di Giuseppe R. PANICO
Con il virus in discesa e le temperature in salita, torna quasi il “liberi tutti” e il via vai verso il mare. Ma la tradizione marinara-sportiva locale non è delle più forti e così anche la “blue economy” derivante da mare e turismo.
Forse perché gran parte della nostra impervia costa fu ritenuta, nel 2005, pericolosa, classificata PG2 o PG 3, paventando che sassi e sassoni possano cadere su chi si avventura sul bagnasciuga o sue vicinanze. Intanto attendiamo, come da mezzo secolo, uno strategico “Recovery Plan” che non sia l’eterno rinvio o la mummificazione dello “status quo” e azioni spicciole e concrete per il decoro e funzionalità delle aree pubbliche costiere e delle discese a mare egualmente disattese.
Queste ultime spesso disastrate più che dall’inclemenza del mare d’inverno, dalla carenza di adeguati interventi o da norme/interpretazioni che, troppo privilegiando l’ambiente, troppo affossano la natura umana, da sempre in cerca di economia, sicurezza e benessere. Sono iniziati (finalmente!) i lavori sulla nostra ultima torre (Palane) e il santuario di Marina Serra sembra quasi pronto a spargere per coste e campagne l’antico suono delle sue campane.
Ma per tante altre ragioni, non siamo inclusi nelle 17 bandiere blu concesse quest’anno alle località turistico- balneari pugliesi. Una bandiera da noi scarsamente coltivata ai fini di un ben più forte richiamo turistico. La strategia per il nostro futuro sembra ora debba tener conto, più di quanto maturato negli scorsi anni (Piano Coste improduttivo, bozza di PUG disattesa dalle ultime due amministrazioni, esiti di interventi pubblici e privati), di ben 17 criteri emanati dall’ONU per uno sviluppo sostenibile (di cui il PUG e P.C non possono essere che la struttura portante) e di una nuova partecipazione cittadina.
Se le 17 bandiere blu regionali non possono che rimarcare passato e presente di una carente vocazione turistica, i 17 criteri ONU riguardano il nostro futuro, pur fra valori oggetto alcuni più di antiche utopie che di concrete speranze. Un approccio strategico al nostro futuro, anche costiero, non può che basarsi soprattutto sulla concretezza di quello che siamo, di quello che abbiamo, su decisioni ben motivate, sulla qualità degli interventi e sulla coscienza diffusa di una “geopolitica” turistica/economica locale e salentina.
E tale coscienza non può che suggerire che la pericolosità di km. di costa sia da rivedere. Se la prudenza non è mai troppa, troppi immotivati divieti non possono che affossare ogni idea di sviluppo. Da oltre 65 anni frequento quel mare e, a parte brevissimi tratti, non si vede sui pertinenti fondali nessun nuovo sasso o macigno divelto dalle tempeste invernali o da qualche locale ciclope accecato o impazzito.
La torre Palane, continua a resistere, da mezzo millennio su una scogliera ritenuta pericolosa, nelle sue immediate vicinanze si fa da sempre il bagno senza casco in testa e le tante grotte e cavità sono da sempre le stesse. Un recente studio geologico, sul sito del Comune ci dice poi: “non si sono registrati crolli, né sono evidenti segni geo-morfologici che possono far presagire una imminente instabilità della costa”. Di fatto, la nostra storia patria è ben più ricca di scivolate e cadute su buche stradali, di scogliere e discese a mare mal curate che di pietrame costiero caduto in testa a bagnati e villeggianti.
Con una costa, in gran parte in “lock down” e senza interventi (ove proprio necessario), è come chiudere tante attività senza un reale pericolo, dimenticando che in ogni attività umana va accettato un minimo rischio calcolato o ragionato. Non si rinuncia a viaggiare per paura di incidenti, a lavorare per timore di infortuni o, a far uscire i propri ragazzi per timore di cattivi incontri e, in questi giorni, a un vaccino per una ben lontana probabilità di complicazioni. E non a km. di costa, senza più valide attuali ragioni tecniche, valutazioni politiche e…dibattito cittadino.