di Alessandro Distante
Ha ancora un senso uscire con un giornale settimanale cittadino?
L’accavallarsi frenetico delle notizie, delle opinioni, delle ragioni e delle critiche; l’utilizzo di mezzi di immediata e ampia fruizione, che non costano niente e che raggiungono tutti; la possibilità di esprimersi senza redazioni e senza mediazioni, sono tutti fattori che mettono in crisi un progetto editoriale che fa del tempo lungo (una settimana) il suo ritmo (lento) e di un luogo ristretto (una cittadina) il suo perimetro d’azione e di diffusione.
Non sono considerazioni alla ripresa di un’esperienza ultraventennale o segnali di una affiorante stanchezza, ma doverosi interrogativi per verificare l’utilità sociale e politica di un’avventura nata quando i social non c’erano.
Ed allora: un settimanale cittadino può avere un senso nella misura in cui (come si diceva una volta) offre un contributo diverso (non dico migliore) rispetto al continuo rincorrersi di opinioni l’una accanto all’altra che non trovano momenti di dialogo e di sintesi;
trova un senso se affonda le radici in un contesto dove la lettura del locale fa comprendere il globale; trova un senso se raggiunge quelle minoranze che, per età o per ignoranza tecnologica, non accedono ai social.
Un giornale può essere utile per affiancare ad una dimensione orizzontale dove “uno vale uno” una dimensione verticale dove “l’uno vale per l’altro” ed entrambe devono spaziare nella profondità; solo se le notizie e le opinioni di tutti si confrontano e danno luogo ad approfondimenti che contribuiscono a rendere la realtà a 3D.
Uno strumento che offra altro, fermando su carta e per una settimana- esternazioni ragionate, vogliose non di sovrastare e di rispondere, anche in malo modo, alle opinioni altrui ma di andare in profondità, al di là del numero delle condivisioni o dei Mi piace.
Uno strumento, insomma, che aiuti ad evitare il ripetersi di quello che è accaduto questa Estate a Tricase dove il confronto sulla immigrazione sviluppatosi sui social ha dato l’occasione per offendere e minacciare oppure ed è altrettanto deprimente- di dividere piuttosto che condividere.