Aspettando il servizo di bike sharing…a Tricase
In piazza Cappuccini è stata creata una nuova postazione per biciclette non elettriche…?
Unione Sportiva Tricase - Allievi 1983
foto di Sergio Scolozzi
di Ercole Morciano Il 4 giugno 1852, «all’ore sette d’Italia», il notaio Pietro D’Elia del fu Giuseppe, residente in Diso, si reca in Lucugnano presso l’abitazione di Assunta Cazzato del fu Ippazio di Scipione, moglie di «Cerino Cazzato contadino domiciliato nel Comune di Lucugnano medesimo». Chiamato per volontà della padrona di casa per redigerne il testamento, il notaio è accompagnato da quattro testimoni: don Pantaleo Cazzato di Donato, Vito Ferramosca fu Pietro, Vito Perrone fu Luca e Salvatore Indino fu Grecorio (sic); il primo sacerdote egli altri proprietari, tutti residenti in Lucugnano e idonei allo scopo. La testatrice viene trovata a letto «perché inferma, ma se nel corpo mal sana, integra [è] nelle sue mentali facoltà». Vengono impiegate due ore per la stesura dell’atto col quale la moribonda, «dettando parola per parola», lascia erede il marito della casa con tutto ciò che contiene: mobilia, effetti mobiliari, ori argenti, denaro contante, crediti, nulla escluso. Gli pone però l’obbligo di coabitare con la madre rimasta vedova, Giovanna Indino, alla quale la testatrice lega il «fondo Rio olivato posto in feudo di Lucugnano». Assunta Cazzato destina l’usufrutto delle rimanenti proprietà a suo marito «vita sua durante» con l’obbligo di far celebrare Messe in suffragio della sua anima e quella dei suoi avi; dispone infine che alla morte del marito, tutti i beni, esclusi il fondoolivato e la casa, «andassero a vantagio (sic) del Reverendo Clero di Lucugnano» per la celebrazioni di Messe di suffragio da celebrarsi secondo volontà di lei. Fin qui il testamento e le sue clausole; la notizia più importante riguarda però la collocazione in Lucugnano della casa in cui viene redatto il testamento: «la casa di essa Assunta Cazzato sito (sic) in detto Comune Strada delle Giudeche». A Lucugnano dunque vi era la via delle Giudeche: un toponimo inequivocabile che testimonia come in loco vi fosse stata nel passato la presenza di Ebrei organizzati e in numero non irrilevante. Qual era la strada che col suo nome ha conservatonel tempo una realtà scomparsa? Com’è oggi denominata? E vicino alla strada si trovava forse una chiesa che prima era stata una sinagoga, com’è stato dimostrato per altri centri del Salento? Se la ricerca continuerà in loco eavrà buon fine occorrerà ridisegnare la mappa delle Giudecche di Terra d’Otranto che una mostra sugli Ebrei nel Salento, allestita nel gennaio di quest’anno, ha portato all’attenzione del vasto pubblico. A differenza dei “ghetti”, storicamente posteriori e caratterizzati da domicilio coatto di abitanti Ebrei, le Giudecche erano quartieri o zone aperte di convivenza. Nel Salento vi sono testimonianze archeologiche della presenza ebraica già nel 300 dell’era volgare: a quell’epoca risale una stele sepolcrale bilingue, incisa in ebraico e greco, trovata nei pressi di Otranto. Gli Ebrei rimasero nel Salento fino alla fine del sec.XV quando,per volontà di Carlo VIII di Spagna, furono cacciati ed emigrarono verso aree di maggiore tolleranza. Della loro presenza i toponimi ne conservano la memoria: la “via della Giudecca” a noi più vicina e più nota è quella di Alessano dove una comunità di Ebrei rimase, con alterne vicende, fino alla metà del ‘500.
In conclusione, la notizia di una “via Giudeche” in Lucugnano, riportata su un testamento rogato nel 1852, la cui copia è conservata presso l’Archivio Storico Diocesano di Ugento, apre una pista di ricerca che potrebbe portare a nuove scoperte in un ambito storiografico interessanteper la nostra storia.
Tra le tante iniziative, una merita il Premio Originalità: far suonare sul balcone di casa alcune band (BeatGeneration e Maremoto Cioccolata) e così allietare la serata ai passanti. E’ stata questa, a modesto parere di chi scrive, l’iniziativa più emblematica dell’Estate. Tutte le altre –come riferiremo in appositi servizi- sono state di notevole livello ed hanno avuto un buon riscontro, ma questa ha un significato provocatorio e bene augurante. Il privato che si offre al pubblico; le case, o meglio, i balconi che si aprono e invadono contagiando vicini e passanti. Altro che disturbo alla quiete pubblica!Se le case si aprissero tutte a tutti, avremmo certamente una Città più bella e più a misura d’uomo. E’ quello che nel corso degli anni e specialmente degli ultimi decenni è venuto meno. Qualche attento osservatore ha ricordato, in questi giorni, i tempi che furono, tempi nei quali le case e gli angoli delle strade divenivano luoghi di incontro ed ha sottolineato come in quei tempi anche l’architettura e la viabilità riflettevano una visione della vita intrisa di socialità e di comunità con le corti e gli spazi davanti casa (allu friscu). Il balcone aperto alla strada sembra far rivivere quei tempi e quella dimensione del privato-sociale, superando le barriere architettoniche e realizzando in verticale (balcone) quello che una volta avveniva in orizzontale (corti e l’uscio di casa).E se questo spiraglio di socializzazione pervadesse tutte le case? Certo lo spettacolo offerto dal balcone di casa è fortemente originale, eppure non mancano segnali che confermano una rinnovata spinta all’apertura nel segno della socializzazione.Il pensiero va ai tanti gruppi che hanno animato la vita serale dell’Estate tricasina e, più in generale, a quel volontariato che, se non si lascia corrompere da finanziamenti e rimborsi spese che nascondono stipendi, assurge ad un ruolo di positiva sfida ai luoghi comuni che sottolineano le assenze e denunciano ripetitivamente progressive chiusure, finendo per rimpiangere tempi andati e momenti d’oro.Cogliere le novità e rafforzarle, se si muovono nella direzione della socializzazione: del resto è finita l’epoca nella quale si attendeva che fosse il Comune a prendere le iniziative ed è cominciata da tempo quella delle associazioni, e non solo, che offrono, in maniera forse anche sanamente interessata, momenti di incontro e di gestione di spazi comuni: penso, per esempio, alla adozione delle aiuole comunali oppure alle proposte sociali e alle serate culturali organizzate da associazioni, bar, ristoranti, alberghi e via discorrendo. Tutte realtà presenti nella nostra Città. E’ forse ora giunto il tempo in cui le case e le famiglie e quindi anche i singoli cittadini, ciascuno nel suo piccolo ma importante ruolo, si facciano promotori in prima persona del bene comune, partendo, magari, dall’apertura al pubblico … del loro balcone
Era l’8 settembre 2013 quando l’allora tenente Clemente arrivò a Tricase. Siamo a fine agosto 2016 ed il Capitano dei carabinieri lascia Tricase per trasferirsi in Liguria, a Santa Margherita Ligure.
“Sono stato accolto con rispetto e affetto a Tricase. Ringrazio Tricase e i tricasini, ringrazio tutta la Compagnia dell’Arma (che opera su 18 Comuni). Ringrazio la mia famiglia. Ringrazio tutta la comunità. Una comunità che ha un grande rispetto delle istituzioni, con ideali giusti, che ha voglia di mantenere il territorio pulito”. Ma, l’abbraccio più sentito, il Capitano, l’ha riservato ai “suoi uomini”. “Siete carabinieri di serie A, perché se sono riuscito a fare qualcosa di buono in questi anni il merito è vostro, e il mio grazie va a voi che avete lavorato con entusiasmo e dedizione… facendo sempre il proprio dovere fino in fondo…senza mai risparmiarvi” . E infine un pensiero ed un augurio al suo successore, il tenente Alessandro Riglietti: “Auguro un buon lavoro e sono sicuro che proseguirà su questa strada, anzi sono certo che farà meglio di quanto abbia fatto io… Porterò via con me tanti ricordi e grandi emozioni.
Grazie di cuore a tutti…”
Il capitano Simone Clemente con i " suoi uomini "