di Giuseppe R. PANICO

Forse credevamo o molti ancora credono:

Che il male oscuro della guerra, da sempre presente nella storia dell’umanità e inquietante artefice di cambiamenti culturali, sociali e soprattutto geopolitici, fosse stato debellato. Se non nel mondo, almeno in Occidente e, soprattutto, nella libera e democratica Europa.

Che la disastrosa ultima guerra mondiale, con decine e decine di milioni di morti, in gran parte civili, ed enormi distruzioni, ci avesse “educati” ad evitare il suo ripetersi.

Che al grande avanzamento tecnologico, che la guerra sovente comporta, seguisse il diffondersi della cultura se non proprio della pace, della convivenza pacifica.

Che la bomba atomica e la paura della Mutua Distruzione Reciproca (M.A.D. Mutual Assured  Destruction) fosse sufficiente ad evitarci altri immani conflitti.

Che, grazie all’ONU, ogni controversia fra stati o nazioni potesse essere risolta o almeno contenuta a livello locale, con interposizione di forze di pace.

Che le differenze religiose, culturali, storiche ed economiche non ci avrebbero più portato a grandi guerre, ma alla reciproca tolleranza e collaborazione.

Che la libera determinazione dei popoli fosse un valore ormai acquisito e rispettato e così anche la libertà di scegliere chi votare, con chi stare o con chi allearsi.

Che distruggere città e dilaniarne gli abitanti, per poi riempire fosse comuni e indurre il nemico alla resa, non fosse più guerra ma la depravazione e la disumanità della guerra.

Che la globalizzazione, col suo interscambio commerciale culturale e comunicativo avrebbe anche portato a maggiore comprensione fra i popoli e al loro comune progredire.

Che la libertà di navigazione sui mari, le grandi autostrade dell’economia e del commercio, fosse ormai recepita e consolidata.

Che il fondale dei mari e le acque soprastanti fossero il regno dei pesci e non il prolungamento del territorio nazionale ove estendere, anche con la forza delle armi, l’esercizio del possesso e del potere su pesca, gas, petrolio, minerali etc.

Che, trascurando la storia o facendola dimenticare, insieme alla geopolitica, soprattutto ai giovani, la guerra sarebbe scomparsa dal loro futuro o ridotta, in Europa, ad una arcaica umana imperfezione di un triste passato.

Che avendo ripudiato la guerra con la Costituzione, si potesse anche ripudiare la difesa dei nostri interessi e valori minacciati, sulla terra, sui mari, nei cieli ed ora anche nello spazio, dalle guerre dichiarate da altri.

Che svilendo e/o indebolendo chi per la difesa del paese si fosse impegnato a dare anche la vita, aiutasse a coltivare la pace e non certo indurre altri a sentirsi più forti e già vittoriosi nel fare la guerra.

Che farsi pecora e belare per la pace, fosse più importante che farsi forti, unirsi ad altri e insieme contrastare i lupi che, dagli oscuri boschi dell’umanità, escono a fare scempio della pace e delle pecore.

Che ascoltando” Imagine all the people living in peace” di John Lennon fosse sufficiente ad avere la pace e non solo il sogno di una notte di mezza estate.

Che uscendo nelle piazze gridando e sbandierando solo la bandiera della pace, ma non alzando quella del paese invaso e trucidato e abbassando quella del paese invasore e distruttore, fosse utile alla pace e non invece a rafforzare, con la propria equidistanza, chi ha già posto la pace sotto i cingoli della sua guerra.

Che le parole di Primo Levi, “se è successo può succedere ancora”, fossero solo parole del suo passato e non un allarme per il nostro presente e il nostro futuro.  

Forse in troppi credevamo in tutto questo o in altri sogni e utopie lontane dalla storia e dalle depravazioni politiche di un potere assoluto che ha di nuovo aperto il vaso di Pandora e diffuso in Europa i miasmi della morte, della distruzione e della povertà.

Ma quel vaso può essere rinchiuso e i lupi scacciati; se non dalle pavide, sognanti e belanti pecore, da forti pastori, capaci di esprimere la cultura della storia e della concretezza, la perseveranza e l’arte della diplomazia e, come dissuasione o ultimo non voluto impiego, la forza delle armi. In difesa di sé stessi e famiglie, di ogni bene personale e nazionale e di quell’immensurabile bene comune che si chiama libertà.

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