Non è bello il clima a Tricase. Uno scontro senza esclusione di colpi che vede contrapposte maggioranza ed opposizione e non in un normale e democratico confronto politico-amministrativo ma, sempre di più, istituzionale-giudiziario; una situazione nella quale cresce, di pari passo, un disagio negli Uffici che vedono aggiungersi alle ordinarie carenze di personale, anche momentanee e pesanti assenze. Ma quel che più preoccupa è il clima di reciproca delegittimazione. L’ultimo episodio è stato originato proprio dalle colonne di questo Giornale ed impone, a partire da chi dirige questo foglio, una attenta riflessione sulle possibili pericolose derive di un tale clima che, certo non volutamente, si contribuisce ad alimentare. La crescita di una Città non può non passare innanzitutto dal rispetto delle regole che la Comunità si è data. Le regole vengono proposte ed accettate e fino a quando non cambiano, attraverso processi democratici, devono essere rispettate e, se violate, comportano l’applicazione di una sanzione: è questa la “norma perfetta”. A scuola si insegnano percorsi di Educazione alla legalità ed il compito educativo, come ben sanno anche i genitori, comporta un prezzo che, per natura, non è mai accettato di buon grado. Eppure il dovere di educare è un compito al quale i cittadini sono chiamati, per migliorare la comune convivenza e quindi consentire ai più deboli di non essere vittima dei potenti di turno. Certo, verrà un giorno -per dirla con Renato Dell’Andro indimenticato allievo di Aldo Moro- nel quale non avremo più bisogno di leggi perché il nostro modo di essere e di vivere sarà pienamente conforme alla legge che sarà impressa dentro di noi. Un tale giorno, per chi crede, si realizzerà appieno nel Regno di Dio e, per chi non crede, nella Città ideale. Sarebbe molto grave ed antieducativo se, invece di richiamarci alle regole ed accettare, certo a malincuore, le sanzioni, ci scagliassimo contro chi quelle sanzioni commina. Si ripeterebbe quel triste e vergognoso spettacolo al quale assistiamo ogni domenica sui campi di calcio: il calciatore che inveisce contro l’arbitro reo di aver fischiato una punizione o un fuori gioco. Per carità, la moviola poi ci dirà che l’arbitro ha sbagliato ma intanto in campo rappresenta l’autorità, con un ruolo che deve essere esercitato certo con responsabilità ma che deve essere riconosciuto e rispettato. Molti anni fa uscendo dall’allora sede della Pretura, sita sul retro di Palazzo Gallone, segnalai al vicino (all’epoca) Comando della Polizia Municipale che un camioncino aveva parcheggiato davanti alla mia auto impedendomi di uscire. Il Vigile di turno mi rispose che il suo intervento sarebbe stato inutile perché il camioncino sarebbe rimasto lì. Ed allora, secondo quel Vigile (oggi non più in servizio), era inutile elevare la contravvenzione; per dirla in altro modo: la norma c’era ma perché sanzionare le sua violazione se non risolveva il problema del singolo? Meglio far finta di niente: nell’interesse di tutti ma non certamente della collettività! Crescere nella legalità ed educare al rispetto delle regole impone, ad alcuni, compiti poco piacevoli ma imprescindibili per assicurare una migliore convivenza. Sarebbe molto pericoloso gridare all’arbitro e non al fallo commesso e sarebbe ancora più pericoloso se a dare questa sensazione finissero per apparire, loro malgrado, quanti, per volere del popolo, rivestono una carica nelle Istituzioni. Ed allora: la contravvenzione elevata a chi parcheggia di fronte alla Chiesa in zona vietata oppure la segnalazione di una adunanza non autorizzata diventano atti dovuti da parte di chi è chiamato ad applicare la norma, salvo poi dimostrare in sede giudiziaria la infondatezza della contestazione. Educare alla legalità, quindi, accettando e rispettando i ruoli, anche quello, poco piacevole, di far rispettare le regole, non dimenticando che quelle regole le abbiamo stabilite noi cittadini.
foto di Daniele Met