di Caterina Scarascia Non ti incontrerò più ai crocicchi delle antiche vie, figura silenziosa e pensierosa, ma sempre pronta ad un breve saluto o ad un timido cenno del capo. Sei stato il “mio” Professore degli anni universitari, pur avendo affrontato insieme a Te un solo esame, quasi di striscio, come ero solita ripetermi, io che seguivo le strade della filosofia e Tu immerso nei tuoi studi letterari.
Ma l’innamoramento intellettuale è stato per me forte e risaliva agli esami di maturità, quando Ti conobbi per la prima volta, nel lontano 1976, io liceale, preoccupata di avere come presidente di commissione un Uomo di un tale spessore culturale e Tu Professore semplice ed umile, buono, capace di farci capire che la cultura passa sempre dal cuore e lì, in fondo, si sedimenta.Papà mi aveva sempre raccontato di questo Donato Valli geniale, capace di eccellere in tutto, disponibile ad ogni sacrificio pur di studiare, anche quello di leggere i suoi libri, in assenza di altro, alla luce della lanterna del vecchio cimitero.
Leggenda? Fantasia? Non lo so. Di certo fui sempre affascinata da quella immagine e quando Ti incontrai, quando Ti sentii parlare, appassionato e veemente, mi convinsi che avresti potuto leggere e studiare dappertutto, perché perdevi il senso della realtà, tanto era forte la dimensione intellettuale in cui ti immergevi e attraverso la quale inseguivi le Tue utopie. Al corso universitario sul Frammentismo, in quegli anni ’80 in cui sentivamo ancora addosso la grigia cappa del terrorismo, riuscisti ad aprire nuovi scenari nella mia mente e la tentazione di iscrivermi a Lettere, conclusa la laurea in Filosofia, fu fortissima.Ma mi resi conto, con il tempo, che in realtà volevo solo continuare a studiare e a discutere con Te, che sentivo così vicino ai miei ideali e ai miei sogni di veder realizzato un mondo diverso.
Anche quando stavamo lunghi periodi senza incontrarci, senza avere la pur minima occasione di scambiare qualche riflessione, bastava un breve incontro lungo via Tempio o in Piazza Pisanelli per ritrovare la consueta sintonia e finire per parlare, inevitabilmente, della nostra Tricase, quello che tu definivi “il Paese dell’anima”
La Tua candidatura a Sindaco nel 1993 fu per me un segno di grande speranza, pur nella consapevolezza che nello schieramento che avevi scelto c’erano ben poche possibilità di farcela.Ma non potevi e, soprattutto, non volevi fare diversamente. Oggi lo comprendo ancor più di allora.Perse le elezioni, la mia lettera piena di amarezza Ti raggiunse pochi giorni dopo e la Tua risposta, nel giorno dell’Assunta del 1993, è stata sempre una lezione a cui attingere nei momenti dolorosi della mia vita professionale e sociale, ma anche personale.
“Scusa se ti scrivo solo oggi, dopo quasi due mesi che ho ricevuto la tua lettera. Tanti ne sono occorsi per farmi una ragione di quanto è accaduto…Ci ho messo in mezzo un tuffo disperato negli antichi studi…..Ora sono come purificato, ma anche molto disorientato….Vorrei tanto dirti che sono pronto per nuove lotte, nuovi impegni. Non posso. Vado ricostruendo quel paese ideale, o meglio quel paese dell’anima, che, evidentemente, ha scarsa attinenza con quello reale. Finchè non ne avrò delineato i contorni, è difficile che io trovi la forza per disegnarlo e comunicarlo agli altri….Io pensavo ad un paese che, anche nella prassi, si preparasse all’Avvento: il paese dei progetti comunitari, dei piccoli/grandi produttori di cultura (contadina, artigiana, tecnica), la grande oasi della pace della convivenza, della solidarietà, là dove sarebbe stato possibile che tutti lavorassero per questo progetto….A me sarebbe bastato creare il clima, l’atmosfera per cui poteva coniugarsi l’utopia con la realtà. E invece mi sono accorto che bisognava partire dalla realtà per coltivare l’utopia. Oggi spero che coloro che sono andati al mio posto trovino la forza per superare la realtà, per non lasciarsi sconfiggere dalla sua mediocrità o dalla sua cronaca. E intanto io lavoro per la nuova speranza. Tanto meglio se a lavorare saremo in più d’uno: io e te, per ora; e poi i tuoi amici e i miei. So per certo che questo paziente lavoro sconosciuto, non propagandato, darà i suoi frutti. Ti abbraccio, intanto, con paterna e fraterna tenerezza.”
Ma il Tuo amato Paese dell’anima è ancora fortemente aggrovigliato nella cruda realtà e ha forse del tutto perduto i pochi spiragli di utopia. Oggi Ti abbraccio anch’io, mio caro Professore, con la pesante commozione che mi intorpidisce lo spirito, ma con la tua frase profetica stretta al cuore:
“E intanto io lavoro per la nuova speranza”