di Giuseppe R. Panico

Le specie viventi che popolano i mari sono tante, alcune ancora sconosciute. D’estate sul mare si affollano anche le specie umane. Secondo la teoria dell’evoluzione di Darwin, queste discendono dalle scimmie che lasciati gli alberi e diventati bipedi, si diffusero in tutto il mondo. Si civilizzarono, divennero più forti e potenti solo i gruppi di “homo sapiens” capaci di adattarsi ai diversi ambienti e di utilizzarne le risorse. Alcuni si limitarono al territorio circostante e lì rimasero, fra capanne e caverne o, più al sicuro. su alte rupi.

Altri raggiunto il mare, laghi o fiumi, ne compresero le potenzialità e, utilizzando gli alberi dai quali erano prima discesi, costruirono piroghe, canoe, zattere etc. Impararono a pescare, poi a navigare ed occuparono tutte le terre emerse. Coloro che si insediarono lungo le coste, progredirono più rapidamente, svilupparono una più dinamica mentalità e ben difesero la loro più florida economia e più avanzata civiltà

. Prevalse l’attitudine a lavorare come “team”, o come “equipaggio su una stessa barca” ove ognuno ha un suo ruolo per pescare, navigare, dare sicurezza e “fare impresa” e ricchezza. Il mare dunque quale colonna portante e stimolo economico per una strategia politica che dura da millenni. Oggi più di ieri, le nazioni si battono per questo, dalla Russia di Putin che sostiene la Siria in guerra per poter dominare il Mediterraneo attraverso i suoi porti, alla guerra diplomatica della Bolivia contro il Cile per avere un accesso sul Pacifico, alle Marine Militari a protezione degli interessi nazionali.

Nel suo piccolo, la nostra Tricase, più che evoluire sul mare o verso il mare, sembra invece ancora arroccata sulla sua rupe (93 m sul mare) nell’entroterra, come se fosse abitata, se non da “montanari”, da “collinari” che per il mare hanno ancora un timore ancestrale o da “galleggianti” che d’estate si calano lentamente in acqua e rimangono nello stesso posto o attaccati allo stesso scoglio. Se una medusa è all’orizzonte, come un tempo “li turchi”, non si difendono eliminandola o allontanandola, ma risalendo la scogliera o rifugiandosi sulla rupe.

Ben poco si attivano verso l’economia e la cultura del mare e, avendo ben poco d’altro, continuano ad emigrare ed impoverirsi.  Pochi sono i “natanti” che, oltre a galleggiare, sanno pure ben nuotare lungo costa o verso altri vicini lidi, grotte ed anfratti e, non di rado, con maschera e pinne, vanno a conoscere anche il mondo sommerso.  Più “avventurosi”, interagiscono spesso fra loro per un pur limitato sviluppo sul mare. Ma mancano più audaci e preparati “navigatori” che, oltre a conoscere sé stessi ed i propri limiti, conoscono venti e correnti, vele e motori, porti ed approdi, onde e flutti, altre usanze e culture, povertà e ricchezze. Vigili ed attenti al mutare degli elementi naturali e degli umani eventi, prima che ad altri, danno fiducia alla propria conoscenza ed esperienza.

Sono coloro che da sempre popolano il mare e la sua storia; sono gli Ulisse dalle tante avventure, gli Argonauti in cerca del vello d’oro, i Colombo, i Magellano, i Verrazzano etc. scopritori, di nuovi mondi, nuove rotte e nuove economiche. Rappresentano un avanzato insieme di audacia, conoscenza e lungimiranza ed hanno aperto super strade verso ciò che oggi chiamiamo globalizzazione e progresso. Dai Fenici ai Vichinghi, dai Veneziani ai Genovesi, dalle triremi alle galee, dalle paranze alle caravelle, hanno gettato un ponte su quel mare che prima divideva trasformando in ricchezza ciò che era prima solo un pericolo. E una moderna ricchezza è oggi il turismo sul mare o costiero, la più importante risorsa che, nella nostra povera situazione geografico-economica, potremmo ben più sviluppare.

Ma il nostro passato, sia prossimo che remoto, dal mare ci ha addirittura allontanati. Con un depuratore a far da trincea verso la costa, oggi ancor più in ampliamento, poi con tantissimi vincoli costieri, poi con il parco Otranto -Leuca, poi con una cultura ecologica fattosi nuova ideologia politica e, come tale, utile a pochi e funesta per tanti. Tutto limita, tutto vieta, tutto ritarda e impedisce e nulla semplifica se non la mummificazione o l’abbandono del territorio costiero.

E così anche lo sviluppo sostenibile, ancor privo di un qualsiasi programma, rimane aria fritta sulla bocca dei tanti. Forse ci manca il saper “navigare”, il saper scegliere una valida rotta, o finanche il saper sognare, se non come equipaggio verso un gradevole porto, come comunità verso un valido obiettivo. Da “collinari”, “galleggianti”, poco “natanti” e per nulla “naviganti”, continuiamo, a inviar suppliche ai potenti, ad addossar loro le colpe della nostra impotenza, delle nostre incertezze e delle nostre pavidità, anche nel maturare ed esternare semplici ipotesi di sviluppo.

Di suppliche a Bari, a Lecce ed ai potenti forse ne servirebbe una ben forte, decisa e condivisa: quella di allentare sul mare e sulla costa vincoli e burocrazia e permetterci e non più negarci un più avanzato futuro turistico e residenziale, fonte di lavoro e progresso. Se non più con un povero Piano Coste che, privandoci di tanti posti-barca (a Marina Serra), non ha saputo darci in più nemmeno un pubblico posto-auto, né un pubblico bagno, con almeno un buon Piano Regolatore per le due marine.

Ormai da tempo in itinere, ma ancora dagli ignoti o “secretati” contenuti.         

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