di Cesare Lia

Devo ringraziare il prof. Ercolino Morciano che, sempre attento alle questioni sociali e soprattutto a quelle della comunità tricasina e del Capo di Leuca (insisto a chiamarlo tale e non Basso Salento), ponendo automaticamente il nostro Comune al centro dello sviluppo di tutto il territorio, mi sprona ad intervenire su di un argomento molto particolare e molto importante.

E’ stato necessario, però, che i media pubblicassero il risultato della ricchezza dei nostri Centri per accorgersi di un problema così grave che, mi permetto, sollevai nel lontano  1984 quando, analizzando la situazione economica dei 13 Comuni del Capo di Leuca, avanzai una proposta di organizzazione e riscatto di un territorio che non doveva aspettarsi alcuna provvidenza superiore per crescere e creare  infrastrutture economiche che consentissero di farlo. Allora la nostra economia territoriale era migliore dell’odierna, avendo una situazione della TAC eccezionale rispetto al resto della provincia di Lecce.

Devo, però, constatare che la mia analisi non è stata presa in considerazione forse perché non era stata pubblicata da qualche organo di stampa a livello nazionale.

Il mio studio era basato sulla situazione del nostro territorio, emarginato dal resto d’Italia e senza sbocco alcuno oltre il mare. In fondo ho sempre denunziato, anche in singoli articoli di giornalismo locale ed in conferenze alle quali sono stato invitato, che geograficamente la nostra terra si trova in un “cul de sac” nel quale si deve accedere e, poi, si deve tornare indietro per uscirne, senza possibilità di attraversarla.

Ovviamente la situazione storica è tutt’ora da attribuire alle carenze delle nostre popolazioni, che si sono acquietate nella situazione esistente e non hanno pensato e non pensano ancora di attraversare il mare, come avevano fatto i greci nell’età antica, creando un rapporto economico con l’altra sponde del mediterraneo.

Altre considerazioni scaturivano dalla popolazione residente nel nostro territorio, non superiore a 63.000 anime, considerando che la popolazione attiva, escludendo gli anziani, i ragazzi e gli stabilmente occupati, non superava le 10.000 forze lavoro:

- quella che il nostro territorio non consente un’agricoltura industriale ma di nicchia per  via della parcellizzazione fondiaria e della mancanza di estensioni terriere che possano consentire  l’impiego di moderne attrezzature agricole ed anche per la enorme presenza dei muretti a secco;

- quella della impossibilità di reperire in loco materie prime per le attività connesse con la TAC;

- quella dell’impossibilità di istituire alcun tipo di industria e per la lontananza dei porti d’imbarco e per la lodevole scelta dell’Amministrazione provinciale del 1950 dell’idea di vincolare insediamenti fino a 4 Km e mezzo dalla costa per evitare la compromissione per la futura scelta turistica.

Non restava altro che sfruttare le tre residue possibilità di sviluppo: l’agricoltura di nicchia, l’artigianato locale ed il turismo!

I primi due erano costretti a seguire vie di sviluppo individuali e da una probabile cooperazione potevano solo ricavare promozioni d’immagine ed aiuti per il trasporto dei prodotti. Il terzo, invece, dipendeva dalla volontà organizzativa dei nostri Comuni.

Per questo, creai, contro ogni legge esistente all’epoca ed affrontando molte difficoltà anche da parte dei miei stessi amici di partito, il Consorzio dei Comuni del Capo di Leuca ed il GAL, prendendo spunto da alcune norme comunitarie che consentivano il loro finanziamento. Tali organismi, se oculatamente amministrati, avrebbero consentito, proprio in vista della collegialità che oggi il buon Ercolino vorrebbe attribuire in testa all’Amministrazione provinciale, purtroppo  soppressa dall’incompetenza politica, di determinare quel necessario organismo di coordinamento tra tutte le realtà pubbliche del Capo di Leuca.

Ritengo che ancora oggi bellezze del nostro territorio, i reperti archeologici nostrani e dei territori limitrofi, i beni culturali, il cristallino mare, la bontà dei prodotti gastronomici (non dico eno perché abbiamo disperso e distrutto vigneti e vitigni atavici ed unici come il bianco di Alessano, l’aleatico di Gagliano, il primitivo dei Fani di Salve ed altri) invidiatici da molti concorrenti.

Per fare questo, però, occorre coordinamento che non c’è e stenta a nascere anche dopo il varo delle Unioni dei Comuni!

Non si riesce, infatti, a far comprendere che occorre un’organizzazione dei Comuni rivieraschi, un piano comune e non dei singoli Comuni degli insediamenti turisticamente produttivi, la creazione di strutture ricettive con il divieto di invasione del territorio con singole casette nelle marine, che non danno occupazione ma cementizzano il territorio, l a creazione dei poli turistici ove si debba obbligare gli operatori di tenere in vita le licenze commerciali per almeno sei mesi l’anno, che occorre varare il piano strutturale del parco Otranto-Santa Maria di Leuca, che da dieci anni circa è sonnolento ed inattivo, e quant’altro, che per brevità non dico.

Faccio solo presente che, durante il mio incarico amministrativo regionale, ho finanziato tante opere strutturali molte delle quali non sono state realizzate, ritardando notevolmente lo sviluppo e l’occupazione giovanile.

Se tutto quello che ho detto sopra fosse attuato anche oggi, non ci sarebbe bisogno di emigrazioni per cercare lavoro soprattutto da parte dei giovani che, se organizzati, avrebbero in loco fonti lavorative alquanto consistenti  ed in linea con i tempi futuri che stanno quasi del tutto annullando il posto pubblico, preferendo le iniziative privatistiche.

Ma di questo se ne è parlato a lungo, a cominciare dall’intervento del Vescovo Mincuzzi a Taurisano a quello del Vescovo, Servo di Dio, don Tonino Bello nella Sua “Lampara” che, se i nostri cittadini leggessero con attenzione, ricaverebbero il motivo di tanta ignavia!

 

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