di Giuseppe R. PANICO

Quando, subito dopo l’Unità d’Italia, Massimo d’Azeglio pronunciò la famosa frase “l’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”, sicuramente non pensava che sarebbe stato così difficile rendere l’Italia meno differenziata.

Ancora oggi, dopo oltre 170 anni, fra Nord e Sud permangono infatti molte differenze, anche se non più quelle di popolazioni così povere ed analfabete, con una lingua italiana quasi sconosciuta e troppo genuflesse ai potenti del tempo.

Il vantaggio del Nord fu anche quello di aver vissuto, molto prima del Sud, l’influenza culturale della Rivoluzione francese e napoleonica e l’evoluzione agricola e poi industriale.

Come anche, grazie ai più intensi rapporti culturali ed economici col Nord Europa, quella diversa impronta etico- religiosa che privilegia merito, responsabilità individuale, lavoro di gruppo, cultura d’ impresa, propensione al rischio, assenza di “santi protettori” e identità di popolo, di nazione o di patria.

Fattori attrattivi di tanti migranti meridionali (a milioni anche verso gli U.S.A, sviluppatosi grazie anche ai già menzionati valori), privi o privati di terra da coltivare. Problema che perdura con tanti nostri universitari che, laureatosi al Nord, ben si guardano dal tornare verso un Sud che in gran parte galleggia, grazie ai salvagenti di Stato, gonfiati dalle rimesse fiscali delle regioni settentrionali. Si è celebrata, in data 11 aprile, la Giornata Nazionale del Mare, un evento che evidenzia anche come il Sud arretrato sia composto principalmente dalle due isole maggiori e dalla parte più peninsulare d’Italia.

Il mare, dunque, come impervio fossato naturale e motivo di sottosviluppo o come grande risorsa ambientale ed economica che il Sud non ha saputo (e non sa tuttora) utilizzare? Il mare quale impedimento alla diffusione di una propria identità economica e culturale (come è stato per molti secoli con presenza, fino all’unità d’Italia, della lingua italiana in tutto il Mediterraneo) o ponte per altre genti e culture per approdare, oggi in massa, su un territorio che troppo debole nella sua identità e capacità di integrare, non sa evitare degradi sociali e impatti culturali.

Un mare oggi anche arena di scontro fra eccessivi ambientalismi e pressanti necessità di nuove economie e lavoro, soprattutto in campo energetico e turistico, e sempre meno “Nostrum”, vista la sua crescente “territorializzazione” con “motu proprio” e difesa con le armi da parte di altri paesi vicini.

Se in ogni nostra sede istituzionale, scuola e comune costiero facesse almeno eco la nota frase di James Donald Little, (studioso e militare USA) “il cammino dell’uomo attraverso la storia è disseminato di fallimenti di nazioni che, raggiunto il benessere, hanno dimenticato la dipendenza dal mare”, forse anche il nostro Sud, sarebbe ben più sviluppato, almeno nella sua “blue economy”.

A maggior ragione Tricase, che privatosi di un’espansione urbanistica verso la costa, di un PUG adeguato e di un efficace Piano Coste, continua anche a privarsi di un più avanzato assetto e decoro urbano,  grazie pure ad un asfalto, così… “deperibile”. Senza programmi di crescita e un credibile sviluppo, il nostro capitale umano (popolazione) va così invecchiando, come anche diradandosi, per carenza di fiocchi rosa e celesti ed emigrazione giovanile. Ne risente fortemente anche il valore del capitale sociale (cittadinanza attiva) già di ben modesto livello.

Ce lo dice in un suo libro (I sette peccati capitali dell’economia italiana) anche il recente nostro illustre ospite, Carlo Cottarelli, riportando i risultati di uno studio universitario. Uno valore medio di 0,71 per le regioni del Nord contro un povero 0,30 delle regioni del Sud. Forse D’Azeglio, a saperlo, si rivolterebbe nella tomba di fronte a tali dati e a tanta inerzia. Non ancora una SS 275 allargata, né una FSE potenziata, né una mano di pittura sulla stazione, né meno impervie discese a mare, né più parcheggi per auto in città e sulla costa e per barche in mare e sugli scali.  

Almeno per non desertificarci e lasciare il tutto in mano a pochi o alle tante genti africane e mediorientali in sofferto arrivo a migliaia via mare. I governi dittatoriali di provenienza le facilitano, Malta non le soccorre, gran parte d’Europa decisamente le rifiuta e noi non sappiamo (o vogliamo) filtrarle e rimpatriarle. Ricompare così il timore della “sostituzione etnica” e/o di una “Eurabia”, già paventate in passato, insieme ad altri, dalla grande giornalista Oriana Fallaci.

O, ancora, alla criminalità che, con tante auto a fuoco, segnala la sua avanzante presenza. “Non abbiamo ben fatto l’Italia e, da italiani continuiamo a far male a noi stessi”, direbbe forse oggi D’Azeglio. Anche su un territorio bagnato dal mare e dalle lacrime di chi, tuttora, è spinto a lasciarlo.

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