di Pasquale FERRARI
«Ma è del mestiere questa?».
La festa del Papà è una ricorrenza civile diffusa in alcune aree del mondo, celebrata in onore della figura del padre, della paternità e dell'influenza sociale dei padri. Il Padre è una figura essenziale nella crescita del Figlio, perché costituisce un punto di riferimento con cui il bambino si confronta e attraverso cui sviluppa la propria identità. Rappresenta un rifugio sicuro, una base su cui costruire le proprie esperienze relazionali. La figura paterna rappresenta simbolicamente la legge e l'autorità, dal latino "auctoritas", che nell'esperienza giuridica e politica romana è l’attività mediante la quale un determinato soggetto integrava gli effetti dell'attività di un altro, di per sé non sufficiente a produrli pienamente, e che deriva dalla radice del verbo augĕo, che significa appunto "far crescere".
Non è difficile, con tali premesse, pensare al ruolo della figura paterna nella Vita di un individuo, persino in una Società che abbiamo voluto sempre più fluida. Una società che, in coincidenza con la ricorrenza, registra l’exploit di una direttrice di asilo che, annullando tutte le attività correlate alla festa, afferma candidamente: “Ho accolto lamentele. La famiglia modello non esiste più!”.
Ma come?! E allora, cosa ci hanno raccontato finora? Si, è vero. È probabile che, come dice la nostra direttrice, la Famiglia – almeno quella intesa come trasposizione di quella del Mulino Bianco, che nell’immaginario collettivo ha da sempre rappresentato la quotidianità di una famiglia "all'italiana" – stia attraversando anni difficili. Avventurarsi ora alla ricerca delle cause di questa deriva significherebbe percorrere praterie indefinite. E non ne abbiamo né tempo, né spazio. E forse neanche voglia. D’altronde all’assenza di quello stereotipo ci stiamo abituando. E può darsi che lo siamo già, anche se – complice la moda di raccontare la propria vita come fossimo in un perenne Truman Show – c’è ancora più di qualcuno che ne spiattella sui social l’esistenza (vera o falsa che sia).
Si, d’accordo, potremmo anche fare a meno delle “organizzazioni”, delle “strutture”. E d’altronde, con la stessa facilità di comunicazione, apprendiamo sistematicamente di uno, dieci, centomila Papà (come altrettante Mamme), che ci insegnano come sia possibile riuscire a svezzare Figli – tante volte persino con risultati non meno importanti di quelli conseguiti nella comoda e calda alcova del prototipo ricordato – in completa “solitudine”. Intesa come assenza di ogni rapporto di presenza o vicinanza (affettiva) altrui. Ma “giustificare” la mancata celebrazione della figura paterna con l’assuefazione ad un nuovo concetto sociale di Famiglia (e, lo specifico per non generare fraintendimenti, non mi riferisco solamente alle unioni tra persone dello stesso sesso), significherebbe non riconoscerne la figura genitoriale – e l’importanza di tale rapporto – proprio in relazione a suo Figlio, confondendola con quella dell’uomo/padre rapportato al proprio partner. Celebriamo allora, imperterriti, e a dispetto delle “lamentele” accolte, un Papà sempre più implicato nel rapporto coi figli, in grado quanto la madre di occuparsene e stabilire una relazione d’attaccamento, ma che allo stesso tempo non si confonde con essa, che mantiene viva la specificità della sua figura e del suo ruolo. Ecco. Questo vorremmo dire alla nostra accondiscendente direttrice. È una ricorrenza civile.