a cura dell’avv. Carlo CIARDO, esperto in Diritto sanitario
La sanità è un argomento di portata cruciale. Solo per fornire qualche dato, si pensi che occupa oltre 670.000 persone ed impegna oltre 134 miliari di fondi nazionali, nonchè l’80% dei bilanci regionali. Per chi vive nel Capo di Leuca (e non solo) parlare di sanità vuol dire avere in mente la sagoma dell’ospedale “Card. G. Panico” di Tricase, un presidio essenziale, al quale ognuno può riconnettere i tornanti della propria vita.
E’ bene evidenziare che l’ospedale tricasino è stato il primo ospedale religioso “classificato” in Italia, alla luce della Legge n. 132/1968, il cui testo è frutto della originaria proposta formulata da Madre Elisa Zanchi, Madre Generale delle Suore Marcelline (ordine che gestisce il nosocomio).
Nel nostro ordinamento l’ospedale “classificato” è una specie di centauro con il corpo pubblico e la testa privata. E’ equiparato, infatti, ad un ospedale pubblico per ciò che concerne la programmazione della rete sanitaria, ma non lo è per tutti gli altri aspetti (vedasi Consiglio di Stato n. 7980/2023). In sintesi, siamo dinanzi ad ospedali complementari a quelli pubblici ma non parificati: simili ma distinti, utili ma distanti. Nel caso dell’ospedale “Card. G. Panico”, la gestione fa capo ad una Fondazione di diritto privato, ma il nosocomio rientra nella programmazione regionale e risponde alle esigenze del Servizio Sanitario Nazionale.
Tale combinazione pubblico-privato assommata nella stessa struttura, ha un risvolto significativo sotto il profilo economico. L’ospedale tricasino, pur rientrando nella rete ospedaliera pugliese, viene remunerato sulla base di tariffe predeterminate ed un tetto di spesa definito (come tutte le strutture private), a differenza dei nosocomi pubblici che fruiscono di un finanziamento “a bilancio”, in sostanza a consuntivo. Sia chiaro che non è in discussione la legittimità di questa differenziazione (oggetto di discussione dottrinaria da parte dei sostenitori del c.d. “quasi mercato” sanitario), in quanto la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente statuito che per gli ospedali pubblici un “obbligo” di prestare assistenza al quale si riconnette “la conseguente logica necessità di un intervento pubblico nel ripianamento dei disavanzi” (Consiglio di Stato n. 5947/2012).
E’ indubbio, però, che questa divaricazione non è senza conseguenze. Per dirla in termini medici: se questo assetto è una cura volta anche al contenimento dei costi, gli effetti collaterali non mancano.
Alcuni dati di fatto consentono di cogliere il problema. Il costo di un ricovero presso l’ospedale tricasino, magari necessitato da un’urgenza, soggiace al tetto di spesa ed alle tariffe (il cui ammontare è fermo da circa 12 anni). Ebbene, se un ricovero viene effettuato in un periodo dell’anno nel quale il budget è stato ormai raggiunto, quel costo determina uno sforamento del tetto di spesa fissato dalla Regione. Ecco che il sistema entra in crisi, perché l’ospedale che ha curato un paziente che aveva urgente necessità di assistenza è davanti ad un bivio: intentare un contenzioso per ingiusto arricchimento, ma con i tempi e l’incertezza propria dei giudizi, oppure invocare un intervento pubblico. Per non parlare delle prestazioni che possono ricadere interamente sulle tasche dei cittadini.
Oggi siamo in questa situazione. La stampa ha dato conto dell’incontro svoltosi il 9 gennaio scorso in Regione, nel corso del quale i rappresentanti degli ospedali classificati pugliesi hanno evidenziato il buco nei propri bilanci per via delle prestazioni erogate. Tali disavanzi, che minacciano la sostenibilità economica dei nosocomi, sono stati dettati non solo dalla domanda di assistenza, ma anche, tra l’altro, dagli aumenti dei costi legati al periodo Covid, dall’impennata dell’inflazione e dall’incremento delle utenze, come discusso nei mesi scorsi anche nella Conferenza Stato-Regioni.
La Regione Puglia, dal canto suo, ha affermato di non poter andare oltre il tetto di spesa prestabilito, in quanto tale limite rinviene dalla legislazione particolarmente stringente voluta dal Governo Monti e mai modificata successivamente. Di recente con la deliberazione di Giunta n. 464 del 06.04.2023 è stato disposto lo stanziamento di 33 milioni di euro – 8 dei quali per l’ospedale “Card. G. Panico” - ma tale intervento è finalizzato al recupero delle liste d’attesa, in virtù di un apposito finanziamento nazionale.
Resta quindi il nodo: questo centauro viene trattato come un ente pubblico quando si chiede che eroghi le prestazioni, ma si “scopre” essere privato quando si tratta di contingentarne i fondi. Un centauro al quale si impone una dieta dimagrante dal punto di vista economico, ma nel contempo si vuole che galoppi come Varenne.
Non vorremmo che questa problematica richiamasse la pellicola “47 morto che parla”, nella quale Totò, nel ruolo del nobile avaro, davanti alla notizia che il proprio cavallo era morto di stenti, si rammaricava dicendo “peccato, proprio ora che si era abituato a non mangiare”. Siamo chiamati a redigere una sceneggiatura differente per una realtà umana, territoriale e professionale, che ha una storia da difendere, un presente da affrontare ed un futuro da scrivere.