di Alessandro Distante

Mi è capitato di partecipare ad un incontro tenutosi nelle Scuderie di Palazzo Gallone; mi era stato affidato il compito di moderare il dibattito, oltre che di introdurre i temi della serata. Al centro, il libro di Gino Strada “Una persona alla volta”.

Ed ho cercato di mettere in pratica il suggerimento che mi veniva offerto dal titolo: ho invitato a prendere la parola “una persona alla volta”.

E così è stato. Mi ha sorpreso la riflessione fatta da una persona in età giovanile che ha rimarcato che i ragazzi, contrariamente a quello che avevo provocatoriamente asserito, partecipano, in luoghi e in maniera diversa e con strumenti diversi, come può essere la rete.

L’osservazione della persona giovane nasceva dal fatto che nelle Scuderie –come spesso accade in incontri pubblici- la presenza di giovani era veramente si contava sulle dita di una mano.

Qualche sera prima avevo partecipato ad un incontro con Franco Arminio, il teorico della paesologia, sostenitore di quel “nuovo umanesimo da inventare” che lotta contro lo spopolamento delle aree interne. Il Poeta sottolineava che bisogna ripartire dai piccoli paesi dove è ancora possibile tessere relazioni umane, dove è possibile incontrarsi per strada e salutarsi, dove magari è possibile parlare guardandosi negli occhi.

Ed allora mi sono chiesto: è mai possibile sostituire i luoghi dell’incontro fisico ed accettare una vita sociale fatta solo sui social, una realtà realizzata solo in maniera virtuale, una comunicazione priva di sguardi e di gesti?

Nelle Scuderie avevo sostenuto che certe persone, come Gino Strada, si spiegano anche perché hanno vissuto una fanciullezza in famiglie piene di relazioni intergenerazionali, perché hanno giocato con gli amici del quartiere, perché, da giovani, si sono impegnati nelle lotte operaie, studentesche, sociali e politiche.

Ed allora: siamo sicuri che la scarsa partecipazione dei giovani agli incontri “tradizionali” è solo questione di modalità e di luoghi e non nasconde ed evidenzia, al fondo, una indifferenza, un rifiuto di uscire di casa e di confrontarsi con chi magari la pensa diversamente? Non è che, forse, a furia di stare sui social e ricevere solo i “mi piace” non sopportano la fatica di ascoltare anche chi non piace o parlare senza ricevere, di ritorno, i likes sperati?

I luoghi di comunità, dalla famiglia ai corpi sociali intermedi, dai partiti ai sindacati per finire agli oratori, possono essere sostituiti dalle amicizie della rete, dalle relazioni virtuali, dalle piattaforme digitali?

Eppure, potrebbe obiettare qualcuno, nei consigli comunali (anche nel nostro) trovano posto tanti giovani. E’ certo un aspetto positivo e da incoraggiare, ma è mai possibile inventarsi un impegno politico se dietro e di fondo non vi è stato e non vi è un impegno sociale? Ho dei dubbi, ma -dirà sempre quel qualcuno- sono frutto di un modo “antico” di leggere la realtà! Lo spero, ma lasciatemi il tarlo (positivo) del dubbio!

P.S. Articolo scritto provocatoriamente per sollecitare un “pubblico” dibattito. Inviare interventi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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