di Giacinto Urso
[…] Parlare di Donato Valli non è agevole, considerata la sua riservatezza e le sue eccezionali virtù nascoste. Eppure, la mole delle rimembranze è immensa. Ricavare brevi annotazioni è quasi impossibile. Pur nella mia insufficienza, tenterò di indicare alcuni suoi profili umani, lasciando ad altri la memoria dei suoi meriti accademici. Soprattutto, tornano alla mente i suoi racconti autobiografici.
Donato amava non nascondere nulla e niente delle sue origini disagiate ma sempre dignitose. Menava vanto dei suoi familiari, in particolare della sua Mamma, da me conosciuta e ammirata per il suo candore di persona incolta, strapiena di buon senso e di buone maniere, spesso gradita ospite in casa mia, che recitava, in costanza, a me e alla mia adorata Rosaria, la preghiera di proteggere il suo Donato, che ai suoi occhi restava sempre il ragazzo di paese che nulla chiedeva, che si immedesimava nella sua povertà familiare, che, per risparmiare, studiava a tarda sera, godendo della fioca luce di un lampione, sistemato nel vicino cimitero, addossato alla sua casa di Tricase nella piazza denominata dei Cappuccini.
Altro brano della sua vita giovanile era la narrazione del suo speciale rapporto con il poeta-barone, Girolamo Comi, che idolatrava il liceale Donato, fornito di alti punteggi all’esame di maturità. Lo voleva, di frequente, nella sua dimora in Lucugnano “dove anche le ombre ti sono amiche”. Tema costante la cultura e le culture, che, in casa Comi, venivano declinate d un cenacolo di Eletti del sapere italico.
Rammento che io e Donato, con il determinante ausilio dell’Ente Provincia, riuscimmo a garantire al Barone-poeta un sollievo mensile esistenziale, riparando, così, una improvvisa profonda miseria materiale e una vecchiaia tormentata, che strozzavano il suo dolce, spirituale poetare, che estasiava il giovane Donato.
Ancora va rammentato lo speciale rapporto tra Donato e il giurista-parlamentare, Giuseppe Codacci-Pisanelli, entrambi Rettori della nostra Università e nativi di Tricase, ma di diversa estrazione sociale, stemperata in perfetta sintonia nell’essere e nel fare.
Su queste linee convergenti, scorreva una fondamentale caratteristica di Donato Valli, conservata intatta sino alla morte.
Quello di sentirsi appieno figlio dell’estremo Capo di Leuca, sito di “acque ai piedi di un faro”. Sentirsi, profondamente, un roccioso “capuano”, fregio che gelosamente conservò sia da povero fanciullo, sia da giovane, sia da anziano, sia quando indossava l’ermellino rettorale. Profondamente lo struggeva e lo educava il pianto disperato dell’abbandono, imposto, da secoli, al piccolo pezzo di terra di sua nascita, amara e bella. Era rapito dal fascino dei luoghi.
Pulsava nelle sue vene. Parimenti, il mare, dove su un piccolo battello, da dilettante pescatore, attendeva l’alba per ricevere e godere il primo bacio del sole nascente.
Donato era anche rapito, estasiato e conformato alla esplosiva santità di Don Tonino Bello e dei sublimi cantici del monaco, Davide Maria Turoldo, religioso settentrionale, patito e stregato di acuta salentinite.
Perché questi, intimi, semplici ricordi? Per un solo motivo. Quello di contribuire a far conoscere, in parte, e a riflettere, innanzi tutto sulla sua fulgente umanità, emblema permanente che veniva da lontano e che modellò il suo divenire sino a trasformarsi in palestra di dotta scuola e di sommo insegnamento, caratterizzati di crescente carità, cioè di amore infinito, stampato nel suo viso, nel linguaggio, nei comportamenti del vivere civile, nella sua robusta cultura, esercitata con leggerezza e semplicità in ogni luogo e in ogni atto, dialogando sempre e rispettando l’altrui pensiero […].
*Stralci della conversazione tenuta dall’on. Giacinto Urso all’Università del Salento in occasione del 1° anniversario della morte del prof. Donato Valli il 19 ottobre 2018.