La mia colonna di Alfredo De Giuseppe
Niente è nostro per sempre. Niente ci appartiene in eterno, forse perché il concetto di eterno è solo letterario. Tutto quello che possediamo, per cui lottiamo è preso in noleggio: oggi lo usiamo, domani dovremo lasciarlo.
La casa, l’auto e i soldi non sono nostri e spesso ce ne dimentichiamo. Forse perché viviamo il momento, forse tendiamo a rimuovere, forse pensiamo che il bene materiale sia la cosa più importante che possa capitare nella nostra vicenda umana.
Possiamo usare molti oggetti, molto denaro e molti beni, ma non pensiamo che sono in affitto, che non ci appartengono, che sono provvisori. Forse perché siamo andati al notaio? O perché qualcuno ce li ha donati?
È doloroso sbarazzarsi di beni materiali per i quali si è lottato, si è vinto e si è perso. È doloroso chiudere un’azienda, vendere una casa, forse è anche ingiusto, ma è importante saperlo in anticipo, appena hai l’età di razionalizzare la tua vita.
Tutto diventa più accettabile se il possesso non è la priorità della tua esistenza. Tutto ha un inizio e una fine: ogni impero che si credeva imperituro è finito sotto i colpi del tempo che modificava gli eventi; ogni popolo che credeva di essere il migliore, il più organizzato, il più forte si è sfaldato sotto la propria stessa arroganza; ogni ricco ha vissuto momenti da povero e ogni povero ha stramaledetto il ricco.
Le vittorie non sono per sempre, così come le sconfitte, per fortuna. Le vittorie hanno il gusto amaro di aver vinto qualcuno più debole così come le sconfitte presagiscono altre sventure. Ancora più grandi, nella spirale negativa che in sostanza è la nostra intelligenza.
Niente è per sempre, ma molto potrebbe essere goduto per molto tempo, per molti miliardi di anni, per molti miliardi di persone. Ma dovremmo, con la giusta sensibilità, compenetrare in noi il concetto che la Terra non è nostra, è di tutti e quindi non appartiene a nessuno.
La distanza dal sole, la casualità della formazione, l’evoluzione biologica ce l’hanno affidata confidando nella nostra gestione, essendo l’unica razza che ha inventato la carta igienica. Abbiamo disperso il senso della natura, l’abbiamo sottomesso ai nostri desideri, abbiamo violato le lente leggi del tempo per avvalorare la tesi del possesso, del dominio su tutto.
Per arrivare a produrre quella carta igienica abbiamo inquinato fiumi e mari, abbiamo fatto le guerre, abbiamo rotto gli argini, invaso il tutto con la nostra ingordigia, con la nostra idea predatoria. Un’idea, quella predatoria, che doveva essere allontanata dall’evoluzione della specie. Perché siamo diventati intelligenti? Per distruggere la terra? Per avere più cose?
Per non avere più il senso dell’equilibrio?
Così riflettevo, nel solito impulso mattutino, mentre leggevo una cosa riguardante Jeff Bezos, il proprietario di Amazon, al momento l’uomo più ricco del pianeta. In una conferenza tenutesi a Seattle lo scorso 15 novembre ha testualmente detto: “Anche Amazon è destinata a fallire, come tutte le aziende. Può durare fra i 30 e 100 anni, possiamo essere bravi e attenti a portare più in là questo processo, comunque saremo destinati alla chiusura”.
Fa un certo effetto sentirlo dire da un uomo che ad ottobre ha toccato i 132 miliardi di dollari di patrimonio e che sta ridisegnando la vita del commercio e dell’informatica adattata al nostro quotidiano. Ma fa capire anche, con la brevità di uno scrittore americano, come accettare la effimera leggerezza di ogni uomo, delle sue cose e delle sue manie.
Niente è per sempre, tutto è provvisorio, niente è nostro permanentemente: non possediamo la Terra e l’Universo, e neanche un altro essere umano o la felicità edonistica.
Dobbiamo solo imparare ad amare la straordinaria bellezza di questo soffio provvisorio, a rispettare le persone e le cose, a comprendere il tutto che ci circonda senza l’ansia del possesso, senza il vincolo della ricchezza materiale. Passare attraverso la nostra vita senza fare eccessivi danni è una priorità.