Nei luoghi dell’incuria e dell’abbandono di Michele Sodero

Con alle spalle il triste ricordo di “Punta Cannone”, si fa ritorno in città. Ci si arriva dopo aver superato quel brutto spettacolo di sterpi, di erbacce, di ferri sgangherati e vetri rotti (ciò che rimane di antiche serre) che occupa l’area a destra, ai piedi della salitella. Nell’antico borgo di Tutino, in uno scenario che richiama visioni di incuria e di abbandono, fa “bella mostra di sé”, il “Castello dei Trane”. Cadente e tutto immerso nel suo tempo domina, con la sua monumentale imponenza, l’omonima piazza.Vistosamente piagato nella sua struttura, interessato da una vegetazione spontanea che dal sottostante fossato si inerpica e si insedia copiosa nei suoi interstizi,invoca pietà e misericordia a chiunque voglia sottrarlo al suo lento ed ineluttabile declino. Con la testarda resistenza di chi vuole recitare sino in fondo il ruolo che la storia gli ha assegnato, sembra ribellarsi con tutte le sue forze a questa nostra società consumistica che apprezza e trattiene solo ciò che produce utili immediati destinati a far quadrare asfittici bilanci. Incita e incoraggia recuperare e ad investire in cultura con la certezza di poter contare sui tanto attesi ritorni economici e di produrre ricchezza di qualità superiore,soprattutto in termini di crescita umana. E dichiarandosi pronto a servire anche questa causa, esorta ad accoglierlo e a puntare su di lui. Cerca di far capire che rinunciare ad averlo è come voler rinunciare ad una parte di storia,dimenticando le proprie origini.Il suo è un accorato invito a non cancellare ciò che si è ricevuto in eredità, ma a considerarlo come bene prezioso da tutelare e da valorizzare, anche in segno di doverosa riconoscenza alla fatica e all’ingegno di chi ci ha preceduto.Testimone di oltre sei secoli di storia,mantiene, ancora ben visibili, le connotazioni del suo nascere, del suo trasformarsi, del suo adattarsi alle esigenze dei signori che lo hanno posseduto. Ed è per questo che, anche se così indecorosamente danneggiato e abbandonato, conserva un fascino tutto suo che coinvolge chiunque voglia immergersi nel racconto della sua lunga e travagliata esistenza. Le mura alte e spesse racchiudono e raccontano il cammino di una collettività, il suo crescere e il suo progredire. La sua storia di fasti e blasoni incrocia i destini di persone semplici e laboriose che, pur da una diversa condizione, lo hanno sentito parte di sé. Basterebbero queste poche considerazioni per riconoscere a questo gigante buono e silente una sua importante presenza nel lungo e travagliato sviluppo di questo lembo di territorio, spesso dimenticato e abbandonato a se stesso;dovrebbero, altresì, essere sufficienti a stimolare qualunque azione che possa portare ad un suo recupero. Ma forse così non è, se è vero, come è vero, che le varie e accorate grida che si sono levate negli anni in suo favore non hanno trovato il giusto accoglimento e la sua salute è andata sempre più peggiorando. È increscioso annotare tutto questo. Così come increscioso e angosciante diventa andare a ricercare cause e colpe, forse semplicemente ascrivibili ad un diverso modo di porsi, ad una diversa sensibilità. Ma pur nella diversità di pensiero e nel diverso approccio ritengo che qualcosa per questo nostro prezioso monumento bisogna farla. Perché salvarlo significa dare un nuovo corso alla sua storia, una diversa connotazione al progresso e al vivere civile di una collettività. Fare di lui un grande contenitore culturale accessibile a tutti sarebbe dare una sterzata al suo passato, strapparlo a quel feudalesimo fatto di esclusioni, ridargli una diversa regalità. Donerebbe anche un senso diverso del camminare insieme e del condividere che è ciò di cui ha più bisogno questa nostra tormentata società. E allora ciascuno di noi faccia sino in fondo il suo dovere e con grande senso di responsabilità concorra a stilare un programma di protezione teso a salvare quello che sentiamo il nostro castello (pur essendo privato), prima che diventi una enorme clessidra che attende il cadere dell’ultimo suo sasso per sancire la fine di un tempo nel quale non abbiamo voluto riconoscerci. Sarebbe l’ennesimo delitto impunemente perpetrato ai danni dell’umanità.

di Giuseppe R.Panico Se il centro storico muore (gli affittasi o vendesi di locali commerciali sono ormai tanti) e le periferie languono (la piazza della nuova chiesa di S.Antonio attende da decenni una pavimentazione),il semicentro non brilla certo di buona salute. Via Pirandello è ormai una delle strade più trafficate del paese. La recente attivazione di un nuovo complesso abitativo, con sottostanti negozi, ha portato altro traffico e la stagione estiva farà aumentare anche quello turistico che da/per Marina Serra e/o il mare interesserà, più che il centro storico, lo“shopping”e i supermercati di zona Lama e dintorni.Ci vorrebbe un semaforo all’incrocio con via Thaon di Revel, ma anche più senso civico e…salate multe per chi ivi malamente parcheggia. Non basta più la vicina “Croce” a proteggerci dagli incidenti. Qualche camion di breccione per raccordare tale strada all’ampio prato che la costeggia, consentirebbe poi di utilizzare meglio tale spazio quale pubblico parcheggio e senza danni alle nostre auto. Sul lato opposto, ormai urbanizzato, desta però perplessità lo “status” del marciapiede. Via Pirandello sembrava essere la naturale prosecuzione di via Cattaneo,nata prima e cresciuta meglio grazie alla sua larghezza ed agli ampi marciapiedi. Così sembrava, almeno nel primo tratto, ove il largo marciapiede favorisce i clienti della farmacia o del negozio di scarpe. Ma poi arrivò lo scheletro di un nuovo grande edificio che, ormai da troppi anni, ci fa dono della sua sgradevole presenza. Uno scheletro che, per essere ancora più grande, ci ha lasciato non solo un marciapiede più ristretto (ancora sporco e inutilizzabile), ma, a circa un metro da terra, anche una pensilina che occupa gran parte dello stesso marciapiede. Sarà tutto regolare, ma non è certo regolare che la nostra comunità, debba rinunciare anche nei nuovi quartieri (come già successo altrove) all’elementare diritto a muoversi meglio a piede in sicurezza. Il marciapiede, comunque ristretto, prosegue poi fino al nuovo grande edificio con sottostanti nuovi negozi dotati di ampie vetrine.Ma le vetrine, nate per farsi vedere,sono quasi sempre oscurate dalle macchine in sosta proprio sul marciapiede. Senza dubbio un efficace accorgimento per fare pochi affari o, come in via Roma e via Cadorna, per privilegiare ancor di più le auto e non i pedoni. I poveri pedoni per transitare su quel tratto di marciapiede, così inclinato per far salire auto, devono avere le caviglie ben snodate e fare bene attenzione alla “marcia indietro” delle auto ivi in sosta che,con il loro posteriore e relativa marmitta, ingombrano lo stesso scivolo-marciapiede. Chissà cosa diranno i tanti nostri anziani con già vetuste articolazioni, i disabili in carrozzella e le mamme con i bimbi in carrozzina .Ai disabili già “maltrattati” nei loro movimenti, sia in paese che sulla costa, come le cronache informano, forse mancava questa “modernità” che, dotata comunque di scivoli, ha un passaggio alternativo. Ma ben ristretto, fra musi di macchine e antistanti vetrine.Il marciapiede prosegue poi per interrompersi all’incrocio e senza contornare l’ampia curva della rivendita d’auto e raccordarsi con quello di via Apulia. Un pericolo aggiuntivo ed una “lezione” di…urbanistica a cielo aperto ai tanti nostri ragazzi che si recano alle vicine scuole. Superato l’incrocio, si imbocca un nuovo tratto di strada, ben larga e con ampi marciapiedi ambo i lati. Purtroppo non ha né un nome, né un cognome, né numeri civici sulle poche case che ivi si affacciano. Fiancheggia un canneto e un canale di scolo. Sarà “via NN” o “via delle canne”? Il marciapiede a Sn ha inoltre tante buche per alberi ma… senza alberi (se il verde non arriva o se arriva non si cura,tanto vale chiuderle).Si parla tanto di turismo ma se è questa l’immagine e la funzionalità di un percorso urbano che dal mare porta sempre più verso lo shopping in zona Lama e viceversa, di“stelle”, più che avene quattro o… cinque, rischiamo di perdere anche quell’unica che compare sullo stemma cittadino. Intanto i marciapiedi di via Roma e via Cadorna, dopo pochi anni di vita, sono già in gran parte fessurati. Se ciò avvenisse in casa propria, dopo aver da poco cambiato il pavimento, verrebbe forse voglia di… “fessurare” i colpevoli. Riuscirà il nuovo codice sui pubblici appaltia salvaguardare le nostre tasche e far progredire la mobilità cittadina?O sarà il PUG, da decenni in itinere, a raddrizzare quanto è ormai così poco raddrizzabile? Nel nostro Sud, ben più che altrove,pare non basti cambiare le regole e,come dicev aun politico meridionale di lungo corso, “i problemi vanno essenzialmente …gestiti”. Mica risolti o prevenuti. Compresi quelli dei marciapiedi spesso mai nati o malnati per la voglia di chi può e non difesi da chi dovrebbe, compresi noi stessi.“Riprendiamoci il RIO” tuonava inutilmente l’estate scorsa uno striscione sulla costa. Per la nuova estate, non resta che sperare che ravvedimenti privati e pubbliche virtù ci evitino un ben più misero “Riprendiamoci il marciapiede”.

 

I TEMI E I PROTAGONISTI DELLA SERATA  La stampa come strumento di informazione e di partecipazione. I giornali nell’era di internet e dei social media. Ma anche i temi dello sviluppo possibile del Salento, della sua valorizzazione nella salvaguardia della sua bellezza, e poi ancora la questione della partecipazione alla vita democratica con la crisi dei luoghi tradizionali di aggregazione e l’indispensabile esigenza di nuovi luoghi del confronto. La storia con le sue tradizioni del Sud in un Mediterraneo teatro di commerci e di drammi. La formazione dei giovani ed il loro futuro. Le battaglie per i servizi e le infrastrutture.Questi ed altri ancora saranno i temi che verranno affrontati Sabato in occasione della consegna del Premio a Claudio Scamardella. Abbiamo voluto che, ad intervistare il Premiato, fossero, insieme al Direttore del Volantino Alessandro Distante, anche alcune persone che, più volte, hanno offerto, tramite il Quotidiano di Lecce, spunti di riflessione e di dibattito. Per questo abbiamo invitato Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, capace di incarnare il suo insegnamento in una terra che ha dimostrato di conoscere e di amare; il giudice Vittorio Raeli, che, svolgendo le sue funzioni presso la Corte dei Conti di Bari, ha ben presente la realtà pugliese e soprattutto quella della Pubblica Amministrazione; Edoardo Winspeare che da sempre si è mosso nel Salento e per il Salento, facendo della sua attività di regista un mezzo per far conoscere le realtà, anche marginali, del nostro territorio elevando a dignità personaggi, storie e tradizioni per molti decenni rinnegate.

 

 

Premio Il Volantino 2015 a Claudio Scamardella perché, quale direttore del Nuovo Quotidiano di Puglia, ha saputo rendere il giornale da lui guidato un prezioso strumento non solo di informazione ma anche di stimolo e di promozione del territorio, assumendo efficaci iniziative e così educando alla partecipazione attiva dei lettori-cittadini, facendo divenire il Quotidiano di Puglia un vero giornale-comunità. Parteciperanno mons. Vito Angiuli, dott. Vittorio Raeli, Edoardo Winspeare

Prima edizione 2008

Nella foto il direttore de il Volantino avv. Alessandro Distante, il prof. Donato Valli e il premiato Antonio Caprarica

 

 

 

 

  

L’ALBO DEI PREMIATI

Antonio Caprarica - Piero Sansonetti - Serena Dandini - Lino Patruno - Sergio Staino - Francesco Giorgino

SERENA DANDINI

LINO PATRUNO

SERGIO STAINO

FRANCESCO GIORGINO

in Distribuzione