di Alessandro DISTANTE
“… se la libertà si dovesse esprimere in modo assoluto anche in ambito sociale si aprirebbe la porta all’anarchia e alla dissoluzione di qualsiasi forma di società e si andrebbe incontro a un <<suicidio sociale>> non meno deleterio del <<suicidio assistito>>”.
E’ questo uno degli ultimi passaggi della Lettera inviata dal Vescovo Vito Angiuli alla Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca.
Il Vescovo svolge un’ampia riflessione sulla eutanasia, sul principio di autodeterminazione e sul concetto di libertà. Una libertà senza limiti ed assoluta va di pari passo ad un individualismo che soffoca la socialità.
Condivido il documento del Vescovo, anche perché favorisce una riflessione che va molto al di là del tema specifico della eutanasia, richiamando questioni, già in altra occasione trattate, sul rapporto libertà-relazionalità.
Partendo dall’angolo visuale di un modesto direttore di un foglio nato per essere un giornale di comunità, mi interrogo sul rapporto tra libertà di informazione e socializzazione e quindi sulla questione, assolutamente centrale, di come rendere fruttuosa la comunicazione per una comunità e quindi per la società nella quale e per la quale il giornale opera.
Ritengo che chi scrive debba dosare la sua libertà non solo, ovviamente, attenendosi alla verità dei fatti e all’onestà delle sue riflessioni, ma anche facendo in modo che il suo scrivere entri in relazione con il lettore. Non si tratta di censura o di autocensura quanto invece di raggiungere l’obiettivo di una comunicazione che voglia svolgere un compito sociale. Una libertà assoluta che non tenga conto di niente e di nessuno finisce per far piacere a chi scrive, per essere uno “sfogatoio”, ma non favorisce una relazione con i lettori e, magari, un confronto e poi ancor di più una sintesi.
Il comunicare quindi come occasione per creare ponti e non come affermazione a tutti i costi delle proprie idee. Per questo anche le tecniche di scrittura giocano un ruolo importante: così ad esempio, il contenere lo scritto in un numero di righe accettabile oppure l’evitare invettive –come spesso accade nel linguaggio dei social- diviene una modalità dello scrivere che favorisce la relazione comunicativa e aiuta ad offrire un contributo socialmente arricchente.
Ed allora la questione posta dal Vescovo sui limiti utili alla libertà diviene quanto mai attuale e vera e fa riflettere sulla non condivisibilità di una cultura individualistica che, assolutizzando il momento della libertà, propugna una libertà “fino alla fine” o, in termini diversi, una libertà infinita, contribuendo, paradossalmente, a determinare il “suicidio sociale” non meno deleterio –come conclude il Vescovo- del “suicidio assistito”.