di Cesare Lia Nel mentre ringrazio, anche a nome di Giulia, l’amico dott. Antonio Scarascia ed “Il Volantino” per l’articolo pubblicato su Peppino Scarascia e Vincenzo Resci, colgo l’occasione per fare le mie solite osservazioni sulle vicende, il popolo di Tricase e gli uomini che lo hanno reso visibile in tutta Italia.
Non ho avuto la fortuna di conoscere l’Avv. Vincenzo Resci, padre di mia moglie e nonno delle mie figlie ma in tutta la Città più che a casa mia ho sentito parlare del suo mite e nobile carattere, del suo impegno sociale e politico ma, soprattutto, della sua bontà d’animo e della sua vicinanza al popolo tricasino:
Il dott. Peppino Scarascia, suo grande amico e più d’un fratello, nella sua lettera diceva il vero quando riportava, condividendole, le parole del tricasino Ippazio Greco “Don Vincenzino poteva fare davvero il signore ma per il suo buon cuore non aveva mai pace, perché tutti ricorrevano a lui, e lui tutti ascoltava: Pure le petre lu chiancene per quellu che l’hannu fattu” .
A me molti tricasini hanno narrato vicende sul suo conto veramente impensabili per la sua disponibilità, la sua umiltà, la sua socializzazione, vicende che rendono un uomo dalle idee liberali, in un contesto oligarchico ed aristocratico del suo tempo, molto vicino ai problemi dei meno abbienti e pronto ad favorirli per quel che egli poteva.
Non voglio attardarmi sulle sue qualità perché il mio intervento ha un altro sapore ed una diversa considerazione. Un giorno, se camperò, forse scriverò qualche osservazione più specifica e documentale.
Quando mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Siena, il mio professore di diritto amministrativo, sentendo il mio modo stretto di parlare, quasi da siciliano, mi chiese da dove provenissi. Risposi da Specchia e per inquadrare geograficamente il mio paese di nascita e di residenza, aggiunsi vicino a Tricase. Ebbe un sussulto e mi disse:”la patria di Codacci-Pisanelli”. Il pof. Balocchi non è stato, seppure invitato, in Puglia né conosceva Tricase ma quel nome per lui significava tanto.
Nella mia vita politica e privata ho avuto tante altre occasioni nelle quali normali cittadini ed uomini di cultura hanno conosciuto Tricase per il Cardinale Panico, Santacroce, Girolamo Comi, lo stesso Peppino Scarascia, Alfedo e Vito Raeli, Vittorio Aymone, Antonio Dell'Abate, il Generale Minerva, Donato Valli, Hervè Cavalera ed altri ancora che ora mi sfuggono e soprattutto per Giuseppe Pisanelli, fondatore dell’unità d’Italia.
Quanti tricasini, però, conoscono la grandezza di quegli uomini, le loro opere, conosciute invece in tutta la Nazione, la loro devozione per questa città? Quanti hanno trasmesso ai loro discendenti la grandezza di simili personaggi? Dov’è ora il loro impegno terreno? Dove sono i loro resti mortali?
Sono rimasto allibito quando, interessandomi con Hervè Cavallera e Gennarino Ingletti ed altri amici del recupero e l’opposizione alla demolizione del vecchio Cimitero dei Cappuccini, ho visto dove è stata relegata l’ultima Principessa di Tricase. Una tomba anonima che sicuramente, in futuro, qualche necroforo butterà il suo contenuto nell’ossario comune scordando che Donna Bianca ha dato tanto a Tricase ed ai tricasini. Se Tricase ha un' importanza storica è perché questi uomini le hanno dato lustro superando ogni prospettiva che possa avere un paese provinciale soprattutto dell"Italia Meridionale.
Da tempo sto portando avanti il discorso del trasferimento dei resti mortali di Giuseppe Pisanelli nel Cimitero di Tricase, togliendolo dalla Tomba monumentale del Cimitero di Napoli, nella quale è sepolto, e nel quale, però, nessuno rivolge una preghiera nè un riconoscimento per quello che in vita ha fatto. Non ho avuto risposte nè il popolo tricasino ha rivendicato le sue spoglie dimostrando di non essere affezionato a simili personalità se non nel momento in cui occorre vantarsi di essere loro concittadini.
Eppure, ai tempi dell'amministrazione Serrano, costruendo il nuovo Cimitero, abbiamo riservato una zona, ove ora riposa Giuseppe Codacci-Pisanelli, ma solo per volontà della famiglia, dove conservare i resti di tutte le personalità tricasine. Una specie di "Santacroce" tricasina per ricordo ai posteri.
E' spiacevole vedere che, non potendo fare altro, quel simulacro è continuamente deturpato da qualcuno che si diverte a spezzare i rami degli alberetti d'ulivo, segno della pace, che i famigliari hanno posto all'ingresso della tomba. Forse l'ignoto detrattore vuol vendicarsi del posto che non ha avuto all'Università di Lecce o alle Poste Italiane o in qualche altro ufficio pubblico, cercando di deturpare l' immagine di un Uomo che, a parte gli altri meriti, quando parlava con un suo simile, per rispetto, si toglieva il cappello!