di Alfredo De Giuseppe Ercole Morciano ha pubblicato e presentato il 10 febbraio 2017, Giornata del Ricordo, presso la sala del Trono di Tricase il libro “Due tricasini nelle terre delle foibe – 1943-1945”, Edizioni Grifo con prefazione di Hervé A. Cavallera. In definitiva una ricerca storica su due cittadini morti vicino a Gorizia durante le complesse vicende del conteso territorio fra Italia e Croazia. Un’operazione storica, lo dico subito, che va nel solco di quel revisionismo strisciante che caratterizza questi ultimi decenni. Un revisionismo che certamente va al di là delle intenzioni dell’autore (di cui riconosco il largo profilo democratico e civile) che cerca di mantenere un certo distacco dagli eventi narrati, ma proprio per questo rischia di essere un veicolo di forti distorsioni storiche. Nessuno mette in discussione la terribile tragedia delle esecuzioni sommarie e del successivo infoibamento di tante persone uccise dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma operazioni culturali come quella dell’amico Ercolino rischiano di essere vissute come una specie di giusto risarcimento da fascisti mai pentiti e soprattutto come “una storia qualunque” da giovani poco adusi alla lettura della storia del Novecento.
Se infatti questo lavoro capitasse nelle mani di un giovane studente potrebbe sembrare il racconto, quasi eroico, di due signori, già maturi, che decidono di abbracciare i fucili e morire per la patria. Due signori descritti nei loro affetti familiari, nel loro credo religioso, ma di cui pochissimo si dice in merito alle loro azioni militari e politiche, sia nel Salento che nella Venezia Giulia. Due signori, uno, Salomone Morciano di 38 anni e l’altro, Giuseppe Caloro di 54 anni che decidono di correre in soccorso della nascente Repubblica di Salò, formalmente di Mussolini, ma sotto il diretto controllo dei tedeschi. Tanto ferma era la loro fede nel fascismo, che anche di fronte alla più vergognose verità che ormai erano emerse dopo l’8 settembre, non esitarono a mettere a repentaglio la loro vita e quella dei loro famigliari pur di mostrarsi coerenti nella lotta politica. Due storie diverse intanto: Salomone Morciano muore in un normale attacco dei partigiani slavi nel 1943 senza alcun collegamento con le foibe e questa sinceramente è sembrata già una prima forzatura che evidenzia l’attuale necessità di usare le foibe come mezzo di pietas generalizzato, come lavacro di tutti i mali commessi dal fascismo nelle terre di conquista. Giuseppe Caloro invece è un comandante a tutti gli effetti, visto dai vincitori del tempo come uno dei responsabili di abusi ed eccidi verso i cittadini sloveni, da noi definiti ribelli, ma che in realtà stavano combattendo una guerra di liberazione.
Un uomo che ha scalato i gradini del potere fascista, anche a Tricase, dove è stato podestà e ha gestito con grosse lacune i tormentati mesi del dopo sommossa popolare del 1935 che procurò morti, feriti e centinaia di arresti. Vi è da notare che al momento dell’arresto di Caloro, nulla fu intentato contro la sua famiglia, non vi fu nessuna rappresaglia generalizzata, ma probabilmente una sorte di processo sommario riservato ai capi fascisti e ai loro collaboratori. Probabilmente Ercole Morciano si è lasciato prendere la mano dall’affetto parentale o dalla pura ricerca documentale ma quando si trattano temi come questi non si può riportare il tutto alla semplice pietas personale, non si può basare tutto sui normali, direi scontati, affetti familiari e sulle credenze religiose (più o meno dotte), sulla corrispondenza con vescovi, spesso a loro volta compromessi con il regime, per ricostruire con oggettiva sintesi il momento storico dell’Italia negli anni che vanno dal 1943 al 1945.
Il rischio è quello di banalizzare e quindi di rendere tutto molto scivoloso, quasi che la crudeltà del tempo non fosse un fatto acclarato, come se queste persone fossero delle vittime inconsapevoli delle guerre. No, questi nostri compaesani, così come altre migliaia, decisero volontariamente di seguire il Duce, il dittatore, l’uomo forte che aveva già portato l’esercito alla disfatta di Russia, e che aveva dimostrato le sue baracconate inutili e violente nella guerra d’Africa, dove aveva seminato morte e forse anche una certa dose di ridicolo. Altre migliaia di soldati italiani rifiutarono invece di seguire le sorti di Mussolini e Hitler, alcuni furono immediatamente uccisi, altri deportati, ma una volta capito in quale pasticcio li aveva cacciati il regime, decisero di non tornare più indietro e di stare dalla parte della liberazione dei popoli e non della loro dichiarata oppressione. Non vorrei dilungarmi su questioni che meriterebbero ben altri approfondimenti e proprio per questo propongo un esempio per riassumere il pensiero: cosa diremmo noi se si pubblicasse analogo libretto di un componente delle SS o di un carnefice dei campi di concentramento?
Anche loro probabilmente avevano una famiglia a cui volevano un gran bene, anche loro agognavano la fine della guerra, anche loro pensavano di servire al meglio il loro Stato, di difendere il prestigio della loro Nazione e la vera fede. Per noi questo sarebbe inaccettabile perché il giudizio storico è complessivo sul Nazismo, sui genocidi, sulle SS e sulle esecuzioni di massa, non possiamo soffermarci asetticamente sulla loro storia personale: potrebbe sembrare come un indiretto avallo di una filosofa devastante. Proprio oggi, che a distanza di oltre settant’anni da quelle vicende, stanno rinascendo in Europa dei forti nazionalismi, delle tendenze protezionistiche, delle idee xenofobe, il rifiuto dell’altro, la chiusura delle frontiere a rifugiati e perseguitati, bisogna porre attenzione ad ogni piccolo particolare che, partendo dal revisionismo strisciante, diventi di nuovo cultura di massa, addirittura leggi condivise dello Stato. Un’ultima annotazione che mi sorge spontanea osservando alcune foto del libro di Morciano: nel 1968 i resti di Salomone Morciano, avvolti nel tricolore, alla presenza di tutte le autorità civili, militari e religiose vennero riportati in Tricase con una grande cerimonia pubblica. Mi vien da pensare che a quell’epoca nessuno tirò fuori la sua obbedienza alle camicie nere della Repubblica di Salò, probabilmente il tutto fu gestito come il ritorno a casa delle spoglie mortali di un tricasino morto in guerra.Punto.
Per assurdo penso che quella gestione, tipica di quegli anni, fosse più accorta, più indolore e meno pericolosa della ricostruzione attuale. Un deceduto in guerra, un padre di famiglia merita tutta la nostra commozione mentre la vicenda basata quasi tutta sulle cartoline spedite ai familiari di un volontario delle milizie fasciste, a cui molti in Italia vogliono dare oggi pari valore di chi scelse di morire per la libertà, sembra una forzatura che si presta a nuovi pericolosi tentativi di supremazie di vario tipo. Mi auguro che nella seconda edizione Ercole Morciano sappia trovare la giusta sintesi, forse qualche avverbio in più, per riportare le vicende personali nel più grande alveo della tragedia sempre incombente delle guerre nazionaliste e dittatoriali.