di Giuseppe R. Panico
Di primavera, con tanto sole e prati in fiore, cresce la voglia di liberarsi dai torpori dell’inverno e vivere a contatto con la natura. I più anziani tornano a popolare piazze e panchine, cercando ora più ombra e meno sole; i meno anziani stradine di campagna e un più salutare giro-vita per l’estate in arrivo.
Capita loro di passare accanto a chiese e chiesette, compresa la ben nota Chiesa dei Diavoli. Da noi è successo che qualche potente di poca fede abbia fatto un patto col demonio per avere, in una sola notte, una chiesa per i fedeli e un tesoro per sé, in cambio di un’ostia in bocca ad un caprone.
Altri tempi quando il denaro era pure chiamato “lo sterco del diavolo”. Oggi va più di moda il denaro sporco, ma i romani (e non solo) dicevano che: “pecunia non olet” (non puzza…anzi!).
La parola data non venne però mantenuta; il demonio la prese male e scatenò una tempesta che danneggiò chiesa e dintorni e la campana, strappata da una tromba d’aria o tornado (quasi come quello recente), finì nel Rio.
Si dice scavato, anche questo, in una notte, dal demonio per farne forse, come poi fecero tanti altri, sul suo esempio, sulla costa e con più tempo, una dimora abusiva e vacanziera. Del tesoro non si hanno notizie, forse “lavato” altrove o cercato ancora fra muri a secco al chiaro di luna.
I potenti di allora sono passati di moda, non ancora i politici, eletti non più per grazia ricevuta dall’alto, ma, grazie al nostro voto, per portare più in basso le nostre speranze. Spesso anche loro, non più per una nuova chiesa o del bene ai cittadini, ma per una seggiola o poltrona che permetta di fare… “tesoretto”, non disdegnano certo far patti con l’inferno per diabolici “voti di scambio “. La parola data, non è poi, per loro, che una espressione roca e gutturale e, quando non mantenuta, ne oscura l’autore e ne appesta di zolfo il già cattivo alito.
Del caprone non abbiamo notizie, ma, forse ora in preda a pulsioni primaverili, è corso dietro a qualche discinta capretta o pecorella smarrita. Del diavolo si dice che a volte ritorni a far visita alla “sua” chiesa, al suo feudo ed alla sua dimora, fra gli oscuri dirupi e i folti e incolti pini del Rio, o far nuovi adepti. Difficile prevederne l’arrivo, come è difficile prevedere le sue trombe d’aria o i suoi infernali turbinii.
Sta di fatto che quello di novembre di chiese ne ha colpite due, ambedue sante e sulla costa, e scatenato l’inferno sui nostri gioielli (Marina Serra e Tricase Porto). Per rimetterli in piedi, ci vorrebbe proprio un miliardario. Ma come richiamare Briatore, già da noi cacciato, se i cavi Telecom sono ancora lì, tranciati e distesi per terra? La chiesa dei diavoli non è stata toccata forse perché sconsacrata e ridotta ad un solitario edificio con quella strana forma ottagonale che tanto ricorda Castel del Monte e i suoi oscuri misteri.
Pure la sua dimora, il Canale del Rio, con giardino a terrazze e tanti pini, se l’è cavata bene, anzi i pini del diavolo sembrano quasi gli unici rimasti sulla nostra costa. D’ altro canto nessun diavolo metereologico scatenerebbe un pandemonio senza proteggere i suoi beni (campana nel Rio compresa). Meno male che fra noi, forse protetti, almeno nel corpo, (l’anima è incerta), dalla nostra buona stella, riportata sullo stemma cittadino, non si sono avute vittime ma solo danni e, per paura, tante corporali e urgenti… acque reflue da versare poi nel Rio. Povero Rio, oltre al demonio con campana, ha pure quelle acque.
Cerchiamo da decenni un buon “esorcista” da mettere a palazzo con tricolore a tracolla, se non per “santificare” il Rio almeno per sanificarlo e restituirlo a bagnanti e turisti in cerca del sapore di mare di una volta. Purtroppo a palazzo più che acque sante continuano a buttarci più acque reflue e noi, come sempre deboli e chini pure verso gli eletti da noi stessi, “citti e boni, nu se sape mai”. Viene il dubbio che rimestando il diavolo di consueto nel torbido, gradisca i nostri reflui ed essendo il Rio la sua lugubre dimora, salga ogni tanto a palazzo, almeno per garantirsi “in saecula saeculorum” la sua dose giornaliera di acque reflue.
La sua chiesa (dei diavoli), prima sconsacrata, poi restaurata e poi ancora …assegnata, (non a lui, ma ad altri), chissà con quale ritorno economico, ci è costata proprio un bel tesoretto, ma dalle nostre tasche. Ma da noi, restauri e bonifiche, sempre interminabili e costosissimi, raramente finiscono in gloria, perché se il maligno non ci mette le corna, ci mette coda e zampino e, dopo un po’, se non c’è crollo, danni, acqua e umidità, c’è squallore ed incuria.
Passando da quelle parti, sono infatti in bella vista erbacce, abbandono, sporcizia ed insensibilità pubblica e privata. Viene da lanciare una monetina in fronte ai colpevoli. Ma ci hanno già tolto pure quella ed ora, dopo aver noi sborsato circa duecentocinquantamila euro (quasi mezzo miliardo di vecchie lire!) per farne “urbe et orbi” una immagine anche turistica, non resta che indiavolarsi di brutto. Ma che diavolo combinano a palazzo, verrebbe da chiedersi, se soldi e soldoni vengono così mal spesi!
Dicono che tempeste e tornado saranno ben più frequenti e disastrosi. Forse il maligno, ormai da noi con permesso di eterno soggiorno e reddito di cittadinanza (in anime perse), non vede l’ora di scoperchiare ancora. Non più chiese e pentole sulla costa, ma qualche palazzo di città ove, ci sarà pure fede, ma non credibilità.
Finita questa in fondo al Rio fra i nostri reflui, il diavolo e la sua campana.