Guerra e Pace non è solo il titolo del famoso romanzo di Lev Tolstoy e dell’omonimo grandioso film, ma, soprattutto, la condizione in cui da sempre vive l’umanità. Una umanità capace di creare grandi civiltà ma anche di distruggerle o sovrapporne altre, spesso fra immani perdite e sofferenze, regresso economico e culturale. La nostra costituzione ripudia la guerra, ma non certo la difesa degli interessi nazionali quali territorio, popolazione, libertà democratiche e livello di civiltà. Civiltà oggi minacciata dal diffondersi di eserciti irregolari e gruppi armati dello Stato Islamico con la sua aggressiva e sanguinosa “guerra santa”. Ma la forza degli aggressori fa sempre leva sulla debolezza degli aggrediti, non solo in termini di armi e combattenti ma anche su quell’insieme di valori che caratterizzano un popolo e la sua classe dirigente. Per la sua debolezza, cadde, sotto i colpi dei barbari, l’impero romano d’occidente, (476 d.c), poi, sotto i colpi degli ottomani, quello d’oriente (1453 d.c). Ma, In Europa, siamo comunque riusciti a vivere, almeno fin’ ora, nell’alveo della civiltà greco-romana e cristiana e, con i suoi impareggiabili valori di libertà e razionalità, a contenere l’aggressiva espansione di quella islamica e delle sue intolleranze culturali. Oggi Il Califfato Islamico avanza in Africa e Medio Oriente, fra bandiere nere e scie di sangue, rimpiazzando stati e governi e massacrando cristiani e non cristiani. La stessa Europa e la nostra Italia, così immersa ed esposta nel Mediterraneo, si sentono ormai minacciate anche via mare. La cultura islamica avanza ogni giorno su barconi e gommoni, affollati, sopra tutto, da giovani maschi. Sono i nuovi... Cavalli di Troia che, pur colmi di umane sofferenze, arrivano armati di età riproduttiva e di una fede che, pur più moderata, è restia a sopprimere il proprio anelito ad espandersi anche col terrore. Gli scafisti li imbarcano sulle coste africane per portarli in alto mare e noi, li recuperiamo a migliaia per portarceli in casa. Difficilmente integrabili in una società che già a noi non offre lavoro, vanno a ghettizzare ancor più le nostre periferie, ad essere schiavizzati dal lavoro nero o arruolati dalla criminalità. Intanto I nostri giovani, in preda ad incertezza e disoccupazione, pensano poco anche a riprodursi, senza così dare seguito, attraverso i loro figli, alla storia dei loro padri e alla civiltà che li ha generati. Si riproducono meno che nel 1918, quando i giovani erano in gran parte a morire in trincea per fare quell’Italia che oggi in tanti disfano e dgradano. Privi spesso di una Buona Scuola e delle funzioni educative della famiglia, non hanno l’opportunità di essere buoni cittadini ed esprimere una politica più avveduta, capace ed onesta. Debolezza ed inaffidabilità del paese diventano sempre più allarmanti e, spentosi la moda delle facili marce della pace contro le guerre occidentali del recente passato, nessuno sembra voler marciare contro le guerre islamiche in atto. Anzi, non di rado, convertiti a tali nuovi valori, alcuni vanno a dare man forte ai tagliagole del Califfato Islamico e a ricercare, come carne da cannone, le muliebri gioie e le celesti delizie del paradiso islamico. Crediamo di difendere i nostri interessi ed i nostri valori affidandoci alla NATO, (l’Alleanza Atlantica) ma siamo il paese che meno spende per tale comune impegno. Meno della Grecia che campa (a malapena) anche con i nostri prestiti. Coltiviamo il dovere morale dell’accoglienza di tanti migranti ma, privi di reali possibilità ad integrarli, rinunciamo anche alla difesa della nostra identità dando così ancora più ossigeno a quella che è ormai una lenta ma inarrestabile invasione. Senza una più diffusa consapevolezza della nostra civiltà, non possiamo avere né orgoglio nazionale, né la rabbia per organizzarci e difenderci meglio e nemmeno quella paura che porta alla resa ed alla viltà ma anche al coraggio di agire. Non per fermare l’Islam con una nuova vittoriosa battaglia navale come nelle vicine acque di Lepanto (1453) o terrestre, come a Poitiers (732) o Vienna (1529), ma almeno per sostenere le fatiche e le spese del si vis pacem para bellum se vuoi la pace preparati alla guerra degli antichi romani (e dei moderni paesi più accorti e avveduti). Dei romani preferiamo forse gli estivi panem et circenses (sagre e divertimenti), di stampo politico, per poi precipitare, come loro, in un nuovo cupo Medio Evo. Quello di una Eurabia, con avamposto Italia, che non è più Europa ed ove, al posto della croce del in hoc signo vinces, (con questo segno vincerai) dell’Imperatore romano Costantino, alla battaglia di Ponte Milvio, (che poi fece del Cristianesimo la Religione di Stato), rischia di comparire il vincente simbolo del Corano o dell’Islam. Non esiste popolo (pur fra credenti e non credenti) che non abbia una civiltà basata su fondamenti religiosi. Ma, quando la sua religione decade, o non sa difendersi, o non è più difesa, è la sua stessa civiltà che viene a morire. La nostra è sorta con la forza dei millenni e il sangue di milioni di martiri ed avi, ma, per farla eclissare, bastano pochi decenni e un po’ di loquaci esangui al potere. Si è cominciato anni fa a voler levare i crocefissi (il signo) dalle scuole; più che contro la religione cattolica, contro la propria civiltà e creare il vuoto. Un vuoto che altri sono oggi pronti a riempire con l’imposizione di un Credo ostile alla pace ed alla tolleranza di chi, alzando le braccia, ripudia, oltre alla guerra, anche la sua difesa e poi... perde la testa.