di Andrea CIARDO
Gentile Direttore,
la ringrazio anticipatamente per lo spazio che vorrà concedere sul prossimo numero de Il Volantino a quella che – più che un’analisi – vuole essere semplicemente una riflessione di un militante del Partito Democratico.
Si, mi dichiaro subito (qualora ce ne fosse bisogno): colpevole! Ogni volta che su una scheda elettorale vedo il simbolo del mio partito, sento un’irrefrenabile voglia di votarlo. Nonostante i suoi mille difetti, le sue mille contraddizioni, i suoi limiti. È così, la militanza porta a questo.
Ho letto con attenzione il suo editoriale, l’intervento di Gianluigi Elia e l’analisi (?) di Pino Greco sul voto del 25 settembre. Cercherò dunque di fare delle riflessioni ad alta voce.
Numero uno: l’analisi a caldo del risultato e, per la verità, anche quella a freddo.
L’ultima tornata elettorale ci racconta di un centrosinistra che ne esce con le ossa rotte. Qui c’è già un primo elemento di discussione che vorrei portare alla vostra attenzione: è il centrosinistra tutto ad aver perso. Non il Partito Democratico, non Alleanza Verdi e Sinistra. Abbiamo perso tutti, come coalizione.
E per rimanere ai confini prettamente locali, i dati in termini assoluti parlano chiaro: nel 2018, i voti alla coalizione di centrosinistra sommati a quelli di Art.1 sono stati 2306, mentre nel 2022 ne registriamo 2153 ai quali dovremmo aggiungere i 525 di Azione Italia Viva, per un totale di 2678 voti utili (n.b. i dati utilizzati sono quelli riferibili ai partiti, non ai candidati uninominali).
Se scendiamo nel dettaglio, il Partito Democratico registra 1434 voti nel 2018 e 1567 nel 2022 (al netto di Art.1 e di Azione Italia Viva che, con risultati pressoché simili, dovrebbero essere aggiunti nelle rispettive tornate elettorali).
E forse abbiamo una prima risposta alla sconfitta del centrosinistra tricasino e non solo: perdiamo perché non riusciamo a convincere, a trasmettere fiducia ai cittadini, se è vero che nel 2018 votano 10037 tricasini e nel 2022 il dato sull’affluenza si riduce a 8118. Nessun nuovo elettore pare abbia “sposato” l’idea di Italia che abbiamo proposto.
Numero 2: hanno perso la piazza e il contatto diretto con le persone.
Condivido questa sua riflessione, Direttore. E – credo – la condividiamo tutti nel centrosinistra, a tal punto che abbiamo impostato una campagna elettorale su un messaggio diverso da quello delle segreterie nazionali dei nostri partiti: al tentativo “verticistico” della destra, che puntava unicamente sui leader nazionali, abbiamo preferito il racconto delle “storie territoriali” dei nostri candidati.
Non è bastato, il vento non si poteva fermare con le mani.
E qui occorre porsi una domanda, forse complementare (o forse speculare, non lo so nemmeno io) rispetto a quanto detto da Elia: è unicamente un problema di “capibastone” e di “attori” in campo, oppure abbiamo smarrito non solo il messaggio politico, ma anche il mittente e il destinatario?
Per troppo tempo, in nome della responsabilità, abbiamo piegato le idee e i valori al governo delle cose. Per troppo tempo le “lotte di quartiere” ci hanno interessato e segnato, mentre i destinatari delle nostre azioni iniziavano a guardare altrove.
Ecco dunque che il “ripartiamo dalla base” non ha più significato se la base è sempre lì e mancano le idee che ci facciano avere lo sguardo rivolto verso le altezze.
L’individualismo ha fagocitato il sentirsi parte di una comunità. Ha ragione il Direttore Distante, ahinoi.
Numero 3: dove andare?
C’è chi ha più esperienza e capacità del sottoscritto per tracciare una rotta da seguire nel mare tempestoso della politica italiana. Una politica fluida, come i risultati figli della “deriva leaderistica e verticistica” cui ci siamo ormai abituati in questi ultimi anni.
Fra chi indossa spillette, chi si intesta vittorie di Pirro, chi vuole azzerare tutto per non azzerare nulla, la mia opinione, da militante, è che serve ripartire dalle idee e dai valori.
Non è una riduzione allo spicciolo dell’enormità dei problemi che attanagliano il centrosinistra, quanto una constatazione di fatto.
Se tutti avessimo avuto questa idea, ci saremmo già resi conto di aver perso. Perché una TV e uno smartphone hanno sostituito il dialogo, una legge elettorale come quella che abbiamo non consente ai territori di esprimere un’opinione e gli eletti non hanno la possibilità di ricucire alcunché.
E non è certo un problema di Tricase o del “fortino rosso” di Palazzo Gallone (che credo non sia mai esistito, peraltro).
Perché, se c’è una cosa a cui in politica non si deve rinunciare, credo sia proprio questa: se si ha un’idea, si cerca di tradurla in risultato tangibile per tutti. E si cerca di difenderla, con le unghie e con i denti, con il cuore e la passione.
Vale quando si è in maggioranza, vale quando si è in minoranza. Vale sempre.
Ed è attorno alle idee che si costruiscono le vittorie. Perché sono il messaggio da lanciare.
Idee che hanno bisogno di un giusto mezzo per essere comunicate.
Ed è così che avremo qualcuno a cui recapitarle e la militanza tornerà ad aver valore, e a non essere solo un’assunzione di colpevolezza.