di Alessandro Distante

Le dita rosee dell’aurora del nuovo anno lasciano intravedere, per Tricase, colori forti e, per certi versi, inediti.

La recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha dato ragione al Comune di Tricase (Amministrazione Carlo Chiuri) sul cosiddetto ecomostro di Tricase Porto, apre orizzonti finalmente nuovi. I Giudici hanno riconosciuto la legittimità dell’ordine di demolizione. Orizzonti nuovi perché, finalmente, viene premiata una decisione coraggiosa assunta nel segno della legalità, intervenuta dopo che si erano succedute tante Amministrazioni che avevano preferito soprassedere e lasciare che le cose facessero il loro corso.

Da qualche mese si rincorrono voci su un possibile passaggio dell’Ospedale Panico dalla Pia Fondazione di Culto delle Suore Marcelline a gruppi che, a livello nazionale, operano nel campo della sanità privata. Qui il futuro è pieno di ombre perché grande è la paura che ciò possa portare, non tanto ad un impoverimento della qualità dei servizi, quanto al venir meno di un fiore all’occhiello della storia tricasina; il timore è che un eventuale passaggio di proprietà faccia tramontare la bella storia di un’opera nata da una donazione di un illustre Figlio della Città e che ha contraddistinto, con orgoglio e nel bene, la storia, non solo sanitaria, ma anche sociale, economica ed ecclesiale di un intero territorio.

L’orizzonte è incerto anche per l’Amministrazione comunale guidata da Antonio De Donno, appesa a numeri abbastanza esigui (un consigliere di maggioranza in più), al punto tale che si diradano le convocazioni dei Consigli comunali dove, poi, quando le sedute si tengono, gli interventi sono talmente pochi e il confronto è spesso assente e per lo più vuoto di contenuti che l’Assise finisce per essere svuotata di significato.

Un giorno nuovo possa nascere –si spera- riguardo ai fenomeni di microcriminalità, malgrado che il Consiglio comunale, per colpa della maggioranza, non sia riuscito neppure ad approvare un ordine del giorno che, aspirando ad essere unitario, era peraltro abbastanza generico e, in definitiva, persino privo di una analisi critica e di una proposta operativa. Ritorna con forza l’idea di una Città che si culla nel ritenersi “un’isola felice”, ma che rischia di essere “la bella addormentata”, nel cui regno è meglio non dire, non far clamore, non discutere o, in altre parole, non fare politica.

Ed allora che dire? Non ci resta che augurarci ed augurarvi che alle dita rosee dell’aurora faccia seguito una giornata radiosa che spazzi via timori ed ombre e che faccia esplodere la vita di un anno felice e sereno.

Auguri!

 

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