La mia colonna di Alfredo De Giuseppe
Otto dicembre 2018
Qualche giorno fa Carlo Calenda ha presentato a Tricase il suo libro
“Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio”.
Ho partecipato anch’io al dibattito con l’ex ministro e alla fine abbiamo velocemente scambiato delle battute. Pur rimanendo fermo su una visione eccessivamente modernista e dirigista, legato comunque alle famiglie del capitalismo italiano, è stato interessante dialogare con Calenda, che mi è parso uomo preparato e pronto a sfide importanti (non so quali).
Su un punto ci siamo trovati perfettamente d’accordo: gestire la Regione Puglia come un piccolo fortino personale è quanto meno bizzarro. Certamente dannoso per tutti noi. Io sono andato oltre con la mia domanda: non è che forse sia arrivato il momento di mettere in discussione il ruolo dell’istituzione Regione nel suo complesso?
Lui ha risposto: un primo approccio a questa questione era contenuto nel disegno istituzionale del governo Renzi, poi bocciato dal referendum del dicembre 2016. E io ho pensato: si, è vero, ma quelle riforme, per assurdo, sono state bocciate non perché troppo ardite, ma perché troppo pasticciate.
L’esempio eclatante era la riforma del Senato che invece di eliminarlo come sembrava essere l’intento, lo reintroduceva in una forma molto discutibile, con sindaci e cooptati vari.
Ma è sulle Regioni che si continuò ad equivocare per mancanza di chiarezza e determinazione: toglieva in effetti delle competenze che tendono a bloccare uno sviluppo armonico dell’intera Italia, ma al contempo non ammetteva con la dovuta enfasi che a quel punto l’Ente doveva essere via via cessato e sostituito da soggetti meno burocratizzati. Immaginate di togliere la Sanità dalle grinfie delle Regioni e affidarlo ad un unico Ministero. Cosa resta? Quasi nulla.
E come si fa ad immaginare un’Italia unita con 20 Sanità diverse?
Allo stesso modo il trasporto ferroviario locale, quello gestito dalle Regioni, è in genere un disastro, anche per assenza di coordinamento fra Regioni confinanti. Tutto ciò che viene gestito da questo Ente intermedio diviene un processo disordinato, complicato da dipanare con gli altri Enti di Stato e fonte di piccole e continue partigianerie.
Non dimentichiamo che uno studio della fondazione RES identifica proprio nelle Regioni il più alto indice di corruzione, nel già alto livello italiano nel suo complesso.
Non si può attendere la decisione, spesso strampalata, di ogni Regione per decidere cosa fare di quelle poche cose che davvero contano nella vita di ogni giorno. Immaginiamo per un attimo che anche l’Inps diventasse all’improvviso gestita dalle Regioni.
Avremmo Governatori e maggioranze pronti a varare leggi di qualsiasi tipo, da sovrapporre a quella nazionale, da presentare come la più funzionale, possibilmente la più populista.
Avremmo 20 modi diversi di andare in pensione, 20 importi diversi, 20 uffici diversi a cui rivolgerci, con nomi di fantasia ben costruiti, con raccomandazioni e clientelismo, con amicizia e affetto. Insomma un casino dal quale per fortuna siamo ancora esenti.
Ma non c’è mai fine al peggio, bisogna stare attenti. In effetti il nostro Emiliano sta pensando a come peggiorare la situazione. Dopo aver gestito dilettantisticamente questioni fondamentali come la Xylella degli ulivi, l’Ilva di Taranto, la Tap di Melendugno, cosa ti va a pensare il nostro grande Michelone?
Che è arrivato il momento di chiedere al governo ulteriori poteri di autonomia.
Cioè poter legiferare anche su materie riguardanti l’ordinamento civile, penale e la giustizia amministrativa; le norme generali sull’istruzione, sul fisco, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Sarebbe una sciagura annunciata e qualcuno dovrebbe fermarlo.
Qui sfugge completamente un concetto: ci sono questioni interconnesse col mondo intero che non si possono lasciare alla leggerezza di un Presidente che vuole solo avere consenso elettorale. La complessità significa anche storicizzare le questioni economiche, rapportarsi al presente e guardare il futuro con una certa cognizione di causa.
Oggi l’Europa, al di là di errori, difficoltà e propaganda, è la nostra vera casa, il posto più o meno grande entro il quale spaziare, vivere liberamente (senza guerre) e dal quale osservare con attenzione ciò che accade nelle altre aree della Terra.
Spesso invece rimaniamo pervicacemente nel nostro orticello, che in più occasioni ha dimostrato di essere povero, retorico e devastante. Abbiamo bisogno di politici che sappiano comprendere questo piano di intervento, che risulta articolato e proiettato sul lungo periodo.
Mi sono convinto che questo potrà avvenire su un livello diverso da quello locale, sul quale da tempo ho smesso di avere fiducia