Chi, osservando su un qualsiasi manuale di storia o di arte, l’incisione quattrocentesca di Albrecht Dürer che raffigura i quattro cavalieri dell’Apocalisse, non è stato colto da un sentimento di orrore per la guerra e per le sue tre compagne che le sono vicine? Con la fame, la malattia e la morte, la guerra si lancia nella tremenda cavalcata che atterrisce l’umanità tutta, in un contesto di sgomento e desolazione. Al centro della sua impareggiabile opera, Dürer mette il cavaliere che agitando una bilancia vuota rappresenta la carestia, ovvero la fame. La guerra mentre uccide direttamente militari e civili, provoca la morte di innumerevoli persone a causa delle malattie e della mancanza di cibo. A questa dura regola non si sottrasse la prima guerra mondiale, di cui ricorre quest’anno il centenario dell’ingresso dell’Italia nel conflitto che costò la vita a quasi 10 milioni di militari e a più di 6 milioni di civili, mentre i feriti furono 21 milioni. Morirono per la guerra 651.000 soldati italiani e ne rimasero feriti circa 1 milione, di cui circa 600.000 per mancanza di cibo e 400.000 per l’epidemia detta spagnola. Fermo restando il massimo rispetto dovuto a quei giovani e a tutti quelli che morirono e soffrirono, lungi però da ogni cedimento alla vuota retorica, non si può che condividere quanto il papa Benedetto XV, purtroppo inascoltato, scrisse ai governanti delle nazioni in conflitto, definendo la guerra una «inutile strage»; e lo fu perché non risolse nessuno dei problemi in campo, tanto che circa 20 anni dopo deflagrò un conflitto ancora più planetario e distruttivo. Anche Tricase e frazioni pagarono il loro tributo di sangue: 94 sono i giovani che perdettero la vita, i cui nomi sono incisi nel marmo del monumento loro dedicato. E mentre i nostri soldati sul fronte combattono, muoiono, restano feriti o si ammalano, a Tricase la guerra si fa sentire anche per la carenza di cibo e per la fame. Tra i paesi del Salento dove si ebbero sommosse causate da donne per mancanza di pane vi è anche Tricase. Vi è fatto cenno in un lavoro di L. Bruno e D. Ragusa, dell’Archivio di Stato di Lecce, pubblicato sulla rivista Dire in Puglia, 5/2014, dal titolo Vogliamo gli uomini nostri... basta il sangue versato. Sommosse di donne salentine per il pane negli anni della Grande Guerra. Partendo dalle carte conservate a Lecce nell’Archivio di statoho scritto quest’articolo come anticipo di una pubblicazione più ampia, per la quale ho in corso la ricerca in ambito locale, al fine di raccontare in forma più dettagliata i fatti di cui furono protagoniste le donne tricasine. Siamo alla fine del 1917 e la crisi alimentare diventa sempre più acuta. La penuria di grano e la difficoltà di trasportare la farina nei luoghi di panificazione; le razioni quotidiane di pane ridotte sempre più ridotte fino a scendere al di sotto dei limiti di sopravvivenza; la qualità del pane che è sempre più scadente per l’aggiunta di sostanze dannose; l’aumento del prezzo; la difficoltà della distribuzione razionata; l’accaparramento dei cereali sempre in agguato per rifornire il mercato nero e le furbizie di quelli che possono: tutto ciò rende insopportabile una situazione che dura ormai da anni e sembra senza via d’uscita. La mattina di capodanno del 1918, verso le otto, si riuniscono davanti all’ingresso del municipio di Tricase, l’ex convento dei domenicani, circa 1.200 persone, in massima parte donne di Tricase e delle frazioni di Tutino, S. Eufemia e Caprarica del Capo; quasi tutte tabacchine che hanno scioperato. A Tricase il pane manca da 4 giorni perché non è giunto il grano assegnato; possiamo solo immaginare -sazi come siamolo stato di rabbia di quelle donne che oltre ad avere il marito al fronte vedono soffrire i figli per i morsi della fame. Tra la folla dei dimostranti il verbale nomina alcune donne di Tricase che non è male ricordare; le immagino un po’ come le audaci popolari parigine che assaltano per fame la reggia di Versailles nel 1789: Vita Vinci andava armata di scure con manico e tentava di colpire la porta; AddolorataFortiguerra - continua il verbale dei carabinieri -aveva una pietra, Loreta Coluccia aveva un grosso bastone, Lucia Legari una pietra, Donata Marraimpugnava una zappa. Nonostante le dimostranti sapessero che sarebbero incorse nei rigori della legge che in tempo di guerra vieta assembramenti o proteste, nessuna, si legge nel verbale, obbedì al reiterato invito dei carabinieri a sciogliersi. Personalmente ricordo la signora Vita Vinci che dal verbale risulta nata nel «1894, coniugata Cavalieri Filippo, 1 figlio, contadina». Io, come altri della mia età o più anziani, ricordiamo la simpatica, intrepida Vita falippa per il nome del marito, o ancora Vita brindisina perché, forse, nativa di Brindisi. Nei primi anni ‘50 abitava vicino a casa mia, in via S. Spirito e gestiva, col figlio Rocco, una bancarella per la vendita di frutta sulla piazza della verdura. Un altro figlio, Bruno, ricordo che giocava bene al calcio, quando le partite si disputavano sulla spianata dei cappuccini. La dimostrazione delle donne ha un seguito perché evidentemente le cose non migliorano. La mattina di giovedi 7 gennaio circa 1400 donne, per la maggior parte tabacchine scioperanti e contadine, si radunano vicino al mulino a vapore di Quintino Provenzano, sulla via di Tutino. Quintino Provenzano, originario di Ugento era giunto a Tricase verso il 1870 quale affittuario del feudo bosco di Belvedere del principe Gallone e aveva sposato la tricasina di cospicua e nobile famiglia Anna Maglietta. Le donne protestano, lanciano sassi contro le finestre del mulino e chiedono il licenziamento di un impiegato, non originario di Tricase, perché sospettato di impossessarsi della farina destinata alla panificazione per il pubblico. Parecchi vetri dello stabilimento vengono rotti.Verso le 10 -riporta il verbale- le donne si spostano verso il municipio per reclamare con voci strepitose le dimissioni di tutti i componenti la giunta municipale: cosa che poi avvenne. Il procedimento penale a carico delle 36 persone denunciate si svolse presso la pretura di Tricase nel successivo febbraio. Il collegio di difesa era costituito dagli avvocati Gennaro Ingletti e Domenico Caputo e dal difensore barone Bernardo Maglietta, cognato di Quintino Provenzano. Il pretore era l’avv. Leopoldo Siconolfi: nel luglio 1915 aveva perso il figlio s.tenente Luigi per ferite subite sul Monte S. Michele. Ancora più tragica la situazione famigliare dell’avv. Ingletti, già sindaco di Tricase: due figli, s.tenente Luigi e soldato Giuseppe, caduti rispettivamente nel 1915 e nel 1917 ed altri due, giovani ufficiali al fronte: Vincenzo e Mario, che sarebbe poi diventato direttore dell’ACAIT. Grazie al buon senso delle forze dell’ordine, nonostante l’esasperazione, i fatti non provocarono morti o feriti come purtroppo si sarebbe verificato nel 1935; l’umanità del giudice e la bravura degli avvocati, fecero sì che il procedimento giudiziario si chiudesse con l’assoluzione di tutte le imputate. Le donne tricasine poterono così riprendere il lavoro e tornare nelle loro case per accudire i figli,affrontando coraggiosamente le difficoltà e le incognite chequasi un altro anno di guerra avrebbe loro riservato. Se il direttore me lo consentirà, vorrei pubblicare sul prossimo numero l’elenco delle donne tricasine ritenute a capo delle manifestazioni perché i parenti le potessero riconoscere e darmi le informazioni utili per la ricerca che ho in atto.
* Ringrazio Liliana Bruno e Daniela Ragusa, dell’Archivio di Stato di Lecce, per avermi gentilmente dato i registri delle carte e altre informazioni per scrivere questo articolo. Ringrazio M.Antonietta Martella, Michele e Giovanni Sodero, Giuseppe Elia e Gennaro Ingletti per le altre informazioni.
Elenco delle persone segnalate nel verbale del
1918.
Prego i parenti delle persone in elenco di contattarmi per la raccolta di notizie, foto e materiale per una eventuale pubblicazione sull’evento.
Ercole Morciano tel/fax 0833.544716
(ore pasti); Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
1. Alfarano M. Vincenza, di Vito, nubile, 1882
2. Attrotto Maria Scala, fu Fortunato, moglie,
1876
3. Belmonte M. Annunziata, di Salvatore,
nubile, 1885
4. Bernardi M. Addolorata, in Maglie
Salvatore, 1882
5. Carrozzo Lucia, fu Fedele, in D’Aversa
Vito, 1876
6. Cerfeda Vito, di Filippo, 1900
7. Chiuri Luca, fu Ippazio Vito, nato 1870
8. Coluccia M. Rosa, fu Emanuele, 1875
9. Coluccia M. Loreta, fu Vincenzo, nubile,
1892
10. Coppola Cristina M. Grazia, di Luigi,
nubile 1889
11. Coppola Loreta M. Cristina, di Luigi,
nubile, 1890
12. D’Aversa M. Assunta, di Giuseppe, in
Cavalieri Alfredo, 1892
13. De Marco Beatrice, fu Vincenzo, in
Piccinni Vito, 1850
14. De Marco Filomena, fu Pantaleo, 1867
15. Dell’Abate M. Rosaria, di Isacco, in Indino
Quintino, 1890
16. Fortiguerra M. Loreta, di Abele, nubile
1888
17. Fortiguerra M. Addolorata, di Abele,
nubile, 1889
18. Iacobelli Rosaria, di Lorenzo, nubile, 1893
19. Legari Lucia, di Cosimo, nubile, 1895
20. Marra Donata, nubile, 1878
21. Marra M. Cosima, di Medico, nubile, 1890
22. Marra M. Cristina, di Domenico, nubile,
1897
23. Mogavero Grazia, fu Giuliano, in
Bolognino Giovanni, 1884
24. Orlando M. Domenica, di Antonio, nubile,
1891
25. Panico M. Teresa Addolorata, fu Desiderio,
nubile, 1890
26. Piccinni Santa, figlia di Beatrice, 1877
27. Ponzetta Loreta, di Giuseppe, nubile, 1893
28. Ruberto Celeste, di Raffaele, nubile, 1898
29. Scarascia Lutgarda, sorella di M.Antonia,
1890
30. Scarascia M. Antonia Luisa, di Adolfo,
nubile, 1899
31. Scolozzi Santa, fu Salvatore, in Leone
Antonio, 1873
32. Turco Paola M. Assunta, nubile, 1891
33. Ventafridda Rachele, fu Pasquale da
Rutigliano, in Nesca Vito, 1882
34. Vinci Vita, fu Vito, in Cavalieri Filippo,
1894
35. Zito M. Rosaria, di Salvatore, nubile, 1897
Chiuri Luca risulta contadino benestante; le due Scarascia casalinghe; tutte le altre contadine.