di Davide Indino In quinta elementare erano di gran voga gli acronimi.

Se volevamo regalarne uno alla maestra Addolorata - e al Sud siamo abituati a questi nomi - bastavano il foglio a quadretti larghi e tre colori.

Si faceva in poco tempo. Bastava un quarto d’ora. Spesso sacrificavamo quello dei Valfrutta e delle canzoni. Aho, la ricreazione.

Completavamo prima le A.

A come Amore.

Quella ci stava facile. In un quarto d’ora non potevamo perderci in sillogismi.

Alla M partivano i “matta”, “mestola”, “mazza” o “mattarello”.

Poi ci fermavamo su “Mamma” e ci mettevamo prima un grande “SECONDA”.

Troppa confidenza? Non me ne pento.

La E era rapida. Cosa scrivevamo? Niente. Rimaneva la E.

Sì, la congiunzione. Vi ho fregati.

Il problema sorgeva alla doppia “D”.

A chi proponeva il “dono divino” rispondevamo con uno sguardo cattivo. Quello dei bambini.

Passati i “dinosauro” e “dannosa”, concludevamo con “diligente” e “dolce”.

Ogni tanto passava qualche curioso dell’altra sezione - che magari giocava al nascondino o che era semplicemente andato ad accattarsi l’acqua con i spicci di mamma al distributore.

E noi - con una serietà istituzionale - rispondevamo col piano d’attacco.

Io di solito scrivevo. Dunque mettevo la mano davanti e alzavo la testa con fare iniquo a quel cialtrone.

Le ragazze cercavano qualsiasi cattiveria per mandarlo via.

I ragazzi, invece, un po’ meno retorici, muovevano dapprima la testa con far minaccioso e poi alzavan le mani.

Tornati a noi e alla nostra missione super segreta, qualcuno disegnava qualche cuore, altre spruzzavano il campione di profumo - da uomo - di Hugo Boss dalla boccetta di plastica custodita nel cartoncino “all’acquisto di un profumo Novità” della mamma.

Allora restava ben poco da fare.

Avevo portato la busta da casa e, tolte le briciole de’ cracker Pavesi (i flauti sembravan di silicone e di briciole non ne facevano), chiudevamo.

Ci piaceva firmare sul retro della busta. Era una gara alla calligrafia migliore.

Le ragazze ci battevano quasi sempre.

E me li ricordo io i sorrisi bonari delle maestre (abituate) a ogni lettera e a ogni acronimo trovato sulla cattedra.

Ci ringraziavano.

Anzi. A volte, quando qualche figlio prendeva 30 e Lode all’Università, ci baciavano pure.

Adesso quando ci penso, vedo la pellicola del ricordo davanti agli occhi dei pensieri e a ogni dettaglio sorrido. Bonariamente. Come quelle maestre là.

Di tutto non saremo mai soddisfatti.

Scusate, mi chiama la campanella. È passato già un quarto d’ora? Pulite la lavagna.

Che aspettate?

in Distribuzione