di Giuseppe R.PANICO
Ricorre oggi mentre scrivo, (23 novembre) il 40° anniversario del terremoto in Irpinia e Basilicata. Sembra ieri, una domenica pomeriggio come tante, in un miniappartamento al 5°piano, di fronte al Mar Grande a Taranto, con moglie, 2 figli, un libro e un po’ di tv in attesa di una rapida cena.
La scossa fu ampia e duratura; segui un grido… “il terremotooo” e altre grida dei vicini inquilini. Le chiavi della macchina, la bimba in braccio, l’altro per mano e giù dalle scale, gridando agli altri di non prendere l’ascensore. Una discesa interminabile per poi formare con altri colleghi e familiari, un nutrito capannello sul prato antistante.
Passò una mezz’ora, tornò un po’ di calma, quindi una rapida salita a prendere qualche coperta, un po’ d’acqua e biscotti, da tenere in macchina, e i documenti personali. Passò quasi un’altra ora, la palazzina sembrava ok, la notte avanzava, il freddo anche e si risalì in casa.
Si preparò un borsone accanto alla porta con generi e vestiario essenziale e, visto l’incarico e l’attività di quel tempo, la borsa da volo. Non vi erano ancora telefonini, il telefono militare funzionava e un primo contatto con l’Ufficio Operazioni della Marina Militare a Taranto, preannunciava voli di ricognizione sul territorio a Nord. Altre telefonate per allertare quanti più equipaggi e personale tecnico possibile e dir loro di raggiungere la base del 4° Gruppo Elicotteri, presso l’aeroporto di Grottaglie, alle prime luci dell’alba.
La notte passò insonne e a letto vestiti, fra disastrose notizie in tv e timori di nuove scosse, quindi un saluto a moglie e bimbi e di corsa in auto fino alla base.
Si approntarono tutti gli elicotteri disponibili, si formarono gli equipaggi e si attesero gli ordini. La tragedia fu subito chiara, almeno nella sua immensità.
Due elicotteri dovevano immediatamente trasferirsi presso l’aeroporto di Grazzanise in Campania, indicato quale base di rischieramento dei velivoli della Marina Militare. Altri elicotteri e personale sarebbero partiti dalle basi di Luni (Sarzana) e Catania, volando, visto il tempo incerto, lungo la costa tirrenica.
I due elicotteri di Grottaglie avrebbero dovuto attraversare gli Appennini, ma il massiccio fronte con precipitazioni e scarsissima visibilità, li costrinse prima ad allungare il percorso e poi atterrare e pernottare all’aeroporto di Amendola (Foggia).
Era comunque necessario che almeno due velivoli del 4°Gruppo arrivassero in giornata, per operare già dal mattino successivo. Si decise di aggirare il maltempo, circumnavigando la Calabria per poi risalire lungo la costa tirrenica.
L’assetto di altri due velivoli fu rapidamente cambiato, installando travetti laterali non più per portare e lanciare missili o siluri contro un ipotetico nemico in mare, ma serbatoi supplementari per aumentare l’autonomia.
Decollarono nel primo pomeriggio diretti a Sud, ero a capo della formazione, e col timore che il vento contrario rendesse l’autonomia appena sufficiente. La fortuna fu d’aiuto offrendoci, poco prima di Crotone, uno squarcio di cielo azzurro. Si fece alta quota, oltre lo spesso e bianco manto di nubi che copriva e bagnava la Calabria e le sue montagne. Lo scopo, facendo rotta a ponente, era di prendere al più presto contatto visivo con la costa tirrenica.
Passò del tempo, poi quasi per un attimo una nuova macchia d’azzurro fece capolino qualche chilometro più in basso e fra nubi ora più rade. Erano le acque del Tirreno, le montagne della Calabria erano ormai alle spalle e i due elicotteri vi si precipitarono. A bassa quota, lungo costa e scarsa visibilità, raggiunsero Grazzanise e gli altri elicotteri M.M. già in zona.
Anche qui vi erano danni, sia pur minori, e per l’alloggiamento degli equipaggi era stato predisposto un piccolo hangar, accanto ai velivoli. Senza riscaldamento, con decine di brande di fortuna, un supplemento di coperte, qualche scarno lavandino e un unico bagno esterno.
Le cucine non erano agibili e le mozzarelle di bufala fu il vitto prevalente. La mattina dopo iniziarono le tante missioni, di ricognizione, di trasporto di personale sanitario e generi di prima necessità, poi di tonnellate di altri generi, soprattutto vestiario, giacconi, viveri e coperte.
Materiali sovente prelevati atterrando presso il vicino aeroporto di Capodichino da aerei cargo, provenienti in gran parte dalla Germania. Un sudario di neve cominciò a coprire le immense rovine, ma non il dolore di una popolazione senza più casa, con circa tremila morti ed un triste futuro.
Fra i tanti interventi di quei giorni e un susseguirsi di voli, anche in condizioni estreme, atterrai un giorno quasi in emergenza, causa un forte temporale, sul campo sportivo di Avellino e spensi i motori. Dai vicini spogliatoi, una minuta signora faceva segno di raggiungerla. Eravamo in tre di equipaggio, la raggiungemmo di corsa nella pioggia pensando avesse bisogno di aiuto.
Voleva invece offrirci un caffè, già su un povero fornello, fra due bimbi che, con il papà ricoverato per ferite dovute al terremoto, erano ora distratti da un elicottero a centro campo e dal nostro equipaggiamento.
Mi ricordarono i miei bimbi, ora lontani ma ben più fortunati. In quello spogliatoio, trasformato in alloggio, vi era anche un ampio specchio. Mi riconobbi appena; forse quel bagno all’aperto, l’assenza di docce e ricambi di vestiario, in quei primi giorni non consentivano molto. Passò il temporale, riprendemmo il volo, passò qualche settimana e giunse l’ora del ritorno a casa e in famiglia.
A breve sarebbe stato Natale e un panettone era già sul tavolo. Ripensai (e ripenso dopo 40 anni e in questo Natale ormai prossimo), a quella minuta e gentile signora e a quei due bimbi, negli spogliatoi.
Nella notte, sognai di tornare in volo, in una giornata di sole, sbarbato e ripulito e con una tuta da volo immacolata per portar loro il marito/papà ormai guarito, quel panettone sul tavolo ed altri regali. E dire ancora grazie per quel gradito caffè dall’aroma ineguagliato e che, a volte, mi sembra ancora di sentire.