di Giuseppe R. Panico
Correva l’anno 1918 e alle idi di novembre (4 nov.), un secolo fa, finiva con la nostra vittoria la Prima Guerra Mondiale.
Fu la guerra dei nostri nonni che, allora giovani, morirono a centinaia di migliaia assaltando le trincee nemiche, per malattie, per gelo ed anche per fame.
I sopravvissuti, i reduci, i feriti tornarono a casa con le loro sofferenze ed i loro ricordi, con un’Europa profondamente cambiata, un’Italia geograficamente più estesa ed una nuova identità nazionale.
La Seconda Guerra Mondiale, appena un ventennio dopo, portò invece ad una Italia ridimensionata, politicamente e militarmente distrutta e a città e popolazioni bombardate ed affamate.
La storia non è altro che un alternarsi di guerra e pace, di distruzioni e ricostruzioni, di vittorie e sconfitte, di eroismi e viltà. Lo dimentichiamo spesso o ci illudiamo che la pace che stiamo ora vivendo da oltre 70 anni, sia definitiva. Non pensiamo che questa è dovuta anche, o soprattutto, a quella Unione Europea, oggi da tanti osteggiata.
Non abbiamo più le numerose Forze Armate di un tempo, né una cultura militarmente aggressiva, ma una costituzione che ripudia la guerra, un Ministero della Difesa (e non più della Guerra) e spese militari ridotte all’ 1% del PIL, fra ì più bassi del mondo e la metà di quello previsto dagli accordi NATO.
Sospesa la leva (2005), i pochi cittadini in divisa sono ora dei professionisti ben visti ed apprezzati nelle tante missioni all’estero e nei nostri disastri naturali.
A loro ed al loro impegno e professionalità è affidata quella Difesa Nazionale che altri, privi di senso della storia e della realtà, vorrebbero anche abolire; forse convinti che sulle impervie strade della politica internazionale, gli incidenti o le guerre succedono solo agli altri.
Come ogni anno, il 4 novembre si celebra la giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate che tale unità rappresentano, come anche la giornata delle Associazioni d’Arma.
Il centenario della vittoria è una occasione per riaprire, anche nelle scuole, qualche libro di storia e prendere coscienza che il pianeta Terra, ed in particolare l’Europa, è stato da sempre un sanguinoso campo di battaglia.
“Torneranno i prati”, diceva Ermanno Olmi con il suo bel film sulla Prima G.M, quasi un invito a politica e cultura perché coltivino la pace. “Si vis pacem para bellum” ci dicono inoltre, con buon senso, gli antichi romani.
Un buon senso che non può prescindere dalla disponibilità di moderni mezzi militari e spiccate professionalità, come anche da quei valori etici e morali che alimentano il senso del dovere. Fino all’estremo sacrificio e poi la memoria dei caduti quale efficace medicina contro la sempre latente malattia della guerra.
Con la lunga pace, non abbiamo più la vivente memoria dei nonni, né le lacrime delle nonne nel ricordare fame e sacrifici domestici. Non abbiamo nemmeno abbastanza giovani padri o madri che formatosi, un tempo, anche attraverso il servizio di leva (adottato già nel 1861 anche per la formazione di una identità italiana attraverso l’unificazione linguistica, culturale e sociale), siano inclini ad infondere, nei loro ragazzi, (ma anche nella loro politica) un po’ di quei valori, convalidati da millenni di storia.
E quando quei valori svaniscono, o vengono sviliti, il paese ridiventa una mera espressione geografica, i militari dei mercenari dalla facile resa, i politici in predatori di voti e pubbliche risorse ed i cittadini in semplici sudditi che valgono appena un voto di scambio.
Le Associazioni d’Arma, diffuse in tutte le nazioni e istituite e regolamentate in Italia da apposite leggi, hanno il difficile compito di dare continuità a tale memoria e valori grazie al supporto delle amministrazioni locali che assegnano loro idonei locali.
Avviene anche in tutta la nostra provincia ove ben 19 comuni, Tricase compresa, sono pure sedi di gruppi ANMI (Associazione Nazionale Marinai d’Italia).
Con la grande differenza che Tricase ha sfrattato dalle loro sedi le sue preesistenti Associazioni d’Arma e in questi giorni ha assegnato i locali dell’ANMI, liberati a suo tempo per completare i lavori e dove l’ANMI ha chiesto da sempre di rientrare o di averne altri, ad una nuova ben diversa associazione.
Tanti giovani e vecchi marinai, militari in servizio ed in pensione, cittadini/e che condividono i loro principi, non possono che prendere atto di questo nuovo “valore” paesano.
Diceva il Presidente Kennedy in un suo discorso a favore di militari ed ex militari USA, riprendendo quanto rinvenuto su una vecchia garitta a Gibilterra: “Tutti adorano Dio e il soldato in tempo di guerra, ma quando la guerra è finita, Dio viene dimenticato ed il vecchio soldato disprezzato”.
Al monumento ai caduti, viene da avvicinarsi a quel soldato morente e ai tanti nomi dei nostri concittadini. Per porre una mano su quel bronzeo petto e tamponare la nuova grave ferita.
Forse insanabile, quasi mortale, inflitta ora alla sua memoria, non dal nemico in terre lontane, ma in patria dalle sue istituzioni.