di Alfredo Sanapo
Da qualche settimana, in qualsiasi emittente televisiva del circuito nazionale è possibile imbattersi nel nuovo spot di Poste Italiane (già Poste e Telegrafi, già Poste e Telecomunicazioni). In una visione in ordine temporale dei tanti elementi dei vari fili conduttori del settore delle comunicazioni in Italia, esso ripercorre la storia dell'ente come evoluzione della nazione.
A caso, prima in bianco e nero e poi a colori, vengono passate in rassegna le immagini: un telegrafo, le prime diligenze per le consegne della corrispondenza, l’araldica postale e quella filatelica; il libretto di risparmio; la banconota da 1 lira con la spiga, l’alloro e il fascio littorio a certificare la zecca e il poligrafico dello stato; il berretto grigio del ‘portalettere’ con il fregio di latta delle poste e telegrafi; i biglietti d’auguri, le ‘cartoline postali’ e la calligrafia sulle buste; le buche delle lettere; i buoni fruttiferi e il vaglia postale; il treno postale; i francobolli delle Olimpiadi del 1960 a Roma e del Mundial del 1982; le tessere postali in filigrana, i banco posta e le carte di credito.
Peccato che questa visione idilliaca e onirica, descritta dallo spot, non si concretizzi nella realtà di tutti gli uffici postali d'Italia.
Ad es., le Poste Centrali di Tricase, a causa di una rapina parzialmente riuscita con uso di esplosivo, sono inagibili da oltre 6 mesi. Da allora, il servizio postale è erogato da una struttura prefabbricata. Le conseguenze immediate ne inficiano l'efficienza a seguito della riduzione da 5 a 3 degli sportelli attivi e l'organizzazione dei turni dell'utenza presente per la mancanza del dispenser di ticket che costringe ad aleatorie priorità di attesa.
Ma il vero danno è a carico di una fascia socialmente fragile della comunità. Bisogna, infatti, tener presente che la stragrande maggioranza degli utenti recantisi presso l'ufficio postale sono persone anziane, spesso con difficoltà a deambulare o a mantenere per molto tempo la stazione eretta. In tal senso, l'esiguità degli spazi limita i posti a sedere costringendo gli astanti ad attendere il loro turno all'esterno.
CIò potrà essere terapeutico finché la clemenza del tempo permetterà la socializzazione. Ma l'inverno con le sue piogge e il suo freddo incombe e l'attesa nuocerà alla loro salute.
Orbene, sappiamo che sia la struttura permanente che quella (si spera ancora per poco) provvisoria sono di proprietà di Poste. Né conosciamo se le sue politiche giochino o meno sulla fatalità occorsa per utilizzarla come dissuasore al fine abbandonare il "classico" servizio postale e indirizzarlo totalmente verso i servizi di banca, fornitura energetica e telefonia mobile.
A prescindere da ciò, poiché la maggior parte delle persone che si avvale dei vari sportelli è di Tricase, il Comune avrebbe dovuto provvedere ad agevolare gli utenti adottando soluzioni diverse dal container lodevolmente messi a disposizione da PT, ma degni dei centri di detenzione per migranti a Gjadër in Albania.
In un sol colpo, trovando magari una sede alternativa in uno stabile di proprietà comunale, si sarebbero potuti ottenere 4 risultati: 1) alleviare le difficoltà di quegli anziani che disbrigano le loro pratiche nella maniera tradizionale; 2) risolvere eventuali problemi di ordine pubblico legato al rispetto delle file; 3) contribuire al decoro del paesaggio urbano visto che la struttura provvisoria è un pugno nell'occhio; 4) migliorare la vivibilità di Piazza dei Cappuccini restituendole lo spazio che le è stato sottratto.
Se nulla si farà, chi la prenderà... nell'anima saranno sempre e solo i cittadini di Tricase di ogni fascia di età e di ogni condizione fisica, economica e sociale.