di Giuseppe. R. PANICO

Si è celebrata, lo scorso 5 dicembre, la giornata mondiale del suolo, istituita dalla FAO nel 2014 per sensibilizzare l’umanità sull’importanza di tale prezioso bene, dedicato soprattutto alla agricoltura.

Si parla del suo consumo anche quando tale bene viene sottratto ai fini alimentari a favore di strade, ferrovie, capannoni, ospedali, edilizia abitativa etc. necessari allo sviluppo.

In Italia, nel 2021 si è raggiunto il valore più alto degli ultimi dieci anni (19 ettari al giorno).

Roma è la città che ne ha consumato di più, 95 ettari in 12 mesi, la regione Puglia è fra quelle più voraci, 499 ettari, in gran parte per impianti fotovoltaici.

Il suolo, dunque, non solo per produrre cibo per una popolazione mondiale in crescita (ormai oltre otto miliardi), ma anche energia ed economia.

In particolare, in questo periodo, caratterizzato da una guerra in Europa, inarrestabili immigrazioni, crisi energetica, povertà crescente, cambiamenti geopolitici e climatici e da culture ambientali che, spesso radicali, idealizzano e/o propongono un mondo irreale nutrito di… “Ecologia e Povertà”.

Nel nostro comune, di suolo ne abbiamo in totale 42,6 Km quadrati con circa 9 km di costa impervia e rocciosa. Suolo in parte già “urbanizzato e industrializzato” ma privo da decenni di un organico piano di sviluppo.

Soffriamo inoltre della carenza di suolo pubblico destinato al verde cittadino.

Il parco di via Pirandello, nato tardivamente e in grande sulla carta, lo si è poi rimpicciolito sul terreno per destinarne di più al grigiore del cemento e della politica che lo alimenta.

Il suolo coltivabile, ove si costruivano “lamie, paiare e suppinne” per ricovero di beni, persone e animali, si eliminavano, anche con la dinamite, le rocce affioranti per renderle più facile l’aratura e si scavavano cisterne per raccogliere e riutilizzare gratis l’acqua piovana, appartiene ormai non più ad una ridimensionata cultura contadina, ma ad una evoluzione sociale ed economica più urbanizzata e soprattutto politica.

Politica che, raccogliendo da anni a caro prezzo le acque piovane per poi buttarle in mare e degradare il Rio, non ha saputo meglio supportare le campagne, né valorizzarne la memoria. Così, anche l’ACAIT del tabacco si è trasformata in un’altra dolente e costosissima telenovela.

Di suolo ci rimane la costa, con il tratto più rilevante racchiuso fra Punta Cannone, sormontata e violentata dal ben noto grandioso cadente rudere, e Punta Quadrano, anche questa sormontata e consumata da un’altra grande struttura incompiuta e abbandonata.

Il resto devoluto a parco costiero, ma ridotto, dall’abbandono degli uomini e delle istituzioni, a facile preda di devastanti incendi. Ormai, in gran parte, è un residuale scosceso, carsico declivio roccioso, disabitato e scarnificato, ove pure i fichi d’india fanno fatica a riprendersi e dalla Torre del Sasso cadono sempre più sassi.

Povera Costituzione, almeno nel suo Art. 9, che tutela il paesaggio, come anche nel suo Art. 1 per una Repubblica fondata sul lavoro (se ormai poco nei campi, non certo quello da bonus o passivo come oggi frequente).

Lavoro che, nei comuni costieri come Tricase, non può che basarsi, in gran parte, su un suolo da dedicare al turismo. Nella scorsa stagione circa 869.000 presenze ad Ugento, 632.000 ad Otranto, 526.000 a Gallipoli, 433.000 a Melendugno.

Numeri da sogno economico per una Tricase che, comune fra i più importanti del Sud Salento Costiero, sogna sviluppo ma non cerca, non sa o si crea impedimenti nel realizzarlo. Si parla tanto di progetti con i fondi europei PNRR, ma poco si evidenzia che sono, in gran parte, in prestito e da restituire, grazie al lavoro e agli utili che dovrebbero generare.

Di tali fondi l’Italia, pur avendo già un debito pubblico di oltre 2700 miliardi di euro, ne ha chiesto il massimo possibile. Le altre nazioni, per timore di debito e interessi, ne hanno richiesti molto meno.

Ventre molle dell’Europa e sorvegliati a vista, oltre per il ritardo nelle riforme richieste, anche per gli ultimi casi di corruzione a carico di propri alti funzionari italiani, rischiamo di aggiungere al consumo o improprio uso di suolo, al consumo di tempo nel programmarne l’uso e al consumo di Costituzione nel non rispettarla, l’ulteriore consumo di fiducia internazionale per non impiegare, anche per il suolo, i fondi richiesti. O non più restituirli, perché destinati dalla politica e dal diffuso pubblico disinteresse ad opere improduttive.

in Distribuzione