di Carlo Errico
Trovandomi nell’Ufficio Anagrafe, seduto davanti all’impiegata, è entrata una signora giovane. Gentilmente ha chiesto dove e come poteva fare la “denuncia di soggiorno” per sua sorella che doveva raggiungerla da un paese extracomunitario.
L’impiegata, con modi gentili (e scusandosi con me perché doveva far fronte anche alle richieste di sportello, ormai da tempo senza impiegato addetto. Sic!), ha chiesto se la sorella aveva già provveduto a dotarsi di permesso di soggiorno. Alla risposta “No” ha chiarito che presupposto per l’ingresso in Italia era quel permesso, e dopo avrebbe potuto denunciare la presenza a Tricase.
Fin qui, nulla di particolare.
Ciò che conta è accaduto dopo. Uscendo, ho incrociato ferma sul noto angolo di marciapiede del bar tristemente chiuso quella stessa giovane donna: parlava con altra donna, comunicandole che sua sorella la stava per raggiungere da … (ometto per privacy) ed era felicissima; da lì a qualche giorno sarebbe andata a prenderla al suo sbarco all’aeroporto.
Gli occhi letteralmente tracimanti contentezza di quella donna erano espressione di gioia autentica per un ricongiungimento tanto atteso, desiderato oltre ogni limite, anche di burocrazia.
In questi giorni si sta discutendo del Decreto Legge sicurezza. Chiarisco.
Come ogni buon governo nuovo che si rispetti, anche quello in carica ha voluto il suo decreto sicurezza. Temi come l’ordine pubblico, la vivibilità dei centri abitati, il decoro urbano, l’integrazione, tanto sbandierati in campagna elettorale, devono trovare subito una sponda visibile per soddisfare il bacino elettorale che quella maggioranza ha votato.
Ecco, dunque, il Decreto Legge N. 113 del 4.10.2018, voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, e che l’Aula di Palazzo Madama ha approvato il 7 novembre scorso con 163 voti favorevoli, 59 contrari e 19 astenuti (peraltro sotto forma di “emendamento interamente sostitutivo del disegno di legge di conversione decreto-legge n. 113, noto appunto come “Decreto Salvini” su sicurezza e immigrazione), dopo che il Governo aveva posto la questione di fiducia (il provvedimento è passato ora alla Camera dei Deputati).
Non è questa la sede per approfondirne i contenuti in maniera completa. Ma l’associazione mi è sorta immediata nella consapevolezza che assistevo a quella scena dopo aver letto quel decreto e le novità, tra le altre, nel senso dei restringimenti in materia di immigrazione.
Alcune misure: abrogato il soggiorno per motivi umanitari; allungato da 3 mesi a 6 mesi il tempo di durata massima di trattenimento nei centri di permanenza per facilitare l’espulsione degli irregolari; riscrittura dell’intero apparato di norme che disciplinano l’immigrazione, le procedure per i richiedenti asilo, la concessione dei permessi di soggiorno temporanei per esigenze umanitarie, l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione.
Senza indulgere in tecnicismo, basti sapere che i “motivi umanitari” per i permessi di soggiorno temporanei sono stati delimitati in termini pressoché tassativi, a fronte di un orientamento dell’autorità giudiziaria che, fino ad oggi, aveva improntato le proprie decisioni a chiara tolleranza (anche se con qualche chiusura al riconoscimento, ad esempio, di un permesso di natura umanitaria legato a ragioni di sola natura economica o di ripartizione della ricchezza tra la popolazione, come stabilito da Cassazione, VI Sezione Civile, con ordinanza 11.9.2018, depositata l’8.11.2018).
Con la vecchia normativa, chi non riusciva ad ottenere il riconoscimento dello status di “rifugiato” o la protezione sussidiaria poteva richiedere un “permesso umanitario”. Con il D.L. 113/2018 non più. E quel 25% circa di richiedenti asilo che negli anni scorsi se lo sono visto accogliere, appunto, per motivi umanitari, da oggi in poi avranno, chiaramente, diversa sorte.
E allora: allungamento dei tempi di trattenimento degli immigrati irregolari in vista del rimpatrio; drastica riduzione dei permessi di soggiorno. Queste due delle voci della ricetta dell’attuale governo.
Consentitemi seri dubbi, se l’obiettivo dichiarato è quello di coniugare sicurezza e legalità: il rischio evidente è che si andrà ad allargare copiosamente (almeno di quel citato 25%) il numero degli irregolari, allargamento al quale non sappiamo se corrisponderà una uguale capacità di respingimento ed espulsione.
Ecco perché mi hanno colpito gli occhi di quella giovane donna: lei, extracomunitaria già in Italia, viveva intensamente e con gioia il momento del futuro ricongiungimento.
Noi, cittadini italiani, viviamo quotidianamente i nostri ricongiungimenti familiari.
Gli extracomunitari irregolari …
Qualunque commento ulteriore sarebbe inutile, una mera trasposizione dei vostri pensieri, ciascuno per propria fede politica o, almeno, per convinzione personale.
Ma permettetemi di andare con la memoria al 7 marzo del 1991, giorno in cui arrivarono nel porto di Brindisi, a bordo di navi mercantili e di imbarcazioni di ogni tipo, 27mila migranti, fuggiti dalla crisi economica e dalla dittatura in Albania.
Ed ai viaggi da Tricase dei furgoni carichi di vettovaglie per il primo aiuto. E l’arrivo a Brindisi, notando i profughi albanesi che vagavano per le strade e gli abitanti che scendevano dai condomini per offrire loro qualcosa.
La storia scorre; la storia giudicherà le nostre scelte.
La sensazione, purtroppo, è di una grande occasione perduta …
Speriamo non irrimediabilmente.