Questo scritto è dedicato a chi crede davvero alla libertà di espressione, alla libertà di incontrarsi e di dissentire. È dedicato anche a chi fa finta di credere a tutto questo e invece, esercitando il potere, trincerandosi dietro regolette anacronistiche, gestisce piccoli dissensi in modo intollerante (tradendo molte sue debolezze). E infine è dedicato anche a me stesso, nella consapevolezza, nella profonda autostima, che mai mi sarei comportato come i protagonisti della vicenda che sto per raccontare, che mai mi sono comportato con altri nelle forme irrisorie che il piccolo potere concede. Brevemente i fatti: nel marzo 2013, a cantiere ancora aperto, con un articolo sul Volantino dal titolo “Lavori in corso… pessimi”, denunciavo l’assurdità di un progetto che, nato per integrare i cittadini della zona 167 di Tricase con il resto della città, finiva invece per ghettizzare definitivamente decine di famiglie, perdendo in sovrappiù l’opportunità di un ingresso al paese più consono e studiato. Molti cittadini erano già stati negli uffici comunali nel tentativo di far modificare tale progetto ma erano stati a malapena ricevuti da un assessore che non poteva cambiare alcunché. I residenti dissenzienti, allora, prendono spunto dal mio articolo e formano un Comitato Spontaneo al fine di sollecitare l’Amministrazione ad una soluzione di quello che per loro era, e continua ad essere, un gravissimo problema: in data 12 aprile 2013 depositano una petizione che riporta integralmente il mio articolo (facendo copia e incolla dal mio sito personale) seguito da oltre 60 firme. Il Sindaco, sempre pronto a promettere il nulla con un sorriso, scrive sul Volantino del 3 maggio: “facciamo finire i lavori e subito dopo potremo rivedere il progetto”. Passano alcuni mesi e nulla si muove; i residenti, previa comunicazione al Comando dei Vigili, si autoconvocano sul marciapiede oggetto della contestazione per il 10 novembre; piove e si rinvia al 17. I residenti, non più di 20 persone, nell’adunanza di domenica 17 novembre, alla quale io partecipo perché invitato dai componenti del Comitato, auspicano un incontro formale con il Sindaco che viene concesso dopo un colloquio diretto fra il primo cittadino e una rappresentante dei residenti. Parliamo però di persone non avvezze a far sentire la loro voce in pubblico e quindi chiedono di partecipare all’incontro a me (quale autore dell’articolo) e ad altri consiglieri d’opposizione. Siamo ricevuti qualche giorno dopo nella sala consiliare, alla presenza anche di assessori e consiglieri comunali. Il Sindaco, prima di iniziare, chiede con cipiglio se l’adunanza del 17 novembre fosse stata autorizzata. Un ragazzo interviene e dice che ne ha dato comunicazione all’ufficio dei Vigili (ho copia di tale protocollo del 10 novembre. Ha forse la colpa di non aver comunicato il rinvio al 17? Non lo so). Fra tutte le cose da dire e da ascoltare il Primo Cittadino (che non risiede certo nella 167 di Tricase) si preoccupa dell’ordine pubblico, si chiede chi avesse organizzato quella manifestazione di una ventina di residenti, che avevano osato scendere sul loro stesso piazzale, che non avevano disturbato nessuno, che non avevano intralciato il traffico o gridato contro alcuno. Non c’erano bandiere in quella piccola assemblea, neanche politica e rabbia: c’era negli sguardi dei presenti molta rassegnazione. Inutile dire che l’incontro con il Sindaco non ha sortito effetto pratico, tutto è rimasto com’era, con lo scontento e lo sconforto di decine di famiglie. Ma tant’è!! Nel frattempo il Comandante dei Vigili Urbani di Tricase, informato dal Sindaco sull’adunanza sediziosa, inizia una vera e propria indagine, fax alla questura e ad altri soggetti istituzionali (tranne me naturalmente). Insomma, nonostante la comunicazione dei residenti presentata in precedenza al suo stesso Comando, nonostante la firma sulle petizioni di oltre 60 cittadini, non si sa bene perché individua in me l’unico organizzatore della manifestazione e invia il faldone al Procuratore della Repubblica. Invece di ridere a questo punto la faccenda assume aspetti kafkiani: un giudice del Tribunale di Lecce, senza che mai nessuno mi abbia chiesto documenti o spiegazioni, senza informarmi di alcunché, senza che fossi il reale organizzatore e/o promotore della grande adunanza sediziosa, ma semplicemente un invitato dal Comitato dei residenti come tanti altri (ma avevo la colpa di aver descritto sulla stampa la faccenda nei suoi aspetti più reconditi), ha rispolverato un articolo fascista del Codice Rocco del 1931 ed ha emesso nei miei confronti un Decreto penale di condanna con ammenda di € 3.900,00 (invece dell’arresto di 10 giorni) e l’iscrizione del mio nome nel Casellario Giudiziario. Naturalmente mi opporrò a questo Decreto di condanna e mi auguro di essere riconosciuto innocente. Ma innocente poi di cosa, di aver partecipato ad un pubblico invito? Di aver scritto un articolo? Di aver partecipato ad una delle pochissime riunioni autoconvocate da residenti stremati da tutto? O di aver messo in discussione il potere sovrano di alcune persone che nella loro goffaggine amministrativa e politica hanno determinato lo sfacelo di questi anni? Uno sfacelo edilizio, urbanistico e organizzativo, ma soprattutto culturale e sociale. Quello umano lo lascio ai singoli, lo squallore non mi tocca.