di Lecce e del suo presidente, nonché vice presidente CSI a livello nazionale, Marco Calogiuri. Primo appuntamento alle 9 di sabato, presso il Campo Oratorio “Don Pasquale” via M. Buonarroti di Lecce, dove è fissato il ritrovo per il primo allenamento del collegiale che servirà ai tecnici azzurri, i due emiliani Renzo Vergnani e Paolo Zarzana per testare il momento di forma dei ragazzi in vista dei prossimi appuntamenti ufficiali. Sabato pomeriggio, la Nazionale Amputati sarà in campo alle ore 14.30 presso lo stesso campo per allenarsi con ragazzi amputati che vogliono avvicinarsi a questo sport, per poi concludere una bellissima giornata con una partitella con ex glorie dell’US LECCE. Infine domenica 2 dicembre ore 9 sempre nello stesso campo ultimo allenamento in terra salentina. Ad incoraggiare le “stampelle azzurre” le parole del numero uno del CSI, Vittorio Bosio: “Questa squadra rappresenta un fiore all’occhiello per la nostra associazione, quanto ad inclusione, integrazione ed appartenenza. Ai ragazzi, ai tecnici e a tutti gli atleti con disabilità va il nostro aiuto e sostegno, augurandoci sempre nuovi innesti in rosa”.
Un’emozione particolare sarà per il giocatore salentino Roberto Sodero, che ospita nella sua bellissima città i propri compagni di squadra: “Portare i miei compagni in Salento è per me una grande emozione e motivo di orgoglio. Il nostro obiettivo è quello di far crescere il movimento del calcio per amputati, coinvolgendo nuovi atleti soprattutto a sud di Roma, dove ci sono pochissimi ragazzi che praticano questo sport. Speriamo in una grande risposta della Città di Lecce”.

 

 

TRICASE, STADIO COMUNALE SAN VITO

E PALAZZETTO DELLO SPORT :

MANCANO I PARCHEGGI RISERVATI AI PORTATORI DI HANDICAP

 

Un disabile tricasino che ama lo sport e spera di trovare parcheggio

Caro direttore, grazie per il vostro impegno ventennale a tutta la Città di Tricase e ai tricasini.

Tante grazie per lo spazio e l’attenzione che ci riservate a noi disabili.

Questi quattro righi sono indirizzati a chi amministra la Città di Tricase.

Non voglio prolungarmi nelle solite nostre tristi storie, voglio solo segnalare per quelli come me che amano lo sport, l’assenza dei parcheggi riservati ai portatori di handicap, nello spazio dove sostano le auto, nelle vicinanze dello stadio San Vito e del palazzetto dello sport di Tricase.

Pensando di fare cosa gradita. Ringrazio tutti anticipatamente.

Allego una foto dell’area riservata ad un parcheggio delle auto del palazzetto dello sport di Tricase, dove si documenta l’assenza di spazio riservato ai portatori di handicap

 

 

di Carlo A. Cerfeda

Ospedale “Cardinale Panico”: “VISIONE E SPERANZA”

Concrete solo con i fatti, gli atti ed i comportamenti

Preg/mo Direttore, chiedo gentilmente ospitalità, per la pubblicazione di questo intervento (il terzo sul periodico,avendo oramai deciso, da diversi anni, di “appendere la penna al chiodo”!...), per la quale ti sono grato.

Sono stato spinto dai contenuti dell’ultimo premiato lavoro, storico e letterario, del dottor Rodolfo Fracasso “LA VISIONE E LA SPERANZA – IL CARDINALE GIOVANNI PANICO E L’ATTUALITA’ DELLE MAGNICHE OPERE DELLE SUORE MARCELLINE A TRICASE”(cfr. “Il Volantino”,n.38,11 novembre 2017, pag.4). Al dottor Rodolfo Fracasso, con l’occasione, i miei, certamente modesti, auguri di ulteriori successi e non solo in questo settore! E ritornando al tema: una precisazione, se mi è permessa.

Per arrivare ad una “VISIONE” e a una “SPERANZA” concrete e realizzabili bisogna dare ad esse “mani e piedi” come hanno fatto le Rev.de Suore Marcelline per il reparto di chirurgia generale, perchè “Le idee hanno mani e piedi”(Karl Marx) solo se diventano atti e fatti reali: altrimenti non sono neanche idee!

Parlo per esperienza personale e diretta dell’intero 2^ piano e del collegamento, essenziale tra altre specializzazioni in caso di necessità, dove si tocca con mano una eccellenza sotto ogni aspetto (che dovrebbe essere la “normalità” di una struttura efficiente):nessuno escluso! Potrei parlare anche di altri reparti per diretta esperienza personale ma, per il momento, non voglio dilungarmi!...

Ma il massimo della efficienza sta nella dinamicità in ogni senso del giovanissimo primario e della sua equipe (se ancora è possibile usare la lingua ITALIANA: GRUPPO).    42 anni e non li dimostra neanche: beato Lui! Sposato con quattro bellissimi “marmocchi” e, certamente, pur non conoscendola, con una donna eccezionale visto il gravame familiare ( a mò di battuta, ci si è posto il problema dell’invecchiamento dellapopolazione italiana? Meritorio interrogativo!)Efficientissimo e disponibilissimo anche nei momenti apparentemente inattivi del blocco operatorio: giorni festivi compresi!.... Niente di più sideralmente lontano dal comportamento, non del tutto scomparso anche all’interno della stessa struttura, del classico Direttore Primario (professore ma quasi sempre sedicente tale): dalla testa eretta, il torace impettito (tipo il nostro “Buonanima” del ventennio!...), le mani incrociate sul deretano e lo sguardo rivolto verso un ipotetico orizzonte: invisibile ai “poveri” pazienti e familiari in attesa di una risposta consolante o diversa! Sembrano gli sciamani della nostra età della scienza e della tecnica!

“Carneade! Chi è costui?”: potrebbe chiedersi l’eventuale moderno “don Abbondio” di Manzoniana memoria!

E’ il dottor Massimo Viola e tutto il suo reparto, nessun operatore escluso: sapientemente coordinato ed organizzato da suor Filomena (inossidabile ed anche lei instancabile: anche se un po’… “rumorosa” ma solo se necessario e per quanto basta!)

Per chi ha mantenuto l’abitudine ad osservare , per lavoro e per circa quarant’anni, visi, sguardi ed espressioni, Il dottor Viola, oltre alle più aggiornate competenze del settore, alla incomprensibile resistenza fisica sua e dell’intera equipe, dimostra la capacità di usare anche i suoi occhi per interrogare, ricevere e rispondere a domande! Una persona certamente, diciamo, particolare sotto ogni aspetto nel settore medico-chirurgico. Una specie di “Mario Capanna” uscito da un corteo del “sessantotto” per dimostrare con i fatti che, in concreto, si possono cercare quanti hanno “mani e piedi”, ma soprattutto voglia, per innovare anche e non solo nella chirurgia e nella sanità.

Il nostro ospedale – dicevo al direttore sanitario, dottor Pierangelo Errico- rispetto ad altri ospedali, policlinici, strutture di “Eccellenza” risulta essere, in quasi tutti i reparti, un albergo a 5 stelle in ogni senso: non italiano ma degli Emirati Arabi, come Dubay! E di altri ospedali, anche all’estero, ne ho conosciuti purtroppo! E non hanno proprio nulla da insegnare al nostro, ma molto da apprendere: al di là della pubblicità nazionale attraverso cui promettono il “fumo” di eccellenti Professori televisivi, ma pochissimo “arrosto” nella sostanza: soprattutto e prima di tutto a livello di rapporti e di disponibilità umane! Certamente, soprattutto per i molti “Soloni” tricasini, abituati a trinciar giudizi senza sperimentazione diretta ma solo per “sentito dire”, farà “più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”!...

In conclusione, “VISIONE E SPERANZA” tendono a diventare concrete realtà solo, se e per quanti sono convinti di VOLERE ESSERE I MAGGIORI ATTORI DI OGNI SETTORE! Senza escludere che l’errore umano è sempre dietro l’angolo, senza farsi prendere dall’idea di essere onniscienti nel proprio campo ma profondamente convinti, in coscienza e professionalità, che l’essere negligenti e scarsamente capaci produce danni agli altri: danni a volte, purtroppo, non più recuperabili!...

Senza persone che, al di là del “CAMICE BIANCO”, credono in ciò per cui operano, la “VISIONE” rimane inutile “utopia” e, di conseguenza, la “SPERANZA” diventa vana, pericolosa, deprimente e lesiva in ogni senso ed a volte in maniera irreparabile! Purtroppo!!...

 A rileggerci forse in futuro.                                            

Il sud del sud

di Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione don Tonino Bello

Era un’ espressione che spesso mi ripeteva in macchina , quando ci si spostava da un paesino all’altro: il sud del sud.

Non coglievo però nessuna tristezza nei suoi occhi: e mentre io, ancora adolescente,  sognavo un riscatto della nostra terra  attraverso  nuovi modelli di sviluppo sulla scia delle ricche regioni del nord,  lui rimaneva disincantato dinanzi a tale prospettiva e il suo sguardo era  ancorato  alla sua terra, ai suoi colori, alla sua nudità, alla sua povertà.  

Don Tonino aveva già intuito che quella povertà, quella essenzialità era per tutti noi un privilegio e che forse, ben presto  anche il suo Salento sarebbe diventato ostaggio di quella “ ricchezza vampira “ che giorno dopo giorno  sottrae dignità e identità.

In questo sud, periferia della storia e della geografia, ad Alessano, all’epoca uno dei paesi più importanti del Capo di Leuca,  il 18 marzo del 1935 nasce Tonino Bello, da  Maria Imperato  e da Bello Tommaso. Il padre, maresciallo dei carabinieri, rimasto vedovo, si era risposato e con sé aveva portato Vittorio e Giacinto Carmine, i due figli che aveva avuto con la sua prima moglie, affidandoli alle premure e all’affetto della  sua nuova sposa che presto darà alla luce altre due creature, Trifone e Marcello. 

Il 29 gennaio del 1942 muore per morte improvvisa Tommaso. La madre, rimasta  vedova,  presto conoscerà la tristezza di altri due lutti: il secondo conflitto mondiale coinvolgerà nella sua tragedia anche questa povera famiglia. Il 9 settembre del 1943 Vittorio perde la vita nell’affondamento della corazzata Roma. E il  3 ottobre 1944 Carmine  Giacinto, radiotelegrafista sui Mas, muore improvvisamente come il padre, probabilmente a causa di un infarto cardiaco. 

In poco più di due anni il destino e la follia della guerra  si abbattono su questa famiglia portando il freddo della solitudine e della incertezza del domani. Il piccolo Tonino non aveva compiuto ancora dieci anni e già era il  fratello maggiore.  Da adulto ricorderà: “ Mio padre non lo ricordo. So che piangevo in segreto quando vedevo i miei compagni  delle elementari accompagnati a scuola dai loro papà “.

 Ma già da bambino, a causa della scomparsa dei due fratelli maggiori, il tarlo della follia della guerra  entrerà nelle sue ossa e lo accompagnerà sino alla fine dei suoi giorni: da vescovo conosce Ciccillo, un pescatore molfettese, anche lui era a bordo della corazzata Roma al momento del naufragio . Ciccillo riesce a salvarsi.  Don Tonino più volte si fermerà  con lui a rivivere il dolore di quei tragici momenti, quasi a voler donare al fratello una sua vicinanza e ad offrire a lui una promessa, la promessa di essere per sempre un uomo di pace.

 Un tributo che sente di dover vivere  anche per la sua gente  alla quale dedicherà parole bellissime:  “ Una gente – quella degli anni della sua infanzia – povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino , ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore.  Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito “.

(continua )

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