Una povertà che viene da lontano (e da vicino) Quando ascolto qualche candidato alle Regionali, uno che parla del Sud e ne invoca un ritorno agli splendori del passato, penso che stia facendo in buona o in mala fede un’operazione errata, che porta fuori strada rispetto all’analisi e alle soluzioni. Il Sud alla fine della seconda guerra mondiale era in condizioni pessime, forse peggiori rispetto ai primi anni dell’unità d’Italia. Non c’era industria né turismo, non c’era commercio se non quello poverissimo di prima necessità, non c’erano infrastrutture, non c’era la sanità. Le persone emigravano in massa verso il Nord Italia ma soprattutto verso i paesi europei più ricchi. Il lavoro era senza alcuna gratificazione: si faticava in proprio o sotto padrone per un tozzo di pane. C’era, questo si, un senso di prospettiva sul futuro, ma spesso proveniente da fattori esterni, non certo collegabili direttamente a scelte del territorio. Le persone dei nostri paesi inseguivano il politico per anni, inginocchiandosi più volte, per avere un posto di lavoro presso un qualunque ente pubblico. La dignità era un problema di pochi, per la maggioranza la raccomandazione era la regola da adottare per qualsiasi cosa, per la scuola e per l’ospedale, ma anche per un certificato di residenza o per l’allaccio dell’acquedotto. Non staremo qui ad analizzare tutti i motivi di questa situazione, ma se non partiamo da questi dati oggettivi, rischiamo di andare fuori strada. Il Sud è stato tenuto volutamente in questa condizione o le caratteristiche umane, ataviche e genetiche hanno procurato un tale disastro? Io sono portato sempre a pensare che geneticamente nessuno è perfetto e nessuno è endemicamente ammalato. Gli errori di impostazione si pagano, le furbizie e le scorciatoie si pagano, così come la corruzione e il clientelismo. Per decenni il partito unico del Sud, la Democrazia Cristiana, con l’appoggio significativo delle sacrestie, ha tenuto uomini e donne (specie donne) sotto una cappa di servilismo vergognoso. Ce ne dimentichiamo? Io ricordo quando per molte legislature la DC romana inviava in Collegi sicuri, come quello di Tricase, dei personaggi non presentabili altrove, perché qui i contadini non votavano le persone ma la croce sullo stemma del partito. Nel frattempo i territori venivano distrutti, i Comuni senza alcun piano regolatore, la burocrazia asservita al politico di turno, l’economia gestita per lo più da criminali camuffati da imprenditori. Sono gli anni del vero disastro economico ed ambientale, il conto stiamo cominciando a pagarlo adesso. Poi sono arrivati gli anni novanta, la gente, anche grazie alla scolarizzazione di massa, sembrava nella sua maggioranza si fosse affrancata un po’ dal vecchio regime, voleva cambiare, voleva diventare popolo, comunità, vivere in un paese normale (ecco il grande amore iniziale per l’Europa). Il nuovo che avanza ha però la faccia (o la maschera) di Berlusca o al massimo di un Bassolino o di un Vendola. Berlusconi, il grande corruttore, il grande magnate della TV popolare è stata la vera iattura di questo popolo, ma noi pugliesi ragioniamo un attimo intorno al nostro presidente di regione: è riuscito a modificare un po’ il linguaggio e i simboli, ma non è riuscito a dare il vero segno del cambiamento. I Frisullo e i Tedesco erano i nuovi manovratori, al potere c’era il pragmatismo del nuovo Partito della Sinistra, Vendola era solo il vessillo, la faccia diversa, buona per l’immagine. L’ambientalismo sfregiato dalla speculazione costante, le leggi paesaggistiche non osservate da nessuno, la sanità che non riesce a decollare nonostante costi pazzeschi, la scuola un colabrodo da tutti i punti di vista. L’Europa che si allontana, il sud-est asiatico che ci scavalca su tutti i fronti, la nostra chiusura mentale e organizzativa che ci mette in condizioni difficili verso tutti i paesi dell’area mediterranea. Dovremmo pagare il conto di decenni di speculazioni, di disastri ambientali, di furberie costanti, di corruzione endemica e di una malavita che è diventata potere, ma non ce la facciamo più, perché nel frattempo non produciamo più ricchezza, non inventiamo più niente, siamo un popolo ignorante, una massa asservita a strumenti tecnologici impostati da altri. In altre parole, qui c’è sempre stata la povertà e ora ne è iniziata una nuova. C’è stata una piccola finestra di venti-trenta anni, gli anni dei soldi facili e dello sviluppo industriale, durante i quali avremmo potuto impostare delle scelte corrette per rifare le nostre città, le cui periferie sono tutte inguardabili, per salvaguardare mare e coste dall’abbruttimento costante, per immaginare uno sviluppo armonioso – agricoltura-mare-turismo - che potesse dare consistenza alla ricerca di lavoro e soprattutto dare la giusta direzione ad un popolo che perdendo il senso di bellezza ha perso ogni punto di riferimento. Ora la situazione è chiara: quel poco di welfare conquistato nei decenni d’oro sta per essere smantellato completamente, chi è ricco vive, chi è povero piange. I disoccupati sono in provincia di Lecce un numero impressionante, quasi il 50% dei giovani, e le statistiche non dicono tutto. L’emigrazione, magari col trolley alla moda, è la soluzione, ma stavolta non ci basta l’Europa, ci tocca qualche isola della Polinesia dove ricominciare con nuovi occhi e nuovi orizzonti. Povera mia terra, bellissima terra.

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