di Alfredo Sanapo
Alcuni mesi fa, vi sarà senz'altro capitato di leggere sugli appositi spazi della nostra città alcuni manifesti da morto particolari. I nomi dei defunti sono improbabili, le loro foto non rappresentano volti umani ma alberi e le età di morte fanno impallidire il recordman Matusalemme (969, Genesi 5:27). Avrete sicuramente capito che si tratta di deceduti a noi molto cari, perché parte indissolubile del nostro vissuto, della nostra storia e del nostro paesaggio.
Addio Nociara Salentina di anni 1060, Perenzana di Alessano di anni 347, Cellina di Nardò di anni 932. Trattasi dell'iniziativa di Save the Olives Onlus su tutto il territorio regionale per formare, informare ed educare alla necessità di alcuni innesti per salvare gli ulivi colpiti da Xylella fastidiosa senza ricorrere al loro abbattimento.
Ed è strano come proprio nello stesso periodo, alcuni opportunisti, sull'onda emotiva, propongano "miracolosi" protocolli salva-olivo, secondo i quali basta agire sulle condizioni fisiologiche della pianta per diminuire la probabilità di infezione da Xylella.
Alcune ditte che si occupano di agricoltura, botanica o giardinaggio, per motivi di marketing o per convinzione reale, hanno aderito a questi protocolli. Essi constano di procedure che, se seguite, avrebbero effetti curativi sulle parti lesionate dell'albero d'ulivo.
A titolo esemplificativo, parlerò di un protocollo-tipo del quale, in breve, descrivo l'applicazione. È una combinazione di due componenti. La prima è una soluzione di sali minerali da applicare sulla parte aerea della pianta, nelle diluizioni e nelle cadenze indicate, allo scopo di migliorarne la fisiologia: capacità di assorbire e utilizzare nutrienti, aumento della capacità fotosintetica e metabolica della pianta, etc..
La seconda componente è un triturato di pietra vulcanica ad elevata capacità di trattenere acqua: bonificandolo e strutturandolo con questo prodotto, si riporterebbe il terreno ad uno stato vergine tale da rinforzare l'apparato radicale della pianta.
Nel protocollo-tipo sono raccomandate alcune buone pratiche per incrementare la sostanza organica (aggiunta di humus di lombrico o letame e l'utilizzo del sovescio). Vengono anche consigliate la potatura chirurgica delle parti secche, la disinfezione dei tagli sulla pianta e l'allontanamento del rami potati che potrebbero essere luogo ideale per la crescita di larve di insetti potenziali serbatoi di fito-infezioni.
Quanto illustrato parte dal presupposto che una pianta con sana e robusta costituzione difficilmente si ammala. Basterebbe agire positivamente sulle condizioni fisio-pedologiche della pianta per diminuire la probabilità di contrarre un'infezione.
Le mie perplessità su questo approccio sono alimentate da un principio della Microbiologia dal quale risulta che l'agente infettante ha l'interesse affinché l'ospite sia in buone condizioni di salute: paradossalmente, peggio stanno gli ulivi, peggio sta il batterio. Pertanto, a mio avviso, la cura per la Xylella non può prescindere dalla ricerca di un antibiotico e non può passare solo dalla prescrizione di buone prassi colturali.
In passato, si è visto che nella scienza non basta partire da premesse date per scontate, per giungere a conclusioni congrue: è opportuno procedere attraverso ragionamenti puntigliosi vagliati da osservazioni sempre verificabili.
Il pericolo è cadere nell'errore in cui incappò il dott. Bonifacio negli anni '70 che brevettò l'omonimo siero: partendo dal presupposto che le capre non si ammalano di tumore, egli ideò un estratto di urine e feci di ovino, opportunamente trattate, da inoculare in pazienti oncologici a fini curativi. I risultati della sperimentazione furono opposti a quelli attesi. Nonostante il parere negativo della comunità scientifica, "Oncologia Bonifacio" continuò a essere distribuita e il brevetto venne depositato.
Da profano del settore, il mio timore è che con i protocolli di cui sopra si voglia fare pressione su chi ha uliveti molto estesi e campa di attività olearia. Non vorrei che occulti poteri giocassero sulla loro emotività infondendo il timore che la politica di espianto seguita dalla Regione Puglia possa essere stata tutta sbagliata e che ciò avvenga insinuando nelle persone dubbi più legati a calcoli di natura economica ed elettorale ché ancorati ai risultati della scienza.
Questo dubbio mi sovviene dal momento che tali protocolli non sono validati da studi scientifici da poter leggere all'interno del circuito ufficiale delle riviste specializzate.
Dunque, vogliamo giungere a un epilogo definitivamente positivo alla vicenda Xilella attraverso l'ordinario raziocinio scientifico? Oppure vogliamo continuare a seguire un "protocollo emotivo" che illuda le persone facendo leva sulle loro inquietudini e sui loro sentimenti?