di Giuseppe R. PANICO
Navigando lungo una rotta tranquilla, può capitare di imbattersi anche in insidie e tempeste, allora la si cambia, per proseguire comunque verso la meta prevista o nuovi obiettivi.
L’obiettivo primario di Tricase non può essere altro, come del resto ovunque, che uno sviluppo economico derivante soprattutto dal lavoro reale e d’impresa. I tempi si vanno facendo sempre più difficili in campo economico, energetico, sanitario, governativo e formativo- scolastico.
Lo sono anche per il nostro enorme debito pubblico verso il quale i richiami dell’Europa, che di malavoglia lo finanzia, cadono sempre nel vuoto.
Viviamo infatti da decenni al di sopra delle nostre possibilità per una politica che, come nel divertente film “Qualunquemente”, promette e concede di tutto, compresa la pitturazione gratuita di tutte le case, con noti bonus, lavori in corso e pertinenti scandali. Il risultato è che ci troviamo in condizioni ben peggiori degli altri paesi europei, visto anche l’evolversi geopolitico e la guerra in corso.
Ci si mette pure la Cina che, come la Russia con l’Ucraina, ha appena confermato che intende riprendersi Taiwan anche con le armi. Il Mare Nostrum, ora meno pacificato dalla potenza navale U.S.A. diretta altrove, sembra ormai una pentola a pressione, con acque rese più calde, oltre che per il cambiamento climatico, a beneficio di tanti ottobrini bagnanti, da nuove flotte militari a sostegno di politiche di espansione. Compresa la Turchia che aspira al suo decaduto impero ottomano, inculcando già nelle scuole elementari, come fanno altre autocrazie (Russia, Cina etc.) nostalgiche del loro grande passato, aspirazioni imperiali e fortemente identitarie.
Si direbbe quasi che l’umanità, come nel resto del regno animale, si divida in due metà. Una “erbivora” che si crogiola nel suo soddisfacente “status quo”, brucando quello che le sue vicende storiche e politiche le permettono, coltivando sviluppo democratico, culturale, economico, tecnologico, armandosi “al minimo” per autodifesa e a volte trascurando i propri valori identitari. Come è il caso dell’Italia che investe per la sua Difesa meno del 2% del PIL e ben poco in cultura. L’Algeria, nostra vicina, grande amica della Russia, da questa fortemente armata e da dove ora importiamo più gas, per le sue Forze Armate investe il 6,7% del suo PIL.
In grado, dunque, oltre che di tagliarci il gas, di sostenere inaccettabili pretese sul Mare Nostrum. L’altra parte dell’umanità è quella “carnivora” in caccia di giorno e di notte per prevaricare, azzannare e nutrirsi di qualche erbivoro indebolito dalle sue scarne difese, dai suoi imbelli pensieri e dal voler spesso allontanarsi dal branco, indebolendo, con i suoi lamenti, la forza della sua comunità, ma senza mai distogliere gli occhi e il muso dalla appetitosa erba del giorno. Guardando a un futuro, sperabilmente più pacificato, più umano e coeso, non ci resta che sperare in un possibile “Rinascimento”.
A cominciare dalla Tricase che vorremmo e non quella che troppo spesso ci viene imposta, per opportunismo politico e/o decisioni immotivate o affrettate. Per tale rinascimento paesano, non possiamo che partire da un auspicabile PUG.
Quel fantasma che ogni tanto appare fra le foschie del vociare politico, per poi scomparire per anni. Una discutibile bozza (validamente contrastata da qualche decina di tecnici locali) giace da oltre tre anni sul sito del Comune.
Le tante riunioni pubbliche, presentazioni e costi, sostenuti in passato, hanno dunque prodotto ben poco. Con tempi ora più difficili e incerti e per risvegliare l’economia, è auspicabile un deciso cambio di rotta.
Sperabilmente superando gli infruttuosi orientamenti e condizionamenti del passato e orientando il rinascimento urbanistico lungo le dorsali che portano al mare e le due marine.
In fondo se, a differenza del resto nel mondo, Tricase ha inteso svilupparsi verso l’interno e le sue aree alluvionali, come Lavari etc, sarebbe ora di svilupparsi verso il mare, come hanno fatto i potenti del tempo, con le loro aristocratiche ville sulla costa. Se non per trasformarsi nella piccola benestante Montecarlo del Salento Orientale, per non diventare solo il costoso e semideserto museo delle occasioni perdute