Prendo spunto dalla probabile chiusura di Casa Comi a Lucugnano per ricordare alcune cose. Alcuni anni fa, nel momento dell’altisonante grancassa politico-mediatica sulla chiusura delle Province, scrissi con chiarezza che l’eliminazione di quest’ente avrebbe generato un vero e proprio pandemonio. Scrivevo, quando nessun politico locale osava ancora esprimersi, che l’Italia aveva bisogno di un nuovo riordino istituzionale e burocratico, questo si, ma doveva partire dalla propria storia per trovare le soluzioni migliori. E quindi proponevo (naturalmente a quei quattro o forse cinque lettori che mi seguono) che sarebbe stato più opportuno concepire un nuovo assetto con Province rafforzate, Comuni con maggiore autonomia e i Ministeri centrali più digitalizzati, eliminando quel disastro che si chiama “Ente Regionale”. Oltre alla naturale identificazione geografica, il ragionamento è semplice: se le Province fossero state potenziate si poteva eliminare tutta quella serie di mostri amministrativi, inutili, costosi e dannosi, che si chiamano “Area Vasta”, “Unione dei Comuni”, “ATO” e altro ancora che sanno tanto di sottobosco e corruttela. In ogni Provincia una sola ASL che rispondeva al Ministero della Salute, una sola logica della raccolta della spazzatura, una sola visione dell’ambiente (con Piani regolatori Provinciali). Poi ci sarebbero i Ministeri che con le nuove tecnologie possono essere facilmente raggiungibili da tutti i cittadini, per cui l’intermediazione delle Regioni è solo un ulteriore degrado del livello di servizio, non certo un vantaggio. Buona parte degli sprechi, delle corruzioni, dei rimbalzi di competenze e responsabilità sono nate con le Regioni, agli inizi degli anni 70. (Inoltre in linea di principio non è accettabile che il cittadino pugliese debba essere curato in modo diverso da quello veneto). Oggi un ministero ben condotto sarebbe in grado di gestire facilmente la rete dei trasporti, le problematiche stradali e ferroviarie, che ora sempre più si perdono fra “tavoli di concertazione” e logiche spartitorie davvero allucinanti. Le scuole devono essere statali perché devono essere uguali da Trieste a Leuca, così come la sicurezza e la sanità. Oggi ci accapigliamo per la Biblioteca Comi ma quasi tutte le scuole della Provincia di Lecce hanno interi padiglioni chiusi per crolli, palestre mai collaudate, tetti e finestre che fanno acqua, bidelli che fanno calza maglia, servizi disconnessi e assistenzialisti. Mi dispiace dirlo ma anche la Biblioteca Comi rientra in questi casi: in qualsiasi altro paese del mondo, un posto come questo sarebbe aperto con al massimo due persone, noi qui ne abbiamo cinque, per ricevere uno o due visitatori alla settimana e per creare un evento (spesso riciclato) ogni due o tre mesi. Ora fanno un po’ sorridere alcune lacrime di coccodrillo di politici nazionali e locali. C’era forse qualcuno che davvero pensava che la riforma delle Province avrebbe lasciato le cose così com’erano? Qualcuno in buona fede pensa ancora che la parola Riforma nasconda risvolti positivi? Per capire il livello di inconsapevolezza della nostra classe politica, senza volare troppo alto, basta riportare qui le dichiarazioni dei due consiglieri provinciali di Tricase all’indomani della loro “elezione”. Sul Volantino del 18 ottobre 2014, Coppola scrive: “Per una fortuita combinazione Tricase ha due consiglieri, gli unici di tutto il Sud Salento. Abbiamo la possibilità di riaffermare la centralità di Tricase, ora che i consiglieri sono soltanto 16. Inoltre io farò parte anche dell’Assemblea dei sindaci che voteranno il bilancio. Abbiamo un ruolo importantissimo”. Risponde Dell’Abate sullo stesso numero: “Mi auguro che battaglie comuni possano essere condotte per via Duca degli Abruzzi a Tricase Porto, per il passaggio della Biblioteca Comi al patrimonio comunale, per una migliore fruizione degli edifici scolastici, palestre e spazi aperti di pertinenza”. Ora ad appena sei mesi dalla loro elezione dovrebbero solo scrivere un comunicato congiunto dal seguente tenore: cari cittadini non elettori, ci eravamo sbagliati, avevamo un certo entusiasmo immotivato ma qui non c’è più niente da fare, solo fare i becchini di tutto ciò che è stato, dalle ASL ai tribunali, alle biblioteche fino alle strade e alle scuole. La biblioteca Comi chiuderà così come chiuderanno molte altre cose nei prossimi anni, contrappasso inevitabile di una mancata gestione del tutto, di un dissipamento di risorse economiche ed umane, di un’ignoranza di fondo indotta da una classe politica eletta a suon di belle e inutili parole.