FIGLI DELLA QUERCIA
di Alfredo SANAPO
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Un piccolo grande eroe
È facile parlare di bravi professionisti, di personaggi famosi per la loro santità, per le opere che hanno compiuto, per gli scritti che hanno lasciato, per le impronte che hanno dato alla comunità. Difficile è per le persone che, pur dando un forte contributo nelle pratiche quotidiane, non vengono ricordate con eguale enfasi. Forse non è mancanza di riconoscenza, forse è semplice dimenticanza di noi che siamo presi dai nostri impegni e dai nostri affanni. Nello specifico, quando frequentavo le superiori nei pressi della sede ASL dell'epoca, spesso si fermava a parlarmi Luigi, un simpatico netturbino, che ogni giorno svolgeva scrupolosamente il suo dovere. Mi faceva tenerezza perché cercava sempre il calore delle persone e spiegava con la sua parola dalla pronuncia incerta ma chiara e comprensibile. Prima che cadesse nell'oblio, ho pensato che questa rubrica poteva essere una piccola vetrina per ricordare Luigi.
Ada Chiarello
Cara Ada,
si sa, la natura dà, la natura toglie. Ha deciso di non dargli il dono di un intelletto integro, ma in compenso gli ha dato un intuito che, col senno di poi, gli ha consentito di prevedere il futuro in tema ambientale. Non poteva comprendere l'attuale emergenza in materia di rifiuti, ma aveva percepito, in tempi non sospetti, che sarebbe stato importante un corretto comportamento nei confronti dell'ambiente. Luigi D'aversa era un dipendente comunale, uno spazzino, nel gergo odierno un operatore ecologico e, a conti fatti, è stato un ecologista cittadino ante litteram. Perché la sua non la viveva solo come una professione, con tanto di divisa e di cappello, bensì una missione che andava oltre l'orario di lavoro. Nel suo linguaggio simpatico e sgangherato affermava "ne mie pelizza pelitu" (io pulisco pulito). Una frase che oscillava tra l'orgoglio del suo operato e la soddisfazione.di vedere pulita come un salotto la propria città.
Questo nostro concittadino (degno figlio della Quercia) era anche un guardiano fedele del pulito. O, meglio, con il linguaggio moderno, oggi sarebbe un perfetto educatore ambientale con le sue sfuriate appassionate, senza mai dare piglio alla violenza (quasi), verso chi gettava per terra una carta o una cicca di sigaretta. Senza differenze, rimproverava uomini, donne, ragazzi, professionisti e persino turisti. La sua presenza era la garanzia di una città luccicante anche nei suoi scorci e nei suoi angoli più dimenticati.
Un uomo buono nella sua genuina ingenuità e una dolcezza che lo faceva amare da tutti. Attualmente, si parla tanto di interventi volti all'integrazione dei diversamente abili. Lui non ne aveva bisogno, perché aveva un buon rapporto con tutti, anche coloro che non conosceva, e si faceva accettare per quello che era. Con le sue sole capacità, era perfettamente integrato nel tessuto sociale cittadino. Anzi, era la città che con lui integrava tutte le diversità perché la comunità riceveva il suo servizio impeccabile e lo ricambiava, salvo qualche frangia di ignoranza, col suo affetto
Da quando non c'è più, con lui se n'è andata una storia carica di civismo e di rispetto ambientale. E anche di allegria che esprimeva cantando con la sua simpatica voce fuori tempo. Ma la sua felicità era quando faceva il portiere nelle partite di pallone in piazza ed era portato in trionfo dai ragazzi contento del suo momento di gloria. E poi la maglietta della Juventus quando non era in divisa istituzionale e, infine, il suo mito, Dino Zoff, che imitava con tanto di guanti e ginocchiere: le sue scenografiche parate erano le sua dolce metafora che saremmo stati al sicuro finché ci avrebbe tenuto fra le sue mani...