di Alfredo De Giuseppe Oggi, 11 aprile 2018, all’improvviso, da pochi minuti, è esplosa sul web la notizia della morte di Jessy Maturo. Non è una bufala, la notizia viene confermata da altri amici: l’incredulità, la costernazione, il pathos. Jessy, lo pseudonimo di Cristian Ruberto, era un amico di tutti noi, un amico di Tricase.
Ognuno di noi può raccontare un aneddoto su di lui, può dire di averlo sentito in una magnifica performance, di aver trascorso insieme almeno una serata, un caffè, un aperitivo, di averlo ascoltato sul palchetto di un bar o sulle scene più importanti con lo stesso entusiasmo per la musica, per la canzone, per la voce.
La sua bellissima voce, bassa e piena di vibrazioni, dapprima vicina al soul, al blues, ai James Brown dell’epoca poi via via sempre più sua, più originale fino a diventare una vera icona della musica rock, magari in un ambito locale ma senza mai concedersi alle mode del momento. Una costante ricerca di una sua personalissima strada ha contrassegnato la vita di Jessy Maturo. Da ragazzo si vestiva come Elvis Presley, con i costumi bellissimi che si cuciva nella sartoria di famiglia. Una famiglia di persone buone ma irrequiete, a loro modo gentili, mai arroganti. Poi il salto a Milano e Roma, nel tentativo di diventare il cantante che voleva essere.
Ma la grande città a volte è impietosa, ti prende, ti avviluppa, ti soggioga, ti conduce su strade impervie e pericolose, ti seduce con effetti speciali e ti abbandona sul marciapiede. Il ragazzo è talentuoso, ma è fuori le regole: per avere un contratto devi avere un buon manager e uno come lui si fidava del primo conosciuto,magari, non del più bravo. Una vita che si direbbe disordinata, nonostante lo studio al conservatorio, nonostante la ricerca di una dimensione “normale”: Cristian è un ragazzo vivace, che ama esibirsi in pubblico, è un animale da palcoscenico, un amore viscerale per le canzoni che esaltino gestualità e voce. Un romanticone travestito da rocknroller, sempre disponibile e sorridente. Era impossibile non volergli bene.
Ormai in questi ultimi anni aveva assunto piena consapevolezza della sua dimensione: sapeva di essere bravo, di poter diventare un grande della canzone italiana, ma aveva filosoficamente, prosaicamente,pragmaticamente accettato di vivere nel suo paese con tutti i limiti che questo impone. Con un unico faro sempre acceso dentro di sé: essere Jessy Maturo non la cover di qualcun altro. Un piccolo baretto vicino a una scuola, la partita a carte nel club Juventus, le serate alla Serra e al Porto, i dischi con gli amici, le continue collaborazioni, dischi per beneficienza, per aiutare un amico, per la sopravvivenza dignitosa, senza rubare, senza pietire nulla alla politica e allo star-system.
Ora, a soli 45 anni ci hai lasciato e ci mancheranno molte cose di te: ci sarà modo e tempo per valorizzare la tua opera, per ascoltare le persone a te più vicine, per confortare i tuoi cari. Oggi possiamo solo piangere e ricordare tutto di te, per quanto ci sia possibile in questo momento straziante. Nel 2010 appena ascoltai la tua “ Fino alla luna ”, magistralmente eseguita insieme agli amati Super Reverb, ti chiamai per dirti semplicemente “ sei un grandeee
”! Ogni volta che ci incontravamo, negli ultimi due anni, parlavamo del progetto di un documentario sulla tua arte, ma io dicevo, soprattutto sulla tua persona. Perché era la tua persona, tutta intera, ad essere vera e interessante, non solo la tua musica. E ci emozionavamo davvero ogni volta che veniva fuori il nome di tuo padre, il buon Frank Ruby. Eri geniale e fragile, lo sapevamo già, non ti dimenticheremo.